Per scoprire quante cose sa Facebook sull’Utente X (al posto della X immaginate il proprio nome), è sufficiente cliccare sul link https://www.facebook.com/help/1701730696756992.
Seguendo la giusta combinazione dei link presenti sulla pagina che si apre, potrete richiedere l’archivio delle informazioni relative alla vostra persona. Il link all’archivio arriverà via mail: cliccandoci sopra potrete scaricarlo per poi aprirlo e scoprire quanto bene siete stati spiati.
Dopo tale consiglio pratico potrei darvi una bella informazione e un altro consiglio utile.
La bella informazione non costituisce in realtà un grande segreto: il Facebook raccoglie e analizza costantemente tutte le informazioni relative ai propri utenti (che hanno già superato i due miliardi nel mondo). Questa attività è utile alla crescita e la conseguente attrattività per i venditori della pubblicità. Ed è inutile, dunque, preoccuparsi per le notizie sulla vendita delle informazioni degli utenti del Facebook alle aziende terze. Siete in ogni caso seguiti e analizzati con un microscopio socio-economico.
Il consiglio utile promesso è altrettanto banale (ma allo stesso tempo sconosciuto a molti per un motivo a me incomprensibile). Se siete preoccupati per la sicurezza dei vostri dati/informazioni su internet, la soluzione è semplicissima: non inseriteli su internet. L’internet, compresi anche i social networks, possono essere utilizzati al 100% anche senza l’utilizzo delle informazioni sensibili. È sufficiente avere un po’ di fantasia.
L’archivio del tag «facebook»
Mi è già capitato di scriverlo in passato: nell’Unione Europea (come è oggi) è impossibile la nascita delle grandi aziende innovative. Il motivo principale e sufficiente è la burocrazia europea tendente a regolamentare ogni particolare di ogni aspetto della vita. Si arriva al punto di indicare alle aziende private — sia comunitarie che addirittura straniere — come devono condurre la propria attività interna.
Oggi, per esempio, abbiamo potuto apprendere la notizia sulla multa da 110 milioni di euro a Facebook per la sua gestione dei dati dell’acquisito WhatsApp.
Porco Digitus! Se io compro un appartamento e installo una porta trasparente nel bagno, la mia moglie ha la possibilità di fare una scelta tra scappare verso una casa migliore o accettare di contemplare tutto ciò che faccio dentro. La stessa libertà hanno gli utenti di un qualsiasi servizio. Si chiama il libero mercato. Ma in Europa ci si sta ormai dimenticando cosa significhi tale espressione.
Al problema della burocrazia si aggiunge poi la dominante concezione della politica fiscale comunitaria: vedere l’intero settore privato come una mucca da mungere senza pietà al fine di finanziare la burocrazia stessa e le preoccupanti tendenze socialiste comunitarie.
Tutti i fattori elencati nel presente post mi fanno pensare al periodo fascista (ebbene sì, quello italiano) quando lo Stato si permetteva di ficcare il naso nel settore privato con gli obiettivi sostanzialmente molto simili.
Nelle ultime settimane ho trascurato un po’ troppo i miei amatissimi lettori. La causa principale di tale comportamento non è però stata la mia solita pigrizia: ho semplicemente avuto tanti altri testi da scrivere. In alcuni casi si è trattato di testi decisamente più seri e importanti di quelli che potete leggere sulle pagine del mio sito.
Ma ora che l’ennesima porzione del mio lavoro accademico è andata a far fondere i cervelli altrui, posso tornare da voi. Ho deciso di compiere il primo passo verso la modernizzazione del mio sito che avevo preannunciato tempo fa. Da oggi, dopo una serie di test andati male, ha finalmente iniziato a funzionare sul mio blog un nuovo plugin che invia i miei articoli direttamente su Facebook. Quindi non ho più bisogno della «intermediazione» tecnica del mio account su LiveJournal.
Visto che qualcuno potrebbe ingenuamente chiedermi della utilità del crossposting diretto, anticipo la risposta. Il collegamento diretto al sito dovrebbe aiutarmi ad aumentare un po’ le visite sul sito stesso, quindi anche le conseguenti raccolte pubblicitarie. Potrebbe sembrare strano, ma a volte anche io voglio guadagnare qualcosa con la mia intensa vita digitale/virtuale.
Quindi il prossimo passo nella modernizzazione del sito sarà la creazione di un design più ordinato e moderno che dovrebbe facilitare la lettura e la navigazione. Poi si passerà all’introduzione di alcune utili funzionalità tecniche.
Il mio account su LiveJournal, il quale ha però accumulato nel tempo una certa quantità di lettori fedeli diversi dall’insieme di quelli che mi seguono su Facebook, non verrà di certo chiuso.
Stay tuned!
L’Ucraina è uno Stato tecnologicamente avanzato. Non si preoccupa delle piccole banalità come la lotta alla corruzione, la costruzione delle strade o la soluzione efficace dei problemi con gli Stati vicini… Però ha un account su Facebook.
Sì, mi sono espresso bene. Lo Stato ucraino è registrato su Facebook.
Il problema è che a volte lo Stato ucraino beve un po’ troppo e si mette a scrivere delle cose strane:
Ma la modernizzazione dell’Ucraina non si ferma qui. Lo Stato ucraino si è registrato pure su Twitter e Instagram!
Fino a pochi anni fa ci dispiacevamo per il triste futuro dei nostri figli e/o nipoti su internet: a loro, in quanto «arrivati troppo tardi», non sarebbero avanzati dei nickname decenti disponibili.
Ora, ma in realtà da diversi anni, il Facebook sta facendo abituare le persone a utilizzare i nomi veri su internet. In un certo senso è una tendenza positiva, ma essa comporta un altro problema: quale di quei 100500 Mario Rossi che Facebook mi propone nei risultati di ricerca è quello che mi serve? Dalle foto di profilo, in almeno la metà dei casi, non si riesce a capire molto…
Oggi mi sono accorto di avere una (ma non unica) strana patalogia.
In sostanza, ogni volta che ricevo una mail da una donna mai vista nella vita reale, vado cercarla su facebook. Tanto per capire con chi sto scambiando i messaggi scritti.
So di essere stato contagiato, ma sarei anche curioso di scoprire quanto sia diffusa questa mania.
Dalla mia pagina di Facebook è misteriosamente sparito il post del sabato 30 aprile (cliccate tranquilli che dal mio sito non sparirà mai). Suppongo che alla base del mistero sia proprio una delle parole che compngono il nome di quel quadro del XVII secolo.
Il fatto dice molto sul livello intellettuale dei moderatori di Facebook. Ma sono convinto che il livello dei miei lettori è più alto, quindi continuo a rivolgermi a loro. Cioè a voi.
Chi di voi è ancora convinto che la parola «negro» sia una parolaccia? Chi di voi ritiene che debba essere vietata dalle norme di un social network o, addirittura, dalle leggi statali? Ebbene, ho una notizia per voi. L’ultimo censimento della popolazione statunitense, quello del 2010, è stato condotto tramite questo questionario: https://www.census.gov/history/pdf/2010questionnaire.pdf.
Come potete vedere, tra le opzioni delle domande N6 e N9 risulta pure la famosa parola «negro»:
Circa 56 mila persone si sono autodefinite come «negro»: https://www.census.gov/prod/cen2010/briefs/c2010br-06.pdf.
Insomma, se qualcuno vi rimprovera per quella parola, mandatelo pure affanculo.
Ho appena letto una cosa interessantissima…
Se siete registrati su Facebook, collegatevi e provate a fare un interessante gioco. Consiste in tre passaggi:
1. Nella barra per la ricerca delle persone e dei luoghi provate a cercare il proprio numero di telefono mobile;
2. Ora provate a cercare un qualsiasi numero della vostra rubrica telefonica (cioè di un amico o di un parente);
3. E ora provate a cercare un numero inventato a caso.
Spero che tutti i miei lettori riescano a immaginare da soli quanto è facile monetizzare tale «servizio» di Feisbùc. I modi possibili sono innumerevoli. Ma non avendo alcuna voglia di vedere il cielo a righe, non sarò io a fervi degli esempi concreti.
Per qualche strano motivo, il mio post di martedì non è stato annunciato su Facebook. E’ molto probabile che si tratti di un errore momentaneo dello script al quale ho affidato l’automatizzazione del processo… La mia mania di grandezza, però, avrebbe gioito nel scoprire che la censura californiana avesse difeso l’ONU dalla mia opinione personale.
Mi ero iscritto su Facebook nell’autunno del 2008 e all’epoca esso mi sembrava una agenda multi-funzionale da utilizzare per la raccolta dei miei contatti occidentali (soprattutto quelli italiani). Negli sette anni seguenti è cambiato ben poco nel mio rapporto con il suddetto sito, il principale cambiamento visibile sta nella pubblicizzazione massiccia del mio blog e del mio sito in generale. Tuttora continuo a considerare il proprio profilo come uno spazio privato, aperto al 100% solo per i pochi eletti. E, a quanto ne so io, non sono l’unico a comportarmi in questo modo. Anzi, conosco tantissime persone molto più riservate di me.
Mi mancano comunque le parole per descrivere quanto mi diano fastidio le persone sconosciute che mi mandano le richieste di amicizia senza nemmeno presentarsi. Ma pure coloro che mi «aggiungono» senza avermi mai parlato o solo salutato nella vita reale, piena di incontri più o meno regolari. Non posso mica scrivere a tutti i richiedenti qualcosa del tipo «scusa, potresti dirmi come fai a conoscermi dato che il tuo nome e la tua foto non mi dicono un cazzo?» Di conseguenza, declino tutte le richieste provenienti dagli sconosciuti. Gli amici e i conoscenti veri me li ricordo quasi tutti e so che sono educati.
Insomma, pur non essendo un personaggio pubblico famoso, ho aggiunto il buttone «Segui» al mio profilo su Facebook. Ora gli sconosciuti non hanno più scuse: se vogliono leggere regolarmente quello che scrivo, sanno dove cliccare.
Vi faccio notare, infine, che è totalmente inutile aggiungermi tra gli amici su Facebook solo per andarmi un messaggio privato. Per le comunicazioni private esiste l’email, il mio indirizzo è pubblico da anni.
P.S.: ricordatevi che i messaggi privati di Facebook inviati agli non-amici spesso finiscono in una cartella semi-nascosta, quindi rischiano di rimanere non letti per mesi o addirittura anni.