L’articolo che segnalo questo sabato è dedicato alla storia di una singola – ma una delle tantissime – persona: la detenuta e prigioniera (in tutti i sensi) politica Irina Navalnaya. È una ragazza ucraina di 26 anni fermata (in italiano si legge rapita) dai militari russi nell’area occupata di Mariupol e accusata di preparare un attacco terroristico durante il «referendum» sull’adesione della regione alla Russia.
Non è una parente di Alexey Navalny, anche se porta lo stesso cognome (al femminile): proviene da una zona dove quel cognome è abbastanza diffuso, ma non tutti i suoi portatori sono dei parenti tra loro. Allo stesso tempo, anche grazie al cognome famoso il caso di Irina è diventato largamente noto: non so se nel breve periodo la notorietà si rivelerà un fattore positivo nel suo destino, ma, almeno, oggi ci permette di scoprire alcuni altri dettagli della storia degli ultimi anni.
I giornali «Novaya Gazeta» e «Novaya Gazeta Europa» scrivono che una piazza di Amburgo, in Feldrunnenstrasse 67, è stata intitolata alla giornalista russa Anna Politkovskaya. Il cartello e la lapide si trovano accanto all’edificio della Fondazione Die Zeit Stiftung Bucerius, la quale ha realizzato l’idea con il sostegno delle autorità cittadine; all’inaugurazione erano presenti rappresentanti del Senato di Amburgo.
A questo punto sono sicuro: la creatura che pochi giorni fa ha compiuto settantadue anni e che, purtroppo, ha contribuito alla ridenominazione della piazza di ieri non meno della stessa Anna Politkovskaya, ha ricevuto un ulteriore motivo per parlare della russofobia che fiorisce in Occidente. Un motivo sicuro-sicuro, una buona parte della popolazione ci crederà.
I veri «troll», ovviamente, avrebbero organizzato la cerimonia per il 6 o il 7 ottobre, ma ci sono cose che in realtà è giusto fare in qualsiasi giorno dell’anno. Io, nel frattempo, spero che le Autorità europee di vario livello si accorgano (e in una misura adeguata) anche dei vivi: quei dissidenti che non andrebbero spinte dalla burocrazia europea nelle mani di Putin per diventare le sue prossime vittime. È meglio essere vivi e liberi che dare il proprio nome a una piazza (anche in una città bella come Amburgo).
Alla fine del mese molte persone in giro per il mondo festeggeranno il Halloween, sicuramente lo faranno anche alcuni miei lettori. Di conseguenza, penso di poter contare sull’aiuto degli esperti in materia del horror per la ricerca della risposta alla seguente domanda:
Devo sapere di cosa avere paura, ahahahaha!
N.B.: il sondaggio è anonimo per i votanti non registrati o non loggati sul sito. Il sondaggio più recente è sempre visibile sulla prima pagina del sito. Tutti i miei sondaggi sono raccolti su una apposita pagina.
Il presidente ucraino Zelensky ha espresso, nel corso del vertice «Ucraina — Europa sud-orientale» tenutosi a Dubrovnik il 9 ottobre, un concetto nuovo e abbastanza particolare:
In October, November and December we have chance to move things toward peace and lasting stability. The situation on the battlefield creates an opportunity to make this choice — choice for decisive action to end the war no later than in 2025.
Ma non ha specificato cosa intendesse esattamente. Sa o pensa che gli Stati occidentali improvvisamente si svegliano e in un colpo inviano alla Ucraina tutti gli aiuti realmente necessari? O che qualcuno si sta finalmente preparando a eliminare la causa principale dell’inizio della guerra? O che tutte le risorse militari russe stanno per sparire nel nulla? Boh…
Realisticamente parlando, sembra che non sappia più in quale modo motivare i leader occidentali con i quali parla da quasi tre anni. Capisce che in questo preciso momento storico non ha molte probabilità di ottenere qualcosa di veramente importante, e, allo stesso tempo, non può smettere di chiedere. Per questo motivo la stranezza della sua affermazione di ieri si percepisce in un modo ancora più triste.
Il sito web del governo britannico ha reso noto che il Regno Unito ha imposto sanzioni contro le truppe di difesa radiologica, chimica e biologica delle Forze armate russe e il loro capo, il tenente generale Igor Kirillov. Lo stesso comunicato stampa afferma che le sanzioni sono state imposte a causa dell’uso di «armi chimiche barbariche» da parte delle suddette truppe in Ucraina. Secondo il comunicato stampa, si tratta del presunto uso di cloropicrina.
Dove e quando sia stata usata la cloropicrina non è specificato nel messaggio del governo britannico, ma la notizia in sé è a suo modo curiosa anche così. Ovviamente, so benissimo che le prove di qualsiasi crimine – compresi i crimini di guerra – dovrebbero essere raccolte quanto prima: solo in tal modo la quantità e la qualità di quelle prove saranno a un livello vicino al massimo. Ma, allo stesso tempo, c’è una grande dose di buffonata nel fatto che, durante una guerra, si cerchi di contrastare con le sanzioni una qualsiasi unità di un esercito aggressore belligerante.
Le sanzioni, come le accuse di crimini, secondo la mia logica dovrebbero essere applicate contro tutto ciò che, per qualche strana ragione, rimarrebbe degli accusati dopo la loro sconfitta. Ma tra quanti anni il governo britannico arriverà (se arriverà) a questa logica?
The Wall Street Journa scrive che Viktor But, condannato negli USA per traffico d’armi e restituito alla Russia in cambio della cestista americana Brittney Griner, è tornato a vendere armi. Secondo il giornale, nell’agosto 2024 a Mosca, But avrebbe partecipato a un accordo per la vendita di fucili d’assalto Kalashnikov per un valore di 10 milioni di dollari agli Huthi yemeniti. But, da parte sua, nega tutto dicendo, in sostanza, che il suo nome sarebbe stato utilizzato dal giornale per rendere l’articolo più scandalistico.
Mentre io posso dedurre dalla suddetta notizia almeno una cosa. Dopo avere passato nelle carceri statunitensi quattordici anni, Viktor But avrebbe in teoria dovuto perdere più o meno tutti i suoi contatti «professionali» (per motivi fisici o per la fiducia venuta meno). Allo stesso tempo, gli sforzi dello Stato russo per liberarlo non erano sicuramente stati motivati dai solo motivi umanitari: nel corso della propria detenzione aveva sicuramente raccontato abbastanza agli americani, ma, evidentemente, ha anche mantenuto un certo peso nel mondo del commercio delle armi. Altrimenti sarebbe stato ritenuto inutile «dal Cremlino».
Di conseguenza, il suo ritorno alla vecchia «professione» poteva anche essere avvenuto.
I programmatori della società russa «Studiya 22» hanno annunciato il gioco per computer «Unità 22: ZOV» basato sulla guerra nel Donbas e sulla invasione dell’Ucraina. Nello sviluppo del gioco è coinvolto il Ministero della «Difesa» russo.
Il gioco dovrebbe essere pubblicato nel dicembre 2024 sulla piattaforma VK Play. I creatori affermano di voler aggiungere «elementi educativi» tratti da diverse «campagne storiche»: «Donbass» (2014), «Mariupol» (2022), «Controffensiva» (2023) e «Avdeevka» (2024).
I giocatori dovranno controllare una piccola squadra con una visuale dall’alto. «Per la soluzione visiva del gioco utilizziamo un 3D parzialmente semplificato con restrizioni sugli angoli di ripresa, che ci permette di rendere il contenuto relativamente economico e disponibile sui dispositivi mobili senza un complesso adattamento separato», ha dichiarato il produttore del gioco Alexander Tolkach.
I creatori del «Unità 22: ZOV» si sono avvalsi della consulenza dei partecipanti alla invasione dell’Ucraina.
E voi, cari lettori, ora sapete quale regalo chiedere al Babbo Natale (se, per qualche miracolo, i creatori del gioco dovessero rispettare la scadenza promessa: chi lavora per i soldi pubblici russi lo fa molto raramente). A cosa vi potrebbe servire un gioco del genere? È ovvio: per vedere se è possibile far vincere l’esercito avversario!
A gennaio 2025, poi, ricordatevi di scrivermi dei risultati (spero positivi).
Vedo attorno (e non solo oggi) una marea di coglioni che fanno finta di non avere visto tutto questo (non solo il 7 ottobre 2023):
Per ora sto riuscendo solo nel compito di ridurre la quantità dei suddetti coglioni nel mio spazio vitale.
Negli ultimi tempi mi capita, con una certa periodicità, di leggere qualcosa sulla creazione delle opere d’arte ai tempi di guerra: da parte degli artisti che vivono negli Stati-aggressori e quelli che vivono negli Stati-vittime. Sono delle letture lunghe, spesso interessanti, a volte discutibili, e in ogni caso difficili. Di conseguenza, almeno per ora non tento di riassumerle: richiederà un impegno al quale non sono pronto io e, molto probabilmente, nemmeno la maggioranza dei potenziali lettori.
Allo stesso tempo, da quelle letture posso ricavare qualche idea «pratica», qualche opera artistica bella e interessante indipendentemente dalle circostanze nelle quali è stata creata. Prendiamo uno degli esempi che ho scoperto di recente: il «Quartetto d’archi» del compositore francese Jacques Ibert…
Nel 1937 Ibert fu nominato direttore dell’Accademia di Francia a Roma (la prima volta dal 1666 che un musicista veniva nominato a questa carica). Con l’inizio della Seconda guerra mondiale, Ibert ricoprì il ruolo di addetto navale presso l’Ambasciata francese a Roma. Il 10 giugno l’Italia entrò in guerra e il giorno successivo Ibert, insieme alla sua famiglia, partì da Roma con un treno diplomatico. Già nell’agosto del 1940 fu collocato a riposo, con un decreto speciale del governo di Vichy il suo nome fu cancellato dall’elenco degli ufficiali di marina e le sue opere furono vietate. Per i quattro anni successivi, Ibert visse in condizioni di semi-legalità pur continuando a comporre e, tra le altre cose, nel 1942 completò il Quartetto per archi che aveva iniziò nel 1937.
Si era dedicato a quello che sapeva fare meglio, aveva raggiunto dei risultati interessanti e, sicuramente, trovava del tempo per contribuire anche alla soluzione delle questioni attuali per quegli anni.
Il media The Insider scrive di avere ottenuto l’accesso a «centinaia» di documenti ufficiali relativi alla morte del politico Alexey Navalny: a giudicare da quei documenti, «le Autorità hanno volutamente rimosso dai documenti i riferimenti ai sintomi che non corrispondevano alla versione ufficiale [ufficialmente pubblicata]».
In particolare, The Insider ha pubblicato le copie di due versioni della risoluzione sul rifiuto di avviare un procedimento penale, firmata dall’investigatore Alexander Varapaev. Entrambe le versioni del documento affermano che Navalny «ha avvertito un forte peggioramento della sua salute» e lo ha riferito all’ufficiale di servizio che lo ha portato dal cortile delle passeggiate al chiuso.
The Insider non specifica se altre «centinaia» di documenti dei quali è entrato possesso saranno resi pubblici, mentre le citazioni dei due documenti di cui sopra mi sembrano una prova un po’ povera. Allo stesso tempo, l’interpretazione di questa prova povera mi sembra credibile perché rientra nella logica degli eventi che conosciamo. Di conseguenza, non potevo non segnalarvi l’articolo di cui sopra.