Dal lunedì 23 settembre al venerdì 27 settembre a Milano si svolgerà la quattordicesima edizione della cosiddetta «Missione culturale russa». Si tratta di una serie di iniziative volte alla promozione della cultura russa in Italia. Tutti i dettagli possono essere letti sulla pagina dedicata della Camera di Commercio Italo-Russa. Io, almeno nel post di oggi, mi concentrerei sui film russi che verranno proiettati in quei giorni.
La lista dei nomi e delle rispettive informazioni si trova su questo pdf (per la versione italiana andate direttamente alla seconda pagina). Io posso consigliarvi due di quei film.
Il primo è «Come Vitka l’Aglio accompagnava Lyokha il Perno alla casa di riposo» del regista Aleksandr Khant. È un film con alcuni minimi problemi di montaggio finale (nel senso che un paio di scene rimane poco comprensibile dal punto di vista logico), ma complessivamente bello. È un film serio – e allo stesso tempo non pesante – che parla della impossibilità di rendere razionali alcuni rapporti umani quotidiani. Ci sono dei bravi attori (soprattutto i due protagonisti) e una interessante evoluzione di uno dei due rispettivi personaggi.
Martedì 24 settembre alle 19:30 al cinema «Odeon».
Il secondo film del programma che posso consigliarvi con serenità è «Una matta, matta, matta corsa in Russia» di Eldar Ryazanov. Non è proprio un grandissimo capolavoro cinematografico, ma – sempre secondo la mia opinione personale – una commedia abbastanza simpatica. Rischierei di rovinarvi la visione con dei spoiler, quindi mi limito a dire che per il pubblico italiano il film potrebbe essere interessante almeno per la possibilità di vedere Alighiero Noschese, Ninetto Davoli, Tano Cimarosa e Luigi Ballista recitare in un film sovietico d’avventura ambientato a Leningrado. Inoltre, trovo veramente strano che il film sia totalmente sconosciuto in Italia: nessuno dei miei amici e conoscenti italiani lo ha visto.
Mercoledì 25 settembre alle 19:30 presso il Centro Culturale di Milano.
Poi ci sarebbe anche un film del bravo regista Khudyakov, ma non avendolo ancora visto non posso permettermi di consigliarlo a voi.
P.S.: i non milanesi possono consolarsi con altri miei consigli cinematografici.
L’archivio del tag «film»
Poco fa ho scoperto che il 27 agosto si celebra – in Russia – la Giornata del cinema russo. È stata istituita nel 2001 in qualità della festa professionale dei cineasti russi e, allo stesso tempo, della festa degli amatori del cinema russo. Tale festa esistette già ai tempi dell’URSS tra il 1986 e il 1991 e fu fissata per il 27 agosto perché in tale data nel 1919 fu nazionalizzata l’industria cinematografica della Russia sovietica.
Per festeggiare la versione contemporanea della cine-festa potremmo rivedere qualche film russo bello girato dopo il 2001. Facciamo che sia «Tesnota» (2017) del giovane regista Kantemir Balagov. Pianificavo di consigliarvelo prima o poi, ed ecco che è arrivata una buona occasione.
È un film di qualità e mi sembra che lo abbiano anche tradotto in italiano (e pure mostrato nei cinema italiani ad agosto di quest’anno).
Non è certamente una commedia, ma non induce nemmeno di fare un passo oltre la finestra come alcuni film dei miei consigli precedenti.
Una delle stupidità cinematografiche più grandi al mondo è un attore che «guida» senza guardare la strada. Parla con la tipa accanto per cinque minuti e solo una volta, per mezzo secondo (e per sbaglio), da uno sguardo a quello che succede davanti.
Capisco che nei film è tutto relativo, ma così è troppo. A questo punto si potrebbe autorizzare l’attore a staccare le mani dal volante e girarsi verso il/la compagno/a del viaggio come si starebbe al bar. Tanto la macchina viaggia su una piattaforma.
Ho pensato che potrebbe avere senso pubblicare, a volte, dei documentari russi interessanti che il pubblico occidentale non riuscirebbe a scoprire senza un suggerimento di un russo. In sostanza, senza il mio suggerimento, cari lettori miei!
Quasi un mese fa vi avevo proposto il documentario «Kolyma» di Yury Dud.
Oggi, invece, posto un altro film dello stesso autore: «L’uomo dopo la guerra», dedicato a un semplice veterano della prima guerra in Cecenia (1994–1996). Ritengo importante precisare un dettaglio che potrebbe non essere evidente a tutti gli spettatori italiani: si tratta non di un militare professionista, ma uno di quei tantissimi giovani che sono stati mandati in guerra mentre prestavano il semplice (e obbligatorio) servizio militare di leva. Sì, avete capito bene: in Russia è una pratica ben affermata già dai tempi dell’URSS.
Il film non è lunghissimo: dura poco più di 35 minuti. Spero che a qualcuno di voi aiuti a liberarsi di certe illusioni.
Il documentario è realizzato in lingua russa ma ha i sottotitoli ufficiali in inglese: se non partono in automatico, attivateli voi.
Fate i bravi.
Non tutti lo hanno capito…
Ma i fan del FaceApp stanno inconsapevolmente partecipando alla campagna pubblicitaria di massa del film «Terminator: Dark Fate»:
Oppure è il suddetto film a essere la pubblicità del FaceApp?
Boh, lo scopriremo nei migliori cinema del mondo a novembre.
Alla fine di aprile il popolarissimo video-blogger Yury Dud ha pubblicato sul proprio canale su Youtube il documentario «Kolyma», abbastanza atipico in mezzo agli argomenti solitamente trattati dall’autore. Il film è dedicato a quella parte della regione russa Jacuzia che prende il nome dal fiume Kolyma e che per diversi decenni del XX secolo è stata nota prevalentemente per i campi di detenzione e di lavoro dei detenuti politici.
Dal punto di vista dei contenuti storici, il film era stato pensato e realizzato per il pubblico giovanile russo (i russi di età 30+ hanno letto sull’argomento infinitamente più cose). Alcuni dettagli della vita attuale in quei luoghi possono invece essere poco conosciuti alle persone di ogni età.
Partendo dal presupposto che, rispetto a un russo medio, il pubblico europeo di ogni fascia di età è meno informato sulla storia e sulla attualità di quei luoghi, ho pensato che fosse giusto condividere con i miei lettori quel documentario.
Dura 2 ore e 17 minuti, quindi lo pubblico il venerdì sera per lasciarvi la massima libertà sulla scelta dell’orario per la visione.
Il documentario è realizzato in lingua russa ma ha i sottotitoli ufficiali in inglese: se non partono in automatico, attivateli voi.
Intanto sto riflettendo sulla opportunità di pubblicare una lista di libri validi sul sistema del Gulag.
Uno dei modi più sicuri di rovinare la lettura di un libro e la visione di un film è aprirlo con le parole «tratto da una storia vera».
Se non è un libro di storia o un documentario, che cazius me ne frega della veridicità? Mi interessano solo la qualità delle idee trasmesse e il modo di raccontare.
Purtroppo, il cervello umano sa funzionare secondo un solo principio: costruire i concetti nuovi con i mattoncini delle conoscenze accumulate (viste, sentite, lette), uniti tra loro in proporzioni e disegni corrispondenti alle capacità sviluppate. Ma pure la quantità e la qualità dei mattoncini contano.
In ogni caso, la frase «tratto da una storia vera» va letta come «ve la racconto così com’è perché sono povero di cervello».
Riprendendo la tradizione di consigliare, periodicamente, dei film russi da vedere, mi ero anche ricordato dell’obiettivo di proporre qualcosa di non troppo pesante (almeno dal punto di vista psicologico). Finalmente riesco a rispettare, oggi, quest’ultimo criterio.
Il film «Mosca non crede alle lacrime» (1979) di Vladimir Menšov è di genere drammatico, ma in sostanza è la versione sovietica di «Cenerentola»: una storia di popolarità infinita nel cinema mondiale di tutti i tempi. Quindi non può assolutamente sembrare un film deprimente.
Nel 1981 ha pure vinto l’Oscar al miglior film straniero.
Aggiungo anche una piccola storia curiosa. Nel 1981 nessuno dei creatori del film ebbe l’autorizzazione dello Stato di andare negli USA per la cerimonia della premiazione, quindi la statuetta dell’Oscar fu ritirata da un segretario della ambasciata sovietica. Vladimir Menšov, il regista del film, apprese la notizia della vittoria dal notiziario serale del 1 aprile (la cerimonia si svolse il 31 marzo) e quindi pensò che si trattasse di uno scherzo. Fino al 1988 la statuetta fu custodita negli archivi dell’Ente per la produzione cinematografica. Solamente quando fu data in mano al regista per la prima volta (sette anni dopo la vittoria!) e solo per fare una foto (!!), egli si rifiutò di ridarla indietro e la portò finalmente a casa (nel 1988 ormai rischiava relativamente poco).
Pare che sia finito il «Trono di Spade» del quale scrivono pure gli analfabeti.
Io, che non ne ho visto nemmeno una puntata, mi sono guadagnato un posto al museo: in qualità del pezzo da esporre.
Non sono proprio l’unico? Potrebbe anche essere. Allora mi candido alla posizione di colui che vede una serie ogni due anni e non sa bene cosa sia il Netflix (valuto troppo caro il proprio tempo).
Però, conoscendomi, non escludo che tra cinque o dieci anni mi possa venire la curiosità di vedere un paio di episodi del «GoT». Tanto per capire le cause della moda.
È da un po’ che non consiglio dei film russi da vedere. Quindi oggi tento di rimediare con un bel esempio: «Brother» (1997) di Aleksej Balabanov. Si tratta di un film d’azione un po’ grottesco in alcuni aspetti e quasi comico in alcuni altri, che allo stesso tempo non tenta di imitare i film americani del genere. Il suo personaggio protagonista è tipicamente russo nelle sue irrazionalità ed efficienza «estrema».
Non posso non fare anche un avvertimento importante: non confondete questo film con il «Brother 2» (una «continuazione» di pessima qualità).
P.S.: ahahaha, è già il secondo film del regista che vi consiglio. Il post con il primo consiglio.