Leggo che solo in Finlandia 1109 cittadini russi hanno chiesto asilo per paura di essere arruolati nell’esercito russo ed essere mandati alla guerra in Ucraina. Il Servizio Immigrazione finlandese ha dichiarato al media Yle che le autorità non possono concedere loro lo status di rifugiato senza una posizione dell’UE sulla questione.
Purtroppo, tale notizia è un nuovo motivo per ricordare quanto sia stupida la politica europea di oggi nei confronti dei comuni cittadini russi. In sostanza, viene ripetuto lo stesso errore che era già stato commesso ai tempi del Terzo Reich, quando i comuni tedeschi in disaccordo con la politica del proprio regime erano spesso di fatto costretti rimanere in (o tornare in) Germania a causa dell’impossibilità di stabilizzarsi — con le condizioni di vita normali — in altri Stati europei. I russi di oggi, come i tedeschi di 80+ anni fa, sono spesso costretti a tornare «da Putin» solo per avere una casa, una assistenza medica, una possibilità di lavorare etc. etc. Ma tornando contribuiscono, anche involontariamente, al prolungamento della sopravvivenza della economia di guerra russa. Mentre i politici europei, ottenendo la vittoria facile contro un nemico immaginario, contribuiscono alla continuazione della guerra. E dimostrano di non conoscere la propria storia.
Posso capire una politica del genere da parte della Ucraina: in essa c’è una forte componente emotiva e la paura delle infiltrazioni pericolose. La politica europea in materia, invece, è per nulla razionale: possono essere inventati diversi strumenti per il controllo della «qualità», del grado di rapporto con lo Stato russo e della posizione sulla guerra delle persone in ingresso.
Ma non so proprio in quale modo diplomatico (in tutti i sensi del termine) spiegarlo ai vertici europei…
L’archivio del tag «eu»
Ho letto che nel 2022 la spesa militare dell’Europa occidentale e di quella centrale ha raggiunto i 345 miliardi di euro, stabilendo un record dai tempi della Guerra Fredda. Il fatto emerge da un rapporto dell’Istituto Internazionale di Ricerca sulla Pace di Stoccolma (SIPRI). In termini reali (aggiustati per l’inflazione), l’ultima spesa per la difesa è stata così alta nel 1989. Rispetto al 2021, sono aumentate del 13%. hanno registrato i maggiori aumenti delle spese militari la Finlandia (36%), la Lituania (27%), la Svezia (12%) e la Polonia (11%).
Ecco, quando si legge dell’aumento medio europeo bisogna ricordare almeno due fattori:
1) Gli Stati geograficamente vicini alla Russia si sentono – non del tutto senza motivo – più in pericolo, quindi è logico che aumentino la spesa militare e influiscano sulla spesa media europea;
2) Molti degli Stati di cui al punto primo, nel corso della Guerra fredda stavano (certo, non del tutto per scelta loro) dall’altra parte del conflitto.
Di conseguenza, prima di reagire in un modo acceso, quasi allarmistico, alle statistiche, ricordiamoci del loro contesto.
Probabilmente avete già letto che ieri l’UE ha incluso la tristemente nota PMC Wagner in un’altra lista delle sanzioni: quella rivolta contro le persone fisiche e giuridiche che minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina. L’unico motivo per quale ci può interessare tale provvedimento è definizione abbastanza diplomatica fornita dall’UE alla Wagner:
Wagner Group è un’entità militare privata non registrata con sede in Russia, istituita nel 2014 come successore dello Slavonic Corps. È guidata da Dimitriy Utkin ed è finanziata da Yevgeniy Prigozhin. Attraverso la creazione di entità locali e con il sostegno dei governi locali, Wagner Group finanzia e conduce le sue operazioni. Wagner Group ha guidato gli attacchi contro le città ucraine di Soledar e Bakhmut nel gennaio 2023 e partecipa attivamente alla guerra di aggressione russa nei confronti dell’Ucraina. Wagner Group è pertanto responsabile di fornire un sostegno materiale ad azioni che compromettono e minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina.
Ecco: spero che con una migliore comprensione della partecipazione della Wagner ai crimini di guerra arrivi anche la comprensione del fatto che essa, la Wagner, è in una buona misura finanziata proprio dallo Stato russo: almeno attraverso la fornitura dei materiali bellici. Ma tale comprensione sarà, formalmente, il risultato delle future indagini e processi giudiziari verso i quali è stato fatto un altro piccolo passo.
Sembrava una missione impossibile (oppure una delle? ora non importa), ma il «grande» tattico Putin ci è riuscito pure in questa: intervenendo al Forum economico di Budapest, il premier Victor Orban ha dichiarato che l’Ungheria dovrà riconsiderare le proprie relazioni con la Russia a causa della «mutata realtà geopolitica». A causa della guerra e il conseguente peggioramento delle relazioni tra la Russia e l’UE, Orban propone di «pensare seriamente» sulle relazioni con la Russia nei prossimi 10–15 anni.
Tradotto nel linguaggio umano, Orban ha ammesso che nella prospettiva a lungo termine la Russia non ha alcun modello interessante delle relazioni politiche e/o economiche da proporgli. Infatti, le forniture alternative del petrolio e del gas (o le fonti alternative della energia) prima o poi arrivano pure in Ungheria, mentre la Russia putiniana rimane sempre la stessa: molto meno attraente dell’UE.
Lo ha capito – finalmente – pure Orban.
Oppure – molto più probabilmente – ha finalmente sentito la possibilità di iniziare a dirlo pubblicamente.
Ed è così che per Putin è arrivata una nuova grandissima vittoria geopolitica…
Il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione che invita le autorità russe a rilasciare il leader dell’opposizione Aleksey Navalny e altri prigionieri politici russi. Il comunicato stampa del Parlamento europeo afferma, poi, che, fino a quando i prigionieri politici non saranno rilasciati, le condizioni della loro detenzione dovranno essere conformi agli impegni internazionali della Russia. In particolare, i deputati chiedono che a Navalny sia consentito di vedere la sua famiglia e di rivolgersi ai medici e agi avvocati di sua scelta.
E poi ci sono altre belle parole sulla guerra in Ucraina e sul destino giudiziario del criminale chiamato Putin.
A questo punto non riesco a capre ben due cose: 1) a chi è rivolta la risoluzione (se non alla coscienza degli eurodeputati che vogliono sentirsi bravi) e 2) quanto bene sia chiara ai deputati europei la totale inutilità pratica del documento da loro prodotto.
Però posso sfruttare l’occasione per informarvi di una idea che mi capita sempre più spesso di sentire da alcuni giornalisti russi: Aleksey Navalny è un prigioniero politico che — mentre persiste il regime putiniano — non verrà liberato, ma nemmeno ucciso su «ordine supremo» proprio perché è una merce di scambio preziosissima. Una merce da utilizzare non per liberare qualche collaboratore importante di Putin (anche perché nessun Stato occidentale si è finora deciso di arrestarne uno, per esempio il ministro degli Esteri Lavrov), ma per ottenere qualcosa di importanza vitale in una situazione di vera emergenza. Navalny è l’oppositore russo con la notorietà e la reputazione più elevati al livello mondiale, quindi può essere scambiato, per esempio, per la possibilità dei vertici russi di fuggire da qualche parte in America latina o su qualche isola oceanica… So che sembra quasi una teoria complottistica, ma ha una sua logica interna.
P.S.: ovviamente, tutto questo non significa che la vita terrestre di Aleksey Navalny non sia quotidianamente a rischio per colpa di un impegno professionale eccessivo dei carcerieri russi.
Sicuramente lo avete già letto. Ieri gli eurodeputati hanno adottato, a maggioranza di voti, una risoluzione per l’istituzione di un tribunale speciale che persegua i vertici politici e militari di Russia e Bielorussia per l’aggressione militare contro l’Ucraina.
Ovviamente sono infinitamente contento per il fatto che si siano finalmente decisi, ma allo stesso tempo capisco benissimo che per ora si tratta solo di una semplice presa di posizione politica. Lo dico non solo perché le risoluzioni del Parlamento europeo non sono vincolanti. Lo dico anche e soprattutto perché capisco bene – come lo capiscono pure molti politici europei – che la maggioranza dei vertici politici russi (ne abbiamo in mente prima di tutto uno) quasi sicuramente non farà in tempo a diventare l’imputato di un tribunale speciale peri crimini di guerra.
Non farà in tempo non perché qualcuno si decida a eliminarlo fisicamente, ma perché è una persona ormai non giovanissima. Attualmente ha 70 anni; chissà quanti ne avrà quando:
a) si arriverà a un compromesso sulla competenza territoriale del giudice (l’istituzione di un tribunale in Ucraina, secondo il diritto internazionale, non è meno logica di un tribunale speciale sul modello di quello dell’Aja);
b) verrà realmente creata la normativa per l’istituzione del tribunale speciale;
c) verranno svolte tutte le indagini;
d) verranno formulate le accuse e individuati i primi imputati;
e) finirà la guerra;
f) gli imputati verranno fisicamente catturati e portati sul territorio del tribunale.
Ecco, ora dovreste immaginare che di anni ne passeranno ancora tanti. Mentre la vita terrestre di ogni umano è naturalmente limitata.
Però la dichiarazione politica del Parlamento europeo è importante. Anche perché potrebbe valere come l’ultimo avvertimento a certi collaboratori dei vertici politici russi.
Inizio a pensare che il primo ministro ungherese Viktor Orban si sia finalmente realizzato nel ruolo di Aleksandr Lukashenko dell’Unione europea. È sicuramente più pacifico nel difendere il proprio potere (non è difficile), meno antidemocratico (pure questo non è difficile) e quasi altrettanto bravo a ricattare la grande entità territoriale vicina per finanziare il «proprio» Stato (una arte che si impara abbastanza facilmente). Per ora ottiene meno soldi e li prende dall’UE invece che dalla Russia, ma queste sono le uniche differenze. Pure Lukashenko fa intendere – ogni qualvolta chiede qualcosa a Putin – che ci sarebbe il «rischio» del suo avvicinamento all’Europa.
Infatti, ieri l’Ungheria ha accettato di sbloccare un programma di aiuti europei all’Ucraina per 18 miliardi di euro dopo che l’UE ha fatto delle concessioni sulla questione dei sussidi europei all’Ungheria stessa. Il premier Viktor Orban ha affermato che non si sarebbe trattato di un ricatto o di un abuso del «potere di veto» (nelle procedure che richiedono l’unanimità degli Stati-membri) da parte sua. Mentre noi sappiamo – o possiamo facilmente immaginare – che non si tratta dell’ultima porzione di grandi aiuti finanziari europei all’Ucraina.
Ecco, in tanti dicono che Orban sarebbe il più grande alleato di Putin nell’UE, uno degli strumenti utilizzati per destabilizzare e disunire la politica europea. Ma la realtà potrebbe essere decisamente più comoda al mondo sviluppato: Orban sarebbe non un agente di Putin, ma solo un opportunista che può essere comprato all’asta. Finché conta qualcosa nella politica ungherese.
Nei giorni scorsi avete sicuramente letto che l’UE e i membri del G7 hanno finalmente deciso di imporre un prezzo fisso al petrolio russo. Tale prezzo inizialmente sarà di 60 dollari al barile, ma la somma è in realtà solo un dettaglio poco significativo.
Infatti, dal punto di vista economico l’idea del prezzo fisso non è proprio il massimo. Capisco benissimo l’intenzione di colpire il regime politico russo e il tentativo di non finanziare la guerra, ma il mercato del petrolio rimane sempre globale. Di conseguenza, il prezzo fisso viola le leggi del mercato, aumenta il costo dell’energia e permette agli acquirenti di guadagnare sulla aggressione russa (qualcosa del genere sarebbe successo anche con tutte le altre merci di questo mondo). Mi sembra che sarebbe molto più giusto e sensato permettere alla Russia di vendere qualsiasi quantità di petrolio al prezzo di mercato, ma a una condizione.
Tutto il petrolio russo dovrebbe essere venduto attraverso un fondo speciale, che stabilirà la redditività approssimativa della sua estrazione (più o meno 30 dollari al barile). Tale importo andrebbe trasferito sul conto delle compagnie petrolifere che hanno estratto il petrolio venduto. Altri 5 dollari ricavati dalla vendita di ogni barile andrebbero messi da parte in un conto speciale: la Russia potrà spendere il denaro accumulato su quel conto per l’acquisto di qualsiasi bene umanitario, per esempio medicinali. Tutto il rimanente dalla vendita del petrolio potrebbe essere trasferito alla Ucraina in qualità del risarcimento per i danni della guerra.
Facciamo un esempio pratico. Supponiamo che il normale prezzo di mercato di un barile del petrolio Urals sia di 65 dollari: l’Ucraina riceverà 30 dollari per ogni barile venduto dalla Russia. Si tratterrebbe non solo di una giustizia economica, ma anche di quella psicologica: i residenti del Cremlino osserveranno, con terrore e disperazione, che ogni barile venduto sta aiutando l’Ucraina e non la guerra.
Ovviamente è una soluzione meno facile di quella del prezzo fisso (ma le soluzioni facili funzionano?) e almeno in parte raggirabile (ma lo è pure quella del prezzo fisso), ma può essere in qualche modo provata.
Purtroppo, non sono (ancora) un economista di fama mondiale, ahahahahaha
Oggi il Consiglio ha adottato all’unanimità la decisione di aggiungere la violazione delle misure restrittive (nel linguaggio più comune e umano si chiamano sanzioni) all’elenco dei «reati dell’UE». Dunque, ora i tentativi di raggirare le sanzioni entreranno, quasi sicuramente, in una buona compagnia: il terrorismo, il traffico degli esseri umani, lo sfruttamento sessuale di donne e bambini, il traffico di droga e armi, il riciclaggio di denaro, la corruzione, la contraffazione di valuta, la criminalità informatica e la criminalità organizzata.
Considerando il contesto nel quale solitamente vengono adottate le sanzioni, la suddetta notizia diventa però meno comica. Il dettaglio che mi interessa maggiormente è la definizione che verrà data al nuovo reato: le sanzioni europee (e non solo europee) sono talmente diverse tra esse (e appartengono a ambiti molto diversi) che non riesco a immaginare una norma unica e specifica. Di conseguenza, ora sono proprio in attesa di osservare tanta comicità pseudo-giuridica nei prossimi mesi.
Il cancelliere tedesco Olaf Scholz e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, hanno invitato – in un articolo pubblicato sul quotidiano Frankfurter Allgemeine Zeitung – i Paesi occidentali a sviluppare un equivalente del Piano Marshall per la ripresa dell’Ucraina.
È veramente curiosa questa capacità di elaborare i piani belli per il futuro radioso sanza compiere, allo stesso tempo, degli sforzi sufficientemente grandi per avvicinare quel futuro… Anzi, tale capacità è abbastanza diffusa tra le persone «normali», ma è molto curiosa da osservare tra le persone che hanno raggiunto qualcosa nella vita.
La guerra putiniana in Ucraina prima o poi finirà: per dei motivi fisiologici (relativi ad alcune persone concrete) o tecnici (perché pure ora l’esercito russo si trova a combattere, in sostanza, contro le risorse di tutto l’Occidente). Ma non bisogna essere un genio per capire che un nuovo «Piano Marshall» è molto più utile a uno Stato sopravvissuto che a un cimitero enorme. Avere paura ad aiutare di più ora significa far aumentare quel cimitero.