L’archivio del 3 aprile 2023

Come sicuramente vi ricordate, il 17 marzo è stato emesso il mandato di arresto di Putin da parte della Corte Penale Internazionale. Dopo oltre due settimane noi potremmo già fare una piccola collezione delle reazioni ufficiali di vari Stati del mondo a tale evento. Per esempio, alla fine della settimana scorsa Hakob Arshakyan, il vicepresidente del parlamento armeno, ha dichiarato che le autorità del Paese non arresteranno il presidente russo Vladimir Putin in base al mandato della Corte penale internazionale se egli dovesse visitare il Armenia. Mentre il 23 marzo una dichiarazione analoga era stata fatta da Viktor Orban.
In entrambi i casi citati si tratta di Stati che hanno ancora una certa dipendenza dalla Russia: l’Armenia dipende in termini della sicurezza nei suoi rapporti con l’Azerbaijan, mentre l’Ungheria ha ancora bisogno delle fonti di energia russe. Ma più in generale si può constatare che allo stato attuale delle cose il mandato di arresto causa i problemi principali non a Putin (che da oltre dieci anni viaggia poco all’estero) e non agli Stati che dipendono dalla sua politica (non viene vietato dipendere), ma agli Stati che in qualche modo cercano di mantenere la neutralità. Infatti, proprio quegli Stati devono ora decidere, ogni volta, se ospitare Putin sul proprio territorio nell’occasione di qualche incontro o summit (andando incontro alle pressioni e domande scomode) oppure trovare un modo diplomatico di invitare Putin a non visitare il loro territorio (una situazione moralmente fastidiosa per entrambi le parti).
Possiamo dunque costatare che il mandato di arresto, prima ancora di essere eseguito, provoca già un effetto collaterale: restringe il campo di azione internazionale di Putin. Qualche Stato rivaluterà l’opportunità di essere neutrale nei suoi confronti, mentre Putin si sentirà ancora più isolato. Da sole queste due cose non basterebbero per fare finire la guerra, ma in qualche modo contribuiscono.
Spero.