Mi era già capitato di scrivere del molto «divertente» trucco del Comune di Mosca: dedicare il pezzo della via in cui si trova l’ambasciata statunitense alla cosiddetta Repubblica Popolare di Donetsk. Il trucco, ovviamente, aveva per l’obiettivo costringere i diplomatici americani a un mezzo-riconoscimento – tramite l’indicazione del nuovo indirizzo sui documenti ufficiali – della entità territoriale affiliata alla Russia.
Ma gli americani hanno dimostrato di avere una buona fantasia e abbastanza senso dello humor. Ora indicano, sui documenti e sul sito ufficiale della ambasciata, non l’indirizzo ma le coordinate:
Respect!
L’archivio del tag «diplomazia»
La grande notizia di ieri era in realtà scontata: Erdogan ha «acconsentito» l’adesione della Svezia e della Finlandia alla NATO. Era scontata non solo perché la diplomazia è sempre una trattativa, ma anche e soprattutto perché Erdogan è un uomo dell’est. Un uomo dell’est non vende alcunché senza trattive lunghe, accese e piene di pseudo-rifiuti «categorici» di accettare le proposte della controparte. Molto probabilmente la maggioranza dei miei lettori occidentali conosce poco o per nulla tale modo di fare, mentre per me è sempre stato evidente il concetto di base: Erdogan alla fine accetta, ma bisogna vedere in cambio di cosa.
In sostanza, Erdogan ha ottenuto due cose. La prima era facilmente immaginabile: la Finlandia e la Svezia hanno concordato di «prevenire le attività» del Partito dei Lavoratori del Kurdistan e delle altre strutture che la Turchia considera terroristiche. Inoltre, si sono impegnate a non sostenere la Forza di autodifesa curda siriana (YPG) – affiliata al Partito dei lavoratori del Kurdistan – e il movimento FETO del predicatore Fethullah Gülen.
La seconda cosa ottenuta da Erdogan era un po’ meno ovvia (probabilmente in forza delle nostre dimenticanze), ma sempre logica: la Finlandia e la Svezia hanno accettato di revocare l’embargo sulle armi alla Turchia precedentemente imposto in risposta alle azioni della Turchia in Siria nel 2019.
Direi che in entrambi i casi la vittoria diplomatica di Erdogan può anche essere considerata temporanea (almeno nel lungo periodo: in futuro nessuno impedisce, per esempio, a riavviare le discussioni sul destino dei curdi), mentre l’importante rafforzamento della NATO è permanente.
Tutti, compresi i nuovi due membri, ringraziano vivamente lo sponsor politico principale di tale rafforzamento. Conoscete benissimo il suo nome, quindi è inutile che io lo scriva ancora una volta.
Se io non conoscessi il partito di appartenenza del ministro di Maio, avrei pensato che il suo «piano per la pace in Ucraina» fosse la manifestazione di un improvviso colpo di pazzia (probabilmente dovuta al caldo di questi giorni). Infatti, è riuscito a esprimere – in soli quattro punti – un curioso mix tra gli «accordi di Minsk» (i quali sembravano essere scritti apposta per rimanere impossibili da rispettare) e le iniziali «proposte» della Russia per le trattative bilaterali Russia – Ucraina (proposte/richieste poi fortemente ridimensionate con l’emergere delle difficoltà dell’esercito russo nell’avanzare sul territorio ucraino).
Il «piano» presentato da di Maio sembra dunque molto più favorevole alla Russia che alla Ucraina. La prima avrà la possibilità di sostenere di avere raggiunto l’obbiettivo di scongiurare l’ingresso della Ucraina nella NATO… Ora trascuriamo pure due semplici fatti: 1) la NATO non voleva l’Ucraina prima del 24 febbraio; 2) non si capisce perché qualcuno debba decidere per uno Stato sovrano terzo sulla sua eventuale adesione alle alleanze varie.
L’Ucraina, invece, dovrebbe perdere – in base al «piano» italiano – il controllo su altri territori e la speranza di riavere il controllo sulla Crimea.
Io, in questo momento, non posso fare delle previsioni sulla reazione di Zelensky e di Putin di fronte a quei quattro punti. Ma posso prevedere altre due cose: 1) per una notevole parte del popolo ucraino l’accettazione di quel piano sarà una forma di resa; 2) il tentativo di fare contento Putin è una soluzione molto temporanea del problema. Infatti, accumulare le forze in uno Stato non democratico per una nuova guerra è molto più facile che ricostruire uno Stato di qualsiasi tipo distrutto dalla invasione militare già avvenuta.
E la nuova invasione chissà dove e quando inizia. Ma sicuramente inizia. Perché, per esempio, non è stato raggiunto l’obiettivo minimo putiniano di conquistare il passaggio via terra verso la Crimea «russa».
P.S.: capisco benissimo che di Maio non poteva proporre un qualsiasi piano in piena autonomia dal Governo. Mi stupisce quindi la grande ingenuità con la quale è stato accettato.
Ora che più o meno tutti hanno letto la (o sentito parlare della) intervista di Mario Draghi pubblicata ieri, posso dire che nel mondo c’è almeno una persona in più che ha finalmente capito tutto. Perché questa frase è un ritratto sintetico ma preciso di Vladimir Putin:
Comincio a pensare che abbiano ragione coloro che dicono: è inutile che gli parliate, si perde solo tempo.
Dopo averla letta, mi sono improvvisamente ricordato delle parole di Angela Merkel sullo stesso personaggio, dette – come sostengono i giornalisti – a Barak Obama: «non sono sicura che Putin abbia mantenuto il contatto con la realtà». Quel commento era stato pronunciato all’inizio di marzo del 2014, dopo una conversazione telefonica tra Merkel e Putin dovuta alla invasione russa della Crimea (la quale era in corso proprio in quel periodo).
Aspettiamo altri otto anni per la prossima illuminazione? O acceleriamo un po’ il ritmo?
Alle persone che si interessano un po’ più profondamente dei difficili (ehm, sì, proprio difficili) rapporti attuali tra la Russia e l’Ucraina è sicuramente capitato di leggere che ai cosiddetti «negoziati» in Turchia (ma anche quelli precedenti) aveva partecipato anche il ben noto a tutti Roman Abramovič. Una persona media potrebbe a questo punto chiedersi: come c’entra questo amante del calcio inglese e degli yacht giganti con le trattative sulla fine di una guerra? Direi che per una persona media è una domanda abbastanza logica.
Io, a questo punto, potrei dividere la mia risposta in due parti. Prima di tutto, posso consigliare a tutte le persone realmente interessate ad approfondire l’argomento di leggere il recente articolo – un po’ lungo ma ben fatto – pubblicato sul Financial Times. L’accesso è a pagamento, ma potreste riuscire a organizzarvi con una spesa minima o, per esempio, attraverso qualche accordo / offerta messa a disposizione dalla vostra azienda (lo dice uno che sfrutta l’università, ahahaha).
La seconda cosa che posso dirvi circa il coinvolgimento di Abramovič nei «negoziati» è un principio che ho avuto l’occasione di approfondire diverse volte durante i miei studi degli ultimi dieci anni. Tra le varie – e vere! – doti imprenditoriali di Roman Abramovič ce n’è una particolarmente interessante: la sua incredibile capacità di raggiungere gli accordi funzionanti e rispettati dalla controparte, ma non scritti, non registrati, non depositati, non firmati, non qualsiasi altra cosa… Una buona parte delle ricchezze di Abramovič è stata accumulata – o a volte salvata – proprio grazie alla suddetta capacità.
La capacità che si è rivelata utile anche in questo nuovo contesto, in quel momento quando si cerca di fare 1) i negoziati-perditempo; 2) i negoziati con i risultati che si potrebbe «dimenticare» per primi in un qualsiasi momento futuro.
Perché Abramovič ha accettato di partecipare a una impresa del genere? Perché una delle abilità principali di ogni imprenditore russo – indipendentemente da quanto sia autonomo e grande – è quella mantenere i buoni rapporti con i detentori del potere: per salvare la propria attività, le proprie ricchezze e la propria libertà. Chi non ha questa capacità non esiste in qualità di un imprenditore russo. Abramovič, come tutti gli altri, potrebbe anche tentare di mollare ogni impegno e stabilirsi da qualche parte in Europa o negli USA, ma capisce che nessuno può ormai garantirgli l’infinita indulgenza dalle sanzioni.
Tanti media occidentali scrivono dei «negoziati» tra la Russia e l’Ucraina in Turchia. Tale incontro (non il primo e non l’ultimo) è sicuramente un fatto di cronaca interessante, ma non lo è nel senso più globale: dal punto di vista politico o addirittura storico. Infatti, prima di iniziare a spendere tempo per seguire i fatti di cronaca simili, bisogna capire alcuni principi. Per esempio:
1. Putin (non mi va di scrivere Russia) non vuole fare i negoziati con l’Ucraina. Vuole fare i negoziati con una parte terza (possibilmente la NATO) che possa garantire il rispetto degli accordi raggiunti da parte degli ucraini. In parte è una manifestazione di disprezzo nei confronti dei vertici ucraini e in parte è una manifestazione della ovvia mancanza di fiducia verso l’intero Paese: nemmeno il migliore tra gli accordi possibili fermerà da solo i comportamenti ostili nei confronti dei militari russi che si trovano sul territorio ucraino.
2. I membri della delegazione russa attuale politicamente valgono più o meno 0 (zero). Anzi, il capo Vladimir Medinsky è un noto buffone (sì, lo chiamo in questo modo molto diplomatico) che da anni viene utilizzato dal Cremlino per mettere in circolazione e/o attuare le idee più assurde. Di conseguenza, qualsiasi accordo raggiunto o qualsiasi promessa fatta da questa delegazione può essere disdetto — in qualsiasi momento — unilateralmente da Putin. Quest’ultimo si sta riservando tale possibilità.
3. Putin non sarà assolutamente disposto a cessare la guerra e fare uscire le truppe senza prendere qualche territorio ucraino in più. Nel caso contrario farà molta più fatica a parlare di una vittoria. Una sconfitta, invece, non è compatibile con la psicologia di Putin.
Tenendo conto dei suddetti principi, aspettiamo che arrivino i negoziati seri, e non quelli fatti per creare l’illusione delle buone intenzioni.
Il lunedì 7 febbraio a Mosca si erano incontrati Vladimir Putin e Emmanuel Macron. L’obbiettivo dell’incontro era quello di discutere dello stato attuale nei rapporti tra la Russia e l’Ucraina (in molti parlano di una possibile invasione, mentre a me quest’ultima continua a non sembrare particolarmente probabile). Apparentemente, non ci sarebbero [ancora] dei risultati visibili di quell’incontro, anche se coinvolgere Putin in una conversazione seria di quasi sei ore è in realtà un grande successo.
Quindi per ora possiamo commentare solo la modalità con la quale si è svolto l’incontro «in presenza»:
Dal punto di vista diplomatico è tutto semplicissimo. Prima di tutto bisogna ricordare che ormai da quasi due anni a tutti coloro che vogliono incontrare Putin dal vivo viene imposta una quarantena di due settimane (le uniche, rarissime, eccezioni sono fatte per gli incontri con dei leader stranieri: per esempio, si potrebbe ricordare l’incontro con Xi Jinping del 4 febbraio). Allo stesso tempo, bisogna ricordare che Putin vuole fortemente essere riconosciuto come un attore della grande politica internazionale, mentre Macron vuole da tempo diventare il principale leader europeo (dato che Angela Merkel ha «finalmente» liberato tale posizione). Di conseguenza, Macron è andato serenamente a Mosca per affrontare un incontro difficile, mentre Putin lo ha «autorizzato» a non fare la quarantena. Il mega-tavolo della foto riportata è, in sostanza, un compromesso.
A me sono piaciute tanto alcune reazioni popolari a tale compromesso. La migliore, secondo me, è questa:
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Molto probabilmente a qualcuno è già capitato di leggere dell’ambasciatore britannico Laurie Bristow, il quale non ha lasciato l’Afghanistan per poter controllare personalmente l’evacuazione dei connazionali e dei collaboratori afghani.
In merito a questa sua decisione, l’aspetto che in un certo senso mi preoccupa è la tendenza di definire eroe una perona che non molla tutto e non scappa dal proprio lavoro alla prima difficoltà seria riscontrata. Nelle condizioni ideali, la presenza fisica costante di un ambasciatore sul territorio è sempre meno necessaria: serve solo per alcune (poche) conversazioni tecniche che gli umani, nonostante tutto, sono ancora abituati a fare di persona. Laurie Bristow, invece, ha deciso di essere presente nel posto giusto al momento giusto: in un luogo di emergenza, dove la gestione non poteva essere effettuata «a distanza» o rinviata ai tempi migliori.
Il confine tra l’eroismo (da una parte) e le pure professionalità e serietà (dall’altra) è sempre stato, nella mia logica, molto più lontano. In un mondo sano quel confine non dovrebbe essere tracciato esageratamente vicino alla normalità.
Più o meno tutti hanno almeno sentito parlare che nelle sedi istituzionali turche si osserva un forte deficit di mobili, in particolare delle sedie.
Qualcuno ha anche logicamente osservato che le manifestazioni pubbliche alle quali partecipano i rappresentanti di più Stati o Istituzioni, vengono solitamente precedute dagli accordi degli «uffici del protocollo» su tutti i dettagli dell’incontro previsto.
A questo punto si potrebbe sospettare che una delle parti (l’ufficio europeo o quello turco) non abbia fatto bene il proprio lavoro. Oppure, si potrebbe sospettare che la parte turca abbia violato gli accordi raggiunti (è solo un sospetto, quindi non mi distraggo facendo delle riflessioni sul «cattivo» Erdoğan).
Ma, in fondo, quelli sono tutti esercizi mentali inutili perché troppo lontani dai normali rapporti tra più persone adulte e razionali. Quindi non posso non citare il più normale tra i commenti letti, quello di un professore della mia Facoltà:
Credo – mi posso sbagliare – che nell’ordine protocollare, il Presidente del Consiglio europeo preceda il Presidente della Commissione anche se, ovviamente, non si può parlare né di Capo di Stato, né di Capo di governo vista la natura sui generis della U.E. Dal canto suo, Erdoğan è Capo di Stato e di governo dopo l’ultima riforma costituzionale turca (sempre, se non mi sbaglio). D’altro canto, se è vero che il Ministro degli Esteri turco era seduto sul divanetto, in quanto Ministro, il suo rango – sempre scontata la natura sui generis della U.E. – era inferiore a quello della Presidente della Commissione. Probabilmente, un cerimoniale più attento, da parte europea, avrebbe curato un allestimento simile a quello di altre visite bilaterali U.E.–Turchia, ovvero con Erdoğan al centro e i due Presidenti (di Commissione e Consiglio) ai lati (e ciò poteva essere fatto anche rispetto al distanziamento anti COVID-19: la sala sembra molto larga). Ciò detto, se fossi stato Charles Michel, con un gesto di cavalleria sia istituzionale – fra Commissione e Consiglio – che da gentiluomo attento alla parità di genere, avrei chiesto io che fosse portata un’altra sedia, rimanendo in piedi fino a che ciò non fosse avvenuto.
Passati ormai otto giorni dal 24 novembre, il giorno in cui è stato abbattuto dalla Turchia un bombardiere russo, possiamo parlare delle contromisure. In teoria, la contromisura di proporzioni eque sarebbe l’abbattimento di un aereo turco da parte della Russia. Una contromisura del genere, però, rischierebbe di trasformarsi facilmente in una guerra tra la NATO e la Russia: speriamo che di evitarla! Vediamo quindi le possibili contromisure di natura meno fatalistica. Dico «possibili» perché ho pensato di dividerle in due gruppi: quelle adottate dallo Stato russo e quelle proposte dalla opposizione. Penso che sia inutile precisare che le proposte della opposizione non vengono nemmeno lette dal Presidente e dal Governo. Noi, però, leggiamo tutto e siamo sempre in grado di scegliere quali misure ci sembrano più sensate.
Tutte le contromisure che la Russia si è dimostrata capace di prendere sono ora riunite nel decreto presidenziale firmato da Vladimir Putin il 28 novembre 2015. Esse sono:
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