Ieri The New York Times ha scritto, riferendosi alle fonti governative, che il Joe Biden avrebbe dato alla Ucraina il permesso di utilizzare i missili ATACMS a lungo raggio di cui dispone per proteggere le unità dell’esercito ucraino che partecipano alla operazione nella regione russa di Kursk. La Francia e il Regno Unito hanno prontamente seguito l’esempio e hanno autorizzato l’Ucraina a utilizzare allo stesso modo i loro missili a lungo raggio SCALP e Storm Shadow.
Purtroppo, è come al solito una notizia positiva a metà.
Perché autorizzare l’utilizzo degli ATACMS solo nella regione di Kursk mentre la logistica militare russa è diffusa su tutto il territorio statale? Come negli anni precedenti, diventa solo una misura difensiva e non di prevenzione, dunque anche di una utilità minima.
Ora saranno forniti più ATACMS? Boh… Anche se ci fosse tale possibilità tecnica, non mi sono molto chiare le intenzioni.
Ci saranno altri tipi di autorizzazione nelle prossime settimane? Non so nemmeno questo.
Gli Stati europei non vogliono fare dei nuovi passi seri prima degli USA? La risposta a questa domanda, purtroppo, è per l’ennesima volta affermativa.
In conclusione, non posso non sottolineare che l’interpretazione della mossa di Biden come un avvertimento alla Corea del Nord è veramente ridicola: per Kim Jong-un la vita dei suoi sudditi-militari vale ancora meno che la vita di un qualsiasi essere umano per Putin (anche se sembra impossibile).
Di conseguenza, dico che si tratta di una misura minima tra tutte quelle che Biden poteva prendere alla fine della propria Presidenza, in un periodo in cui è politicamente libero di fare praticamente qualsiasi cosa.
L’archivio del 2024 год
Non so se tutti si sono accorti della proclamazione dei vincitori del concorso Drone Photo Awards 2024.
Le opere dei vincitori sono state suddivise in diverse categorie: città, animali selvatici, sport, persone, astratte, matrimoni e serie.
C’è anche la sezione video, dove ha vinto Vlad Vasylkevych con il suo filmato «1 Million Bombs Before». Eccolo:
Ma anche molte foto delle varie categorie sono belle, andate pure a vedere se interessati.
Anche se per me la capacità più importante rimane quella di vedere ciò che non vedono gli altri da una posizione simile alla mia.
Il chitarrista e cantante blues Albert King è talmente famoso e influente (sì, anche dopo la sua morte avvenuta nel 1992), che io non so nemmeno se ci sia il bisogno di scrivere qualcosa prima di inserire dei video con i suoi brani. Posso solo esprimere pubblicamente il proprio stupore per il fatto di non avergli mai dedicato un post musicale…
Ed ecco che ho deciso, finalmente, di condividere con voi due dei brani di Albert King particolarmente importanti per me.
Il primo brano è il «I’ll Play the Blues for You (parts 1 and 2), facente parte dell’album omonimo del 1972. Si tratta di una di quelle composizioni musicali che a volte utilizzo in qualità di un «metronomo mentale»: per impostare un ritmo particolare – quando serve – al cervello.
Il secondo brano di Albert King scelto per oggi è il «My Babe» (dall’album «Albert» del 1988): solo perché è bello.
Sicuramente tornerò ancora a scrivere di Albert King perché devo recuperare un po’ di pubblicazioni mancate.
La lettura (e, in parte, visione) che propongo per questo sabato riguarda gli avvenimenti di ieri in Abkhazia, una regione caucasica staccata dalla Georgia in seguito all’attacco bellico russo del 2008 e ora solo parzialmente riconosciuta (la Georgia continua a considerare l’Abkhazia un territorio proprio e occupato/controllato dalla Russia).
Ebbene, nella capitale Sukhumi sono ieri scoppiati gli scontri – all’esterno dell’edificio del Parlamento dell’Abkhazia – tra le forze dell’ordine e i manifestanti contro la ratifica dell’accordo sugli investimenti tra le autorità della repubblica e la Russia. In sostanza, se leggiamo attentamente le ragioni dei manifestanti, si protesta contro l’aumento della influenza dello Stato russo (che prima non era proprio considerato nemico) in Abkhazia. Si tratta di una nuova grande vittoria internazionale di Putin?
Più di quaranta residenti del villaggio russo di Olgovka, distretto di Korenevsky, regione di Kursk, che si trova in una zona di guerra dall’agosto 2024, hanno registrato un videomessaggio a Vladimir Putin, chiedendogli di «porre fine a questa maledetta guerra». In particolare, nel video i residenti di Olgovka raccontano – cercate di arrivarci al prossimo capoverso senza dubitare delle mie intenzioni! – che con l’inizio della offensiva dell’esercito ucraino hanno perso tutto e sono rimasti senza alloggio. Durante l’evacuazione mancano i pagamenti da parte delle autorità per affittare un alloggio, e molte persone non sono disposte ad assumere rifugiati. Secondo i residenti di Olgovka, alcuni dei loro compaesani che non sono stati evacuati sono morti o sono scomparsi. Olgovka stessa «è diventata come un film horror» e molte persone hanno paura di tornarci, e ci vorranno almeno cinque anni per ricostruire il villaggio.
Ecco, dopo avere letto tutto questo ho pronunciato – non solo mentalmente – una buona quantità di bestemmie infuocate. In sostanza, finché tutto (e non solo) quello che descrivono accadeva in Ucraina, non erano contrari alla guerra e non chiedevano di porne fine. Ma ora che è arrivata la logica risposta, si sono svegliati.
Non posso dire di essere dispiaciuto per il loro destino. Ma, allo stesso tempo, continuo a sperare che la comprensione della realtà possa in qualche modo arrivare alle larghe masse. Il risultato finale conterà molto più di quel modo. Quindi, in un certo senso, sono addirittura contento.
Il mio sondaggio di questo novembre nasce da una vecchia, pluridecennale insoddisfazione per l’esistenza della cosiddetta ora legale: in Russia è stata abrogata già nel 2014, mentre in Europa sono comunque costretto, due volte all’anno, a reimpostare manualmente alcuni orologi, riadattarmi al nuovo rapporto con la luce, ricalcolare le differenze con alcuni fusi orari etc. etc.. Immagino che ogni passaggio da o verso l’ora legale sia in qualche misura sensibile anche per la maggioranza di voi.
Di conseguenza, vi chiedo:
Le ricerche sociologiche europee mostrano che l’opinione degli italiani in materia è diversa da quella media europea, ma io voglio comunque scoprire cosa ne pensano i visitatori del mio sito.
N.B.: il sondaggio è anonimo per i votanti non registrati o non loggati sul sito. Il sondaggio più recente è sempre visibile sulla prima pagina del sito. Tutti i miei sondaggi sono raccolti su una apposita pagina.
Il martedì 12 novembre a Lisbona è stato inaugurato un monumento dedicato a Alexey Navalny. È una pietra con il nome, le date della nascita e della morte e la scritta «Non mollare mai» in tre lingue. Si trova a cento metri dall’edificio dell’ambasciata russa, in via Visconde de Santarém, 71. Eccolo:
Dal punto di vista puramente artistico – ma anche commemorativo – mi sembra un formato di monumento interessante. Infatti, assomiglia lontanamente alle cosiddette «pietre d’inciampo»: compatto e capace di stimolare l’interesse, dedicato pur sempre a una persona concreta. Allo stesso momento, è una via di mezzo tra un monumento tradizionale e una targa commemorativa su un muro (la quale, però, per tradizione avrebbe dovuto essere messa in un luogo in qualche modo legato alla vita del personaggio ricordato).
In generale, direi che si potrebbe prendere l’esempio e creare molti monumenti del genere in giro per il mondo, lasciando il formato del monumento classico ai personaggi di importanza più universale, «planetaria».
Presumo che la maggioranza di voi non abbia mai visto nemmeno una di queste monete:
Mentre il dritto di almeno una di esse dovrebbe darvi una utile indicazione sulla provenienza:
Ebbene sì: sono le monete attualmente in corso in Ucraina, la settimana scorsa mi sono arrivate direttamente da Leopoli. Ora sono tra le componenti più preziose della mia collezione.
Per rendere completa la «sezione ucraina» della mia collezione, devo ancora trovare le monete da 1, 2, 5, 10 e 25 centesimi (a eccezione di quella da 10 centesimi, sono ormai in fase di ritiro dalla circolazione) e alcune edizioni limitate della moneta da 1 grivna. Ma già con le cinque monete delle foto sovrastanti sono stato reso notevolmente felice.
P.S.: per le grivne (ma non per 50 centesimi) ho più di un esemplare di ogni taglio, quindi potrei anche provare a fare qualche scambio importante.
L’altro ieri The Washington Post ha scritto, riferendosi alle «proprie fonti», che Putin e Trump avrebbero avuto una conversazione telefonica il 7 novembre, nel corso della si è parlato anche della guerra russo-ucraina. Gli interlocutori del giornale hanno affermato che durante la conversazione il Presidente eletto degli USA ha messo in guardia Vladimir Putin da un’escalation in Ucraina.
Dmitry Peskov – il portavoce di Putin – ha da parte sua dichiarato che la telefonata in questione non ha avuto luogo.
Ebbene, le dichiarazioni di Peskov non ci interessano in quanto solitamente sono, nel migliore dei casi, di segno opposto alla realtà. L’argomento dichiarato della telefonata, invece, è molto curioso: cosa poteva intendere Trump per «una escalation in Ucraina»? Dopo tutto quello che ha fatto e sta facendo l’esercito russo in Ucraina, l’escalation può avere solo la forma di qualche arma di distruzione di massa. Quindi le presunte parole di Trump possono essere interpretate come «vai avanti così come lo stai facendo ora».
Poteva Trump dire una cosa del genere? Conoscendo il suo modo di esprimersi, direi che poteva.
Putin, invece, non poteva e non può ammettere che qualcuno gli abbia dato degli ordini su cosa e come fare. In generale, si sa che non gli piace essere sotto pressione. Allo stesso tempo, non sente di essere in grado di discutere pubblicamente con Trump. Di conseguenza, negherà quella telefonata in ogni caso, indipendentemente dal fatto che sia avvenuta o meno.
Ovviamente, ammesso che Trump si sia realmente dimenticato delle particolarità psicologiche di Putin.
Alcune decine dei residenti della città russa di Sudzha, costretti a lasciare la loro città a causa della nota offensiva dell’esercito ucraino (iniziata il 6 agosto), si sono riuniti nel pomeriggio del 10 novembre per una manifestazione spontanea nella piazza centrale di Kursk. Anatoly Drogan, un rappresentante dell’amministrazione della regione di Kursk, si è presentato alla folla. Ha chiesto alla gente di disperdersi e ha proposto di scrivere un appello collettivo nel centro di accoglienza pubblico.
Quando i manifestanti si sono rifiutati di farlo, il funzionario ha detto che avrebbero organizzato una «azione pubblica illegale» e ha chiesto di mostrare le persone che l’avevano organizzata. In risposta, i residenti di Sudzha, stranamente, non hanno tirato fuori i telefoni per cercare la foto di un personaggio noto, ma hanno chiesto alle Autorità di riconoscere l’esistenza di una guerra nella regione e di evacuare le persone che risiedono nella città controllata dall’esercito ucraino.
Potreste chiedermi perché scrivo di questa piccola notizia molto locale. Ebbene, lo faccio per almeno due motivi. In primo luogo, lo faccio perché sono contento di vedere che pure nella Russia contemporanea qualcuno trova ancora il coraggio di manifestare per segnalare i propri problemi: anche i partecipanti a una manifestazione del genere, pur non dicendo ancora nulla contro la guerra, rischiano di essere perseguiti penalmente.
In secondo luogo, lo faccio per mostrare che pure i funzionari statali e regionali russi fanno – non imposta se volontariamente o no, ahahaha – il possibile per aumentare la quantità dei russi contrari alla guerra o, almeno, scettici circa la appropriatezza della politica statale corrente. Non so se si possa / si debba inventarli ad agire con più intensità e determinazione, ma bisogna riconoscere, appunto, che stanno facendo il possibile.