L’archivio del settembre 2023

Una reazione interessante

Lo avete già letto: il 20 settembre, cinque (pare) «peacekeepers» russi sono stati uccisi in Nagorno-Karabakh: il loro veicolo è finito sotto il fuoco di armi leggere azere. Non voglio ipotizzare che tipo di «peacekeepers» fossero: la prassi insegna che i militari russi possono solo tentare di condurre delle guerre di conquista (vedi l’Ucraina) o non fare nulla (vedi il Nagorno-Karabakh), ma non li ho ancora visti garantire o imporre la pace. Però in questi giorni ho visto una reazione interessante alla loro morte.
Sembra che il presidente azero Ilham Aliyev si sia scusato al telefono con Putin; il portavoce Peskov ha detto che «non conosciamo ancora tutti i dettagli di questa vicenda, ma almeno è in corso un’indagine»; non ci sono notizie sulla reazione di Putin stesso a quanto accaduto. Tutto ciò significa che Putin ha semplicemente accettato silenziosamente la notizia della uccisione dei militari russi: perché la sua formidabile e intransigente reazione ci sarebbe stata certamente riferita, anche in formato video (e ci ricordiamo benissimo che nel 2008 una situazione molto simile era stata un pretesto sufficiente per la guerra contro la Georgia). Ma Putin sa benissimo che tutte le sue forze militari sono ora impegnate in Ucraina, quindi non ci sono le risorse per affrontare l’Azerbaigian e il suo sponsor Turchia. Così se ne sta lì, con la paura di scoreggiare, da far vedere che sia successo qualcosa di degno di nota.
Un grande e terribile Putin…


In qualche modo scappano tutti

Intanto il partito francese Rassemblement National – quello guidato da Marine Le Pen fino al 2021 – ha annunciato l’estinzione anticipata del credito contratto dal partito nel 2014 con la First Czech-Russian Bank (PCRB). Il comunicato del partito ha sottolineato che il Rassemblement National ha rimborsato completamente il debito residuo di circa sei milioni di euro, anticipando la scadenza fissata al 20 dicembre 2028. Kevin Pfeffer, il tesoriere del partito, ha spiegato in una conversazione con il Financial Times che il Rassemblement National voleva liberarsi al più presto del prestito russo che gli avversari politici hanno usato più volte per attaccare il partito.
Potrei rattristarmi per il fatto che le strutture finanziarie legate allo Stato russo ricevano delle somme – anche se relativamente piccole – dall’estero… Ma nella mia testa prevale la gioia per il fatto che almeno per ora lo Stato russo faccia molta più fatica – sia dal punto di vista tecnico che politico – a finanziare le forze politiche destabilizzanti in giro per il mondo sviluppato. Come abbiamo visto, sta cercando di fare dei piccoli regali ad alcuni Stati africani (i quali, comunque, si ribellano chiedendo – al posto della elemosina – di non influire negativamente su alcuni processi economici globali), ma almeno in Europa dai soldi russi scappa pure Le Pen. Significa che le varie stronzate a favore della guerra e contro l’Ucraina saranno pronunciate sempre più dai cretini convinti che da quelli pagati. E io sono contento…


Le scelte di Erdogan

La Reuters scrive, citando i dati doganali russi, che nella prima metà del 2023 la Turchia è diventata il più grande importatore di carbone dalle regioni di Donetsk e Luhansk annesse dalla Russia: avrebbe acquistato circa il 95% di tutte le esportazioni. In totale, la Turchia avrebbe importato circa 160 mila tonnellate di carbone dai territori annessi dell’Ucraina tra il febbraio e il giugno. Il valore di queste forniture è stato stimato dai giornalisti in 14,3 milioni di dollari. Il carbone sarebbe stato consegnato alla Turchia dai porti di Rostov-on-Don e Novorossiysk, collegati a Donetsk e Luhansk da linee ferroviarie.
A questo punto è molto importante non dimostrarsi ingenui e non stupirsi del comportamento di Erdgan che fino a qualche tempo fa appariva un «alleato» della Ucraina nella guerra. Ma in realtà Erdogan vuole solo una cosa: indebolire la posizione della Russia nella regione, per esempio nel Mar Nero che potrebbe di fatto diventare un mare interno turco dopo la distruzione della flotta russa. Se Erdogan fosse un vero alleato dell’Ucraina, avrebbe già bloccato tutte le esportazioni verso la Russia dei beni bloccati dalle sanzioni che ora viaggiano attraverso il territorio turco. E non avrebbe comprato il carbone a buon prezzo dalla Russia che se ne è appropriata. Ma sulla pratica continua a fare, di volta in volta, esattamente ciò che gli conviene. Quindi spesso anche aiutare militarmente l’Ucraina.


Cosa è successo

Il gruppo giornalistico analitico-investigativo Conflict Intelligence Team (CIT) ha pubblicato delle foto del sottomarino russo «Rostov-na-Donu», danneggiato nel corso dell’attacco missilistico ucraino del 13 settembre a un cantiere navale russo di Sebastopoli (in Crimea).

Come si fa a non ricordare le parole pronunciate 23 anni fa da un noto politico russo e non aggiornarle agli eventi attuali?
«Cosa è successo alla flotta russa del Mar Nero? È affondata».


Cosa è venuto a fare?

Ieri è terminata la visita del leader nordcoreano Kim Jong-un in Russia. Leggendo le notizie ufficiali, potremmo pensare che sia venuto per farsi mostrare il sistema missilistico russo Kinzhal installato sul MiG-31, l’aereo passeggeri russo Tu-214 a lungo raggio, la fregata «Marshal Shaposhnikov» con i relativi sistemi missilistici Uran e i sistemi missilistici da crociera universali Kalibr, nonché il sistema di artiglieria automatica A-190 da 100 mm. Inoltre, avrebbe ricevuto in regalo dal governatore della regione di Primorye un set di protezione personale per le operazioni d’assalto, cinque droni kamikaze e un drone Geran-25 per la ricognizione a lungo raggio. E, infine, avrebbe indossato un colbacco.

Insomma, in base alle notizie ufficiali si è trattato della visita istituzionale pù incomprensibile di sempre. Anche se dovremmo ipotizzare che lo scambio dei regali sia stato in realtà molto più generoso.
Chissà quale tecnologia è stata regalata o promessa a Kim Jong-un solo per poter prolungare di quale mese o anno una guerra inutile e ormai persa in Ucraina…


Rincorrere il treno

Mi era già capitato di vedere dei video con gli addetti alla sicurezza che accompagnano di corsa (sì, a piedi) la limousine blindata. Ma non ho ancora visto gli addetti che accompagnano di corsa (sempre a piedi) il treno di Kim Jong-un ancora in movimento per preparare la porta dalla quale scenderà il leader. Certi regimi possono arrivare a un livello di idiozia inimmaginabile:

P.S.: ovviamente, si tratta dell’arrivo di Kim Jong-un in Russia.


La musica del sabato

Probabilmente avete già letto che al Festival di Venezia è stato mostrato il film un po’ idiota «Maestro» dedicato al grandissimo Leonard Bernstein. Spero almeno che quel fatto si riveli per qualcuno – finalmente! – un motivo per scoprire la musica del compositore.
E, per non farvi aspettare troppo, posto un’altra composizione di Bernstein: la «Serenade after Plato’s „Symposium“» del 1954:

Oggi mi andava così.


Il tristemente noto Evgeny Prigozhin non è più ufficialmente tra noi, ma i risultati del suo recente operato terrestre continuano a manifestarsi nel mondo odierno. E chissà per quanto altro tempo continueranno a manifestarsi.
Oggi, per esempio, vi segnalo un articolo che racconta solo alcune storie di quei criminali russi che erano stati arruolati da Prigozhin per la guerra in Ucraina e poi riammessi nella vita libera quotidiana al termine del contratto. Ovviamente, sono delle storie non proprio allegre…


Il triste destino di Lukashenko

Il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione che condanna la partecipazione del regime di Alexander Lukashenko all’aggressione militare «ingiustificata, illegale e non provocata» della Russia contro l’Ucraina.
Tutte le motivazioni – numerose – della risoluzione possono essere lette sulla apposita pagina ufficiale.
Mentre io sono quasi pronto a esprimere le mie condoglianze a Lukashenko. Per tutta la sua carriera politica aveva cercato di ottenere qualcosa da due «fronti» politici in mezzo ai quali si trova (la Russia e l’Europa). Cercava di rimanere l’ultimo dittatore, ma utile a tutti per guadagnare un po’ da tutte le parti. Ma nel 2022 – e nemmeno nel 2023 – non poteva esprimere la contrarietà alla guerra perché immaginava troppo facilmente tutte le conseguenze per la propria persona e per il proprio regime (Putin avrebbe punito subito). Ha cercato di apparire più neutrale possibile, ma non si è comunque salvato dalla condanna europea.
Non so se sarà capace di cercare l’origine del fallimento nel proprio comportamento degli ultimi decenni.


La mossa “nemica” della Armenia

Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha dichiarato ieri che lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale sarà ratificato integralmente:
Il governo ha inviato lo Statuto di Roma al Parlamento e, secondo la mia posizione e quella della frazione del nostro partito, lo Statuto sarà pienamente ratificato. Il fatto della ratifica non ha nulla a che fare con le relazioni tra l’Armenia e la Russia, ma riguarda le nostre questioni di sicurezza.
Il Governo armeno ha inviato lo Statuto di Roma al Parlamento per la ratifica il 1° settembre. Il presidente del Parlamento Alen Simonyan ha dichiarato che il documento, firmato dalla Armenia nel 1998, verrà ratificato presto.
Si tratta di uno di quei rarissimi casi in cui io interpreto le parole del linguaggio diplomatico esattamente così come sono state pronunciate. L’Armenia si trova realmente in una situazione del costante percolo bellico accompagnato dai vari crimini di guerra. Mentre Putin – per il quale è stato emanato il mandato internazionale di arresto proprio dalla Corte penale internazionale, istituita dal suddetto Statuto – viaggia poco all’estero e non vorrà certamente visitare una zona già poco sicura come l’Armenia. Di conseguenza, è evidente più o meno a tutti che la suddetta ratifica dello Statuto non è una misura rivolta (almeno in via principale) contro di lui: l’Armenia dipende ancora in molti aspetti dalla Russia, dunque l’applicazione dello Statuto sarà sicuramente molto selettiva. Ma il Ministero degli Esteri russo, ovviamente, non poteva non esprimere pubblicamente la propria «preoccupazione»: fa parte del suo lavoro.