Ebbene, sì: sarei stato molto felice di credere che il volo di Evgeny Prigozhin sopra le distese del nostro sofferente pianeta sia stato in qualche modo finalmente interrotto. Sarei pure felice di sperare in una veloce fine del volo di qualcun altro. Si tratta di un brutto stato mentale in cui mi ha portato la guerra.
Ma mi ricordo bene che Prigozhin era già «morto» nel 2019 in Congo nello schianto di un aereo cargo militare, mentre l’anno scorso era stato «ucciso» sul fronte ucraino.
E poi, sono anche insospettito dal fatto che l’aereo di Prigozhin abbia «smesso di volare» proprio quando a bordo «c’erano» non solo Prigozhin stesso, ma pure due suoi più stretti collaboratori Dmitry Utkin e Valery Chekalov.
E, naturalmente, non ho alcun motivo di fidarmi di quelle fonti pseudo-giornalistiche pro-Cremlino che per prime hanno lanciato la notizia e che ci raccontano fin dai primi minuti della morte di Evgeny Prigozhin.
Non voglio assolutamente unirmi ai seguaci del culto del grande e terribile Nonsapremomailaverità. Ma sono propenso a seguire la versione più realistica che è apparsa immediatamente nella mia — e non solo nella mia — testa: Evgeny Prigozhin ha semplicemente trovato il modo di lasciare la Russia con una eleganza incredibile e ora si sta già sottoponendo a un intervento di chirurgia plastica in qualche clinica latinoamericana o asiatica.
Un giorno avremo una conferma certa e precisa di questa versione. Oppure una smentita. Ma ce l’avremo.
Non tento nemmeno di riassumere l’articolo del «New Yorker» su come le autorità americane abbiano cercato di organizzare la consegna (e il seguente funzionamento) ininterrotta dei sistemi Starlink all’esercito ucraino, mentre Elon Musk (il proprietario di Starlink), nello stesso periodo, aveva e spesso manifestava ogni sorta di dubbio e parlava periodicamente con Putin di non si capisce bene cosa. Se volete, potete leggere da soli questa storia, che in un certo senso ha dell’incredibile.
Il punto principale che meritevole di essere notato è: Elon Musk ha ammesso di aver comunicato ripetutamente con Putin dopo l’inizio della guerra in Ucraina.
Le voci o le notizie su questo aspetto circolavano già da molto tempo. E mi ricordo bene come all’inizio in tanti scherzavano: per quale somma lo Stato russo è riuscito a comprare Musk? Ma ora non solo tutto è stato confermato. Negli ultimi mesi abbiamo anche avuto l’opportunità di osservare cosa sta facendo Musk con il Twitter acquistato… Tra parentesi: (l’idea stessa di acquistare un social network con un concetto-base un po’ stupido e un potenziale di sviluppo tecnico/concettuale poco chiaro è già piuttosto folle)… Comunque: ora sappiamo che Musk non è stato comprato; ora sappiamo che il successo e i soldi gli hanno fatto saltare la testa, freni e tutto il resto. È assolutamente convinto di poter fare qualsiasi cosa, in tutti i sensi.
Quanto è semplice e banale tutto in questo mondo…
Il Ministero degli Esteri britannico avrebbe chiesto ai funzionari governativi di non utilizzare più – pure nei documenti interni – l’espressione «Stato ostile» («Hostile State») nei confronti di Cina, Russia, Corea del Nord e Iran. Tale decisione sarebbe stata presa nel tentativo di migliorare le relazioni del Regno Unito con la Cina: gl altri quattro Stati sarebbero stati aggiunti solo – presumo – per un principio «democratico».
Qualcuno potrebbe anche scandalizzarsi per questa cosa, mentre io rimango indifferente a questo aspetto linguistico, privo di alcuna conseguenza legale. Infatti, mi basta che UK e gli altri continuino a fare due cose: 1) aiutare militarmente l’Ucraina; 2) trasformare le sanzioni contro lo Stato russo in un qualcosa di più sensato rispetto alle misure prese fino a oggi. Purtroppo, continuo a vedere dei problemi seri con il secondo punto.
P.S.: in Russia esiste una lista di 49 «Stati ostili», della quale fanno parte gli USA, l’UK e la maggioranza degli Stati dell’UE. Tale lista serve, tra le altre cose, per giustificare «legalmente» le repressioni contro i propri cittadini dissidenti. Ma è un argomento ampio che va trattato a parte.
Mi piacciono da anni i comunicati ufficiali della azienda statale russa Roskosmos (quella responsabile per il programma spaziale russo):
Secondo i risultati delle analisi preliminari, a causa della deviazione dei parametri effettivi dell’impulso da quelli calcolati, la navicella si è spostata su un’orbita non calcolata e ha cessato di esistere in seguito alla collisione con la superficie della Luna.
Effettivamente, la comunicazione con la navicella era stata interrotta il 19 agosto alle 14:57 circa, l’ora di Mosca. E la Roskosmos ha continuato a seguire il linguaggio ufficioso russo, quello che parla della «crescita negativa» dei fattori economici, la «controffensiva russa» sul fronte ucraino etc…
Per il resto, non mi è ancora chiaro se il progetto «Luna 25» sia stato identico al progetto «Luna 24» del 1976 (ha pure fatto in tempo a «trasmettere» delle foto della Luna di qualità tipica del 1976) oppure un modellino incompleto lanciato sull’orbita tanto per lanciare qualcosa prima degli indiani.
Beh, non facciamoci distrarre.
Effettivamente, le nuove tecnologie sono spesso utili contro i problemi vecchi:
Sicuramente, in questo modo si velocizza almeno il ritrovamento «sicuro» di una parte significante delle mine.
Franz Joseph Haydn compose e diresse per la prima volta la propria Sinfonia n. 45 in Fa diesis minore nel 1772, mentre si trovò assieme alla orchestra di corte nella residenza estiva del mecenate principe Nikolaus Esterházy. Tale sinfonia si chiama la «Sinfonia degli addii» perché nel corso della esecuzione del finale i musicisti a turno smisero di suonare, spensero la candela del loro leggio e lasciarono la sala: in tal modo i musicisti e il compositore protestarono pacificamente contro un soggiorno forzato prolungatosi eccessivamente in lontananza dalle famiglie. La storia narra che il messaggio sia stato colto.
L’interpretazione scelta per il post odierno è stata registrata – il 9 marzo 2018 – dal vivo dalla orchestra Sinfonia Rotterdam, diretta da Conrad van Alphen. La finale è suonata e recitata proprio come ideato da Haydn.
Ora tocca anche a noi a pensare alla fine delle vacanze.
Più o meno tutti sanno o hanno almeno sentito dire che lo Stato russo da decenni tenta di eliminare fisicamente i propri oppositori russo particolarmente fastidiosi. A volte tenta di farlo pure all’estero, anche in Europa.
Con l’inizio della guerra in Ucraina non ha assolutamente smesso di impegnarsi nella suddetta «missione». Anzi: molti oppositori si sono rifugiati, per motivi di sicurezza (purtroppo, a volte solo apparente) in Europa, ma sono comunque stati raggiunti dagli agenti-esecutori. Dunque, questo sabato vi segnalo un articolo che racconta solo di alcuni casi: non si capisce bene perché sia stato scelto di colpire proprio quelle persone, ma si capisce che pure quella è una forma di piccola guerra condotta sul territorio estero.
Solo ieri sera e quasi per caso ho scoperto che il 14 agosto il Ministro della «Difesa» russo Sergey Shoigu ha raggiunto un nuovo livello della vita alternativa in cui vive. Anzi: vivono, dato che certe decisioni non le prende certo lui.
Il fatto è che Sergei Shoigu e Tin Kung San (il suo omologo del Myanmar) hanno inaugurato — presso il «Viale degli Alleati» nel territorio del complesso museale e templare del Ministero della «Difesa» russo — il monumento ai Combattenti del Myanmar, dedicato alla partecipazione del Myanmar alla Seconda Guerra Mondiale. Durante la cerimonia Shoigu ha dichiarato: «Più di 70 anni fa, i patrioti combattenti hanno difeso l’integrità territoriale della Birmania e il suo patrimonio culturale nella lotta contro il regime di occupazione del Giappone». E poi ha aggiunto che preservare la verità storica sul contributo dei due Paesi alla sconfitta del nazismo è un dovere sacro.
Ma anche le persone poco esperte nella storia dell’Asia hanno la possibilità di scoprire — facilmente — che il Myanmar (ai tempi ancora Birmania) aveva partecipato alla Seconda guerra mondiale dalla parte di Hitler. Aveva combattuto contro la Gran Bretagna. E solo alla fine del marzo 1945 aveva dichiarato guerra al Giappone, mentre i giapponesi si stavano già ritirando sotto l’assalto delle truppe britanniche. Mentre tutta la «guerra d’indipendenza» si era limitata nel fatto che il Giappone stesso aveva dato l’indipendenza alla Birmania.
Shoigu può dire qualsiasi cosa, ma noi vediamo che ha indovinato perfettamente l’alleato dello Stato russo contemporaneo.
Quando Yuriy Ignat – il portavoce del Comando delle forze aeree dell’Esercito ucraino – dice pubblicamente che l’Ucraina non riceverà i caccia F-16 statunitensi nel prossimo autunno o inverno, lo dice non a noi o agli ucraini, ma all’esercito russo.
Infatti, il suo lavoro non consiste nell’informare tutti – quindi pure l’esercito del nemico invasore – del calendario dell’arrivo dei nuovi armamenti. Di conseguenza, tutti coloro che tifano per l’Ucraina possono iniziare a interpretare le parole di Ignat esattamente al contrario. E, ovviamente, sperare.
Io ho già iniziato.
Scrivono che Denis Sharonov, l’ex Ministro dell’Agricoltura e del Mercato del Consumo della regione russa Komi, dopo aver «iniziato a ricevere dei segnali» che non era sicuro per lui rimanere in Russia a causa del conflitto in corso con le autorità della Regione, è fuggito negli Stati Uniti, ha già trovato lavoro come camionista e ha chiesto asilo politico.
Se mi ricordo bene, fino a oggi non sapevo alcunché di quest’uomo, non avevo nemmeno sentito il suo nome. Non so che tipo di funzionario fosse stato: efficiente o meno, onesto o corrotto (non è il momento per le logiche risate!). Ma dal momento in cui ho letto la notizia, sto facendo il tifo per lui: perché se dovesse riuscire a ottenere l’asilo (cioè se le autorità statunitensi dovessero trovare la possibilità tecnica e la saggezza per aiutarlo), gli altri funzionari russi vedranno che la fuga da Putin è ancora possibile. Certo: a quasi diciotto mesi dall’inizio della guerra per alcuni è ormai un po’ tardi tentare la fuga, ma per la maggioranza è meglio tardi che mai.
C’è ancora la possibilità di lasciare Putin in una triste (per lui) solitudine, o almeno di aumentare i dubbi utili (per noi) nella sua cerchia.