Il Ministro della Difesa britannico Leo Docherty ha deciso, per qualche motivo a me poco comprensibile, di unirsi alla squadra di coloro che forniscono le stime delle perdite umane russe nella guerra in Ucraina senza dividere i dati in categorie comprensibili. Circa 450 mila persone uccise e ferite sembrano tante, ma quanti di loro sono in realtà stati feriti X volte e poi rimandati al fronte la stessa quantità di volte? Boh, il ministro non si sforza nemmeno a ipotizzarlo e, di conseguenza, alimenta una brutta illusione tra i lettori occidentali: una illusione del fatto che l’esercito russo (un’altra domanda: solo quello professionale o quello integrato con i civili radunati con la mobilitazione?) sia ormai quasi tutto «perso». Ma, a giudicare da quello che vediamo, non è assolutamente vero. Aggiungo: purtroppo non è vero.
I dati sulle perdite delle macchine belliche riportati sono invece interessanti e, in un certo senso, più importanti.
Ma io continuo a sperare che qualcuno trovi il modo di reperire i dati statistici un po’ più dettagliati e analizzabili.
L’archivio del tag «guerra»
L’imprenditore statunitense David Oliver Sacks ha espresso soddisfazione per lo stanziamento degli aiuti alla Ucraina: ritiene che i quasi 61 miliardi di dollari saranno in grado di coprire esattamente la metà di una potenziale controffensiva estiva.
Elon Musk gli ha risposto dicendo che non vede alcuna strategia di uscita da questa guerra. Solo una guerra perpetua in cui i bambini muoiono nelle trincee a causa dell’artiglieria o delle mitragliatrici e dei cecchini sui campi minati.
A Elon Musk ha risposto consigliere del capo dell’Ufficio del Presidente ucraino Mikhail Podolyak:
Effettivamente, le soluzioni così semplici non sono una «rocket science», bisogna attivare il cervello per comprenderle ahahahaha
Quando proviamo a capire perché la Camera dei rappresentati statunitensi abbia (finalmente!) approvato gli aiuti militari alla Ucraina (e, ovviamente, se proviamo a capirlo), non dobbiamo essere tanto ingenui da pensare che si tratti di una sconfitta di Donald Trump.
Molto probabilmente vi ricordate che a novembre negli USA ci saranno le elezioni presidenziali e Trump è, almeno per ora, uno dei candidati principali. Da candidato deve preoccuparsi anche della opinione pubblica su una serie di questioni, non solo quelle interne… Ecco, a questo punto vediamo l’andamento dei risultati di un sondaggio tra la popolazione statunitense:
Quale poteva essere la reazione di Trump a tali risultati? A me sembra ovvio: lasciare approvare gli aiuti!
Poi, quando vince le elezioni (il suo obbiettivo principale per il momento), potrà cambiare l’opinione sulla questione in una infinità di modi possibili. Ma per ora si sente in dovere di accontentare i cittadini aventi diritto al voto.
Chi segue le statistiche della invasione russa dell’Ucraina molto probabilmente conosce, tra le altre cose, anche il fatto che uno dei maggiori e costanti successi dell’esercito ucraino consiste nell’affondamento delle navi da guerra russe. È un successo che incide più sulla logistica militare russa che sull’andamento degli scontri sulla terra ferma, ma è comunque un successo. Per costruire le nuove navi ci vogliono tanto tempo, tanti soldi e tante componenti di produzione estera. Questa ultime, in particolare, non potrebbero essere fornite alla Russia a causa delle sanzioni…
Ecco: l’articolo che segnalo questo sabato racconta di certe aziende europee che stanno aiutando lo Stato russo nel minimizzare i «danni» almeno dell’ultimo dei tre ostacoli elencati.
Purtroppo, suppongo (e, relativamente ad alcuni altri ambiti, so) che ci siano anche altre aziende che si stanno impegnando nella stessa missione.
Ieri, il 18 aprile, sono stati resi noti i nomi dei vincitori per l’anno 2023 del prestigioso premio annuale World Press Photo. Non tutte le foto e/o progetti fotografici premiati quest’anno mi piacciono (in alcuni casi aggiungerei ugualmente), ma non importa.
Come potete immaginare, volevo solo sottolineare che per il secondo anno consecutivo è stato premiato, assolutamente non a sorpresa, un progetto riguardante la guerra in Ucraina. Nella categoria «Open Format Award» (quella dove le foto possono essere integrate con altri effetti visuali, audio o testi) è stato premiato il progetto «War Is Personal» della fotografa ucraina Julia Kochetova. Trovo doveroso aggiungere che, in termini assoluti, non [solo] perché io sono contrario a questa guerra e sto «tifando» per l’Ucraina, si tratta di una premiazione meritatissima.
Di conseguenza, vi do pure il link diretto a quel progetto personale di Julia Kochetova, per il quale lei è stata premiata. Così, quando avete a disposizione abbastanza tempo e uno schermo adatto, potete andare a vederlo bene.
Da molti anni – sicuramente dai tempi della annessione della Crimea, ma forse anche da prima – noto che a volte in Europa arrivano e si radicano dei singoli elementi più strani della propaganda russa non necessariamente rivolta verso il pubblico occidentale (ma verso quello interno). Secondo me potrebbe avere senso provare ad anticipare alcuni di quei fenomeni curiosi: anche se non dovesse alla fine rivelarsi un «anticipo», almeno sarà una testimonianza di una ennesima vetta raggiunta dai «giornalisti» governativi russi.
L’esempio più recente è di ieri (anche se in realtà quegli esempi si verificano tutti i giorni). In un servizio «di informazione» del «Primo canale» della televisione statale russa sono stati mostrati degli oggetti raccolti sul campo di battaglia nella «Repubblica Popolare di Donetsk» annessa dalla Russia. Tra e altre cose raccolte, uno dei militanti filo-russi ha mostrato i galloni a forma di stemma e la bandiera di Udmurtia (una regione della Russia centrale), presentandoli come dei simboli dei «mercenari canadesi» che combatterebbero nelle fila dell’esercito ucraino.
Lo stemma di Udmurtia è questo:
Mentre la bandiera della Udmurtia è questa:
Ora, se dovesse rivelarsi necessario, sapete che a) in Ucraina non sono stati i simboli canadesi e b) cosa sono quei simboli strani.
P.S.: i cittadini stranieri combattono al fianco dell’ esercito ucraino come parte della Legione Internazionale di difesa territoriale (quindi spesso non direttamente al fronte). Le autorità ucraine nel 2022 hanno affermato che fino a 30 mila persone si sarebbero unite alla legione, ma le indagini indipendenti nel 2023 hanno stimato il numero di stranieri combattenti in meno di tre mila.
Il presidente ucraino Vladimir Zelensky ha scritto ieri sul proprio telegram:
Difendendo Israele, il mondo libero ha dimostrato che una simile unità non solo è possibile, ma è anche efficace al 100%. Le azioni risolute degli alleati hanno impedito il successo del terrore e la perdita di infrastrutture e hanno costretto l’aggressore a calmarsi. Lo stesso è possibile nella difesa dal terrore dell’Ucraina, che, come Israele, non è un membro della NATO. E questo non richiede l’attivazione dell’Articolo quinto, basta la volontà politica.
Effettivamente, dal punto di vista puramente razionale non ha senso fissarsi con una formalità legale come l’applicabilità o meno dell’articolo 5 alla difesa della civiltà occidentale sul territorio ucraino: se un problema esiste, va risolto indipendentemente dal fatto che un accordo ci dica di farlo o no. Ma dal punto di vista pratico, purtroppo, il problema è identico a quello della fornitura del materiale bellico alla Ucraina: ci vogliono la volontà di fare, la comprensione della effettiva necessità di farlo, la ricerca del modo di superare tutti gli ostacoli che sono purtroppo imposti dai processi democratici contemporanei… Quello che sta chiedendo, poi, non è di fatto intervento singolo o di breve durata.
Ma almeno ci ha provato.
Il media «Mediazona» scrive che nel solo mese di marzo 2024 i tribunali militari russi hanno emesso 684 sentenze per casi di abbandono non autorizzato di un’unità (articolo 337 del Codice penale russo): circa 34 sentenze in base a questo articolo ogni giorno lavorativo. Il numero di casi contro i «rifiutanti» è aumentato in modo significativo da quando è stata annunciata la mobilitazione nel settembre 2022, ma non c’è mai stato un simile ritmo come nel 2024.
Come in passato, la maggior parte delle sentenze in questi casi rimane sospesa: il soldato latitante giudicato potrebbe essere inviato al fronte. Ma per noi i risultati di questo studio giornalistico sono un altro utile dato statistico che parla del grado di sostegno alla guerra tra le persone che si trovano già (per vari motivi) nel sistema dell’esercito russo.
La Reuters scrive che la Russia ha chiesto al Kazakistan di essere pronta a fornirle 100.000 tonnellate di benzina in caso di carenza di carburante in seguito agli attacchi dei droni ucraini e alle interruzioni del lavoro delle raffinerie di petrolio.
Io non so ancora cosa e come risponderà il Kazakistan che politicamente è sempre più vicino alla Cina (la quale, a sua volta, preferisce avere i buoni rapporti con i mercati occidentali che con la Russia in guerra) che alla Russia. Quindi nel frattempo ammiro il grafico che illustra l’impatto degli attacchi ucraini alle raffinerie russe.
La parte scura del «barile» in basso a sinistra è la produzione del carburante russo (in milioni di tonnellate) dopo tutti gli attacchi ucraini, mentre la parte chiara è quella prima di tutti gli attacchi.
P.S.: ovviamente, capite che il carburante serve anche per condurre la guerra.
Il Washington Post, citando fonti a conoscenza della conversazione, scrive che Donald Trump ha detto in una conversazione privata che potrebbe porre fine alla guerra in Ucraina facendo pressione su Kiev per cedere la Crimea e il Donbass alla Russia.
Se questo dovesse essere vero, abbiamo una conferma del fatto che pure Trump non ha capito un tubo di questa guerra. Io, personalmente, non mi sorprendo dal sentire una ennesima idiozia da quel personaggio, ma posso utilizzare la notizia stessa per ricordarvi: solitamente le soluzioni semplici vanno bene solo per i problemi semplici (quelli che in realtà non sono nemmeno dei problemi, ma degli eventi banali ingranditi dalle menti disorientate).
Il motivo della guerra in Ucraina, come dovreste sapere bene, può essere spiegato in diversi modi, ma sicuramente non si tratta di una guerra per un territorio. È una guerra, in sostanza, di una tradizione politica antiquata contro una politica occidentale moderna. L’obiettivo minimo di Putin è quello di far tornare il modello antiquato su un territorio «storicamente slavo», dunque «suo» (il quale, territorio, «non deve» nemmeno «dare l’esempio cattivo» alla «sua Russia»). Ma se potesse, avrebbe portato la guerra anche oltre, fino a Lisbona. Di conseguenza, in un primo momento potrebbe anche accettare la «soluzione di Trump», ma solo per accumulare le forze militari per un nuovo attacco. Ma anche di questo ultimo aspetto è già stato scritto abbastanza…