The New York Times conferma l’autenticità di quel video (solo per adulti mentalmente forti!) – apparso su internet il 4 aprile – che mostra come i militari ucraini sparano ai militari russi feriti. Alcuni di questi ultimi hanno le mani legate.
Avrei anche potuto provare a raccontare che, in parte, posso capire i militari ucraini e immaginare i sentimenti alla base del loro comportamento. Ma non voglio sembrare uno che giustifica ogni forma di violenza.
Voglio anticipare la reazione delle numerose vittime della propaganda putiniana (purtroppo, ne conosco qualcuno di persona).
Voglio quindi sottolineare la differenza – oppure una delle differenze? – tra i massimi superiori dei militari russi e ucraini.
Lo Stato russo, per esempio, continua a negare la responsabilità del proprio esercito per l’uccisione (che spesso ha le tracce di una esecuzione, esecuzione intenzionata) dei civili nella provincia di Kiev. Continua a negarla nonostante avere sempre sostenuto, fino al momento della scoperta dei corpi, di avere controllato il rispettivo territorio proprio nei giorni delle uccisioni.
Lo Stato ucraino, invece, ha reagito al video menzionato all’inizio di questo post in una maniera diversa. Mykhaylo Podolyak, un consigliere dell’ufficio del presidente ucraino, commentando il video ha sottolineato che se Kiev dovesse ricevere le prove di «un qualsiasi atto illecito» commesso da parte dei militari, essi «avranno delle conseguenze reali».
I dirigenti ucraini capiscono benissimo di poter contare sugli aiuti internazionali durante e dopo questa guerra solo nel caso del totale rispetto delle regole militari e del diritto internazionale. Ma nella situazione creatasi entrambe le parti hanno bisogno degli aiuti…
L’archivio del 2022 год
L’azienda norvegese Amedia (una media group) ha deciso – come tantissime altre aziende occidentali – di abbandonare il mercato russo in seguito alla invasione militare dell’Ucraina da parte della Russia. In particolare, ha annunciato di abbandonare il proprio network delle tipografie «Prime Print». Si tratta di sei tipografie, quattro delle queli appartenevano al 100% alla Amedia.
Perché ho deciso di raccontarne a voi? Perché quelle quattro tipografie non sono state semplicemente chiuse a chiave, ma in sostanza regalate a un personaggio del quale avete sicuramente sentito parlare negli ultimi mesi: il capo-redattore della «Novaya Gazeta» e premio Nobel per la pace (2021) Dmitrij Muratov. Mentre quelle quattro tipografie, ora a sua disposizione, sono ben note a Muratov: perché in una di esse veniva stampato – fino al momento di essere chiuso il 28 marzo a causa di una pressione politica aumentata – il suo giornale. Ha già ringraziato per il dono, ha promesso di salvare i posti di lavoro delle «persone fantastiche che vi lavorano» e di vendere, in caso di subentrata necessità, le tipografie a un «acquirente degno».
Ecco, data la notorietà internazionale del personaggio – almeno tra le persone che si interessano del giornalismo, dei diritti umani e, in un modo approfondito, della politica –, ritengo abbastanza probabile il fatto che prima o poi qualcuno scriva della «nuova attività di Muratov». A questo punto io anticipo tutti e dico che, purtroppo, si tratta di una elemosina da valore quasi nullo. Alla Amedia dispiaceva buttare nella spazzatura un business costruito nel corso degli anni e, allo stesso tempo, appariva impossibile continuarlo per dei motivi reputazionali: quindi ha preferito regalarlo a una brava persona. A quella persona, però, le tipografie servono ancora meno: non può più (temporaneamente, spero) stampare il proprio giornale, sta assistendo (come tutti) alle crescenti difficoltà della economia russa sanzionata e, sicuramente, non potrà rischiare tutto per tentare di stampare delle cose troppo sgradite al regime (in realtà può, ma per poco tempo…). Quindi nel migliore dei casi svenderà: non è uno che può mantenere economicamente – in attesa dei tempi migliori – una attività non funzionante.
Sicuramente vi ricordate che due settimane e mezzo fa Joe Biden aveva esplicitamente definito Vladimir Putin come un criminale di guerra. Molto probabilmente vi ricordate anche che tale definizione è stata criticata da molti per essere poco diplomatica…
Io, invece, già in quei giorni avevo seriamente dubitato della opportunità di essere diplomatici in determinate situazioni. Perché mi ricordo a cosa avevano portato i tentativi essere diplomatici — nei confronti di un pazzo dell’epoca — a cavallo tra gli anni ’30 e ’40 del secolo scorso. A molti vengono in mente i parallelismi con gli eventi di quegli anni, ma non a tutti viene in mente che all’inizio — quando venne perso molto tempo — ad avere ragione fu il politico con il linguaggio meno diplomatico: Winston Churchill. Ma il mondo cambia, quasi un secolo più tardi tutto succede più velocemente: probabilmente anche a causa di una migliore diffusione della informazione.
Più velocemente arriva anche la comprensione di chi sia il politico con il quale bisogna coesistere.
Il prossimo passaggio: comprendere che non bisogna tentare di coesistere con certi personaggi.
Le persone più sensibili interrompano ora la lettura di questo post.
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Alle persone che si interessano un po’ più profondamente dei difficili (ehm, sì, proprio difficili) rapporti attuali tra la Russia e l’Ucraina è sicuramente capitato di leggere che ai cosiddetti «negoziati» in Turchia (ma anche quelli precedenti) aveva partecipato anche il ben noto a tutti Roman Abramovič. Una persona media potrebbe a questo punto chiedersi: come c’entra questo amante del calcio inglese e degli yacht giganti con le trattative sulla fine di una guerra? Direi che per una persona media è una domanda abbastanza logica.
Io, a questo punto, potrei dividere la mia risposta in due parti. Prima di tutto, posso consigliare a tutte le persone realmente interessate ad approfondire l’argomento di leggere il recente articolo – un po’ lungo ma ben fatto – pubblicato sul Financial Times. L’accesso è a pagamento, ma potreste riuscire a organizzarvi con una spesa minima o, per esempio, attraverso qualche accordo / offerta messa a disposizione dalla vostra azienda (lo dice uno che sfrutta l’università, ahahaha).
La seconda cosa che posso dirvi circa il coinvolgimento di Abramovič nei «negoziati» è un principio che ho avuto l’occasione di approfondire diverse volte durante i miei studi degli ultimi dieci anni. Tra le varie – e vere! – doti imprenditoriali di Roman Abramovič ce n’è una particolarmente interessante: la sua incredibile capacità di raggiungere gli accordi funzionanti e rispettati dalla controparte, ma non scritti, non registrati, non depositati, non firmati, non qualsiasi altra cosa… Una buona parte delle ricchezze di Abramovič è stata accumulata – o a volte salvata – proprio grazie alla suddetta capacità.
La capacità che si è rivelata utile anche in questo nuovo contesto, in quel momento quando si cerca di fare 1) i negoziati-perditempo; 2) i negoziati con i risultati che si potrebbe «dimenticare» per primi in un qualsiasi momento futuro.
Perché Abramovič ha accettato di partecipare a una impresa del genere? Perché una delle abilità principali di ogni imprenditore russo – indipendentemente da quanto sia autonomo e grande – è quella mantenere i buoni rapporti con i detentori del potere: per salvare la propria attività, le proprie ricchezze e la propria libertà. Chi non ha questa capacità non esiste in qualità di un imprenditore russo. Abramovič, come tutti gli altri, potrebbe anche tentare di mollare ogni impegno e stabilirsi da qualche parte in Europa o negli USA, ma capisce che nessuno può ormai garantirgli l’infinita indulgenza dalle sanzioni.
Il 1 di aprile è passato, ora tentiamo a controbilanciare tutti gli scherzi riusciti (e non) fatti agli (o dagli) altri. Io lo faccio con un video nella consueta rubrica domenicale.
In realtà, più volte avevo già pubblicato questo video e, alla prima occasione, qualcuno mi aveva detto che esso sarebbe di una tristezza indescrivibile. Quindi ve lo ripropongo.
Un giorno del 1800 il compositore austriaco Franz Joseph Haydn vide presentarsi a casa sua un visitatore-cliente un po’ particolare che fino a quel momento non aveva mai interagito direttamente con il padrone della casa: il macellaio della zona – e, soprattutto, un grande fan di Haydn – che gli chiese di comporre un minuetto per il matrimonio della figlia. Il compositore accettò e consegnò, il giorno concordato, il lavoro svolto. Dopo alcuni altri giorni, poi, Haydn udì provenire dalla strada una esecuzione molto forte e un po’ stonata di quel minuetto. A quel punto si avvicinò alla finestra e vide una orchestra da strada, gli sposi, tanti ospiti e il macellaio con un grande toro a seguito. «Maestro! Il miglior ringraziamento da parte di un macellaio può essere solo il migliore dei suoi tori», esclamò il cliente felice.
È per questo che il minuetto in Do maggiore di Haydn si chiama «Minuetto del toro» (oppure il «Minuetto del bue»):
Un giorno Franz Joseph Haydn fu impegnato a Londra a dirigere l’esecuzione di una delle sue sinfonie. Gli spettatori desiderosi di vedere dal vivo il compositore famoso si radunarono vicino al palco e solo per questo motivo si salvarono da un grande lampadario improvvisamente caduto dal soffitto. Haydn, fortemente impressionato da quanto accaduto, espresse comunque una grande soddisfazione per il fatto che la sua musica salva le vite umane.
Oggi molti storici della musica sostengono che la sinfonia eseguita in quella occasione sarebbe stata la Sinfonia n. 102 in bemolle maggiore (composta nel 1794):
Forse ho trovato un nuovo principio per scegliere le composizioni musicali da postare…
Il martedì 29 marzo si erano tenuti in Turchia i cosiddetti «negoziati» tra la Russia e l’Ucraina. Il loro unico obiettivo era, per la Russia, quello di perdere un po’ di tempo. Infatti, la guerra sta continuando più o meno come prima. Prendiamo un giorno caso: il giovedì 31 marzo.
Il fuoco illumina il cielo notturno nella parte orientale di Kharkiv, dove l’esercito ucraino sta liberando la strada dai mezzi militari abbandonati e/o distrutti:
La gente si rifugia in una chiesa dopo essere fuggita dai villaggi vicini dove è entrato l’esercito russo. Bashtanka, regione di Mykolayiv:
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Qualcuno in Italia, avendo letto troppe notizie, mi ha chiesto se in Russia ci sia il rischio della creazione dell’"internet del tipo cinese«. L’isolazionismo / isolamento dell’internet cinese è in realtà un argomento non tanto semplice dal punto di vista tecnico e non si limita al solo «blocco» di certi siti occidentali (non so se abbia senso spiegare tutti i dettagli in questa sede), ma presumo che i miei amici e conoscenti italiani abbiano in mente proprio questo schema semplificato. Quindi il concetto sul quale mi concentro ora è: cosa succede se in Russia dovesse essere chiuso l’accesso a tutti i siti sgraditi ai vertici del regime?
Le cose fondamentali da sapere e capire sono due:
1. In Russia i vari siti seri (ma anche utili e interessanti) vengono bloccati ormai da più di dieci anni, non solo in questo periodo di guerra. Infatti, nel corso del tempo – molto tempo prima della guerra! – è stato bloccato l’accesso ai siti di alcuni media di opposizione, siti di condivisione dei file, alcuni social occidentali (per esempio, per qualche motivo non tanto chiaro è stato bloccato il poco usato in Russia LinkedIn) e messenger popolari.
2. I russi capaci di usare i computer e gli smartphone non solo per mettere i like sotto le foto continuano – come pure i cinesi! – a navigare serenamente su tutti i siti bloccati. Perché – come pure i cinesi – usano i vari VPN. Quindi la preoccupazione principale di questo periodo non è quella di rimanere senza il Facebook o il sito della BBC, ma quella di rimanere senza l’internet in generale. Infatti, più o meno tutti capiscono che in Russia il semplice blocco dei vari siti non ha molto senso pratico (abbiamo appena visto il perché), mentre l’elaborazione di un sistema di controllo tecnologicamente evoluto non è possibile (come non è stato possibile creare uno esercito potente: a causa della corruzione). Quindi il cosiddetto Governo russo attuale (l’insieme dei vari funzionari che servono Putin), infastidito dalla libera circolazione delle informazioni, potrebbe anche decidere di «scollegare» fisicamente l’internet russo da quello mondiale. Non sono sicuro che l’internet russo riesca a funzionare – intendo tecnicamente – nella modalità di una rete locale, ma le persone che prendono certe decisioni non si preoccupano di questi piccoli dettagli.
Insomma, finché l’internet funziona, non bisogna preoccuparsi per i russi interessati ai siti seri.
Io, personalmente, mi preoccupo vedendo molti miei amici e conoscenti europei (italiani e non solo) che ignorano proprio l’esistenza dei VPN. Non ne sanno nulla e quindi non capiscono perché io continui a condividere (a volte) le informazioni e le conoscenze scientifiche pubblicate su alcuni siti bloccati in vari Stati europei.
Ebbene, per navigare serenamente dove vi pare, potete scegliere tra gli innumerevoli VPN esistenti nella natura. Io, in base alla mia esperienza personale, posso consigliarvi queste varianti:
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Ho finalmente pubblicato il rapporto fotografico sulla mia visita a Cantù del 28 dicembre 2021.
Qual è la prima cosa che vi viene in mente quando leggete (o sentite) il nome di quel comune? E ne sapevate qualcos’altro? Ecco…
A volte mi capita di sentire o leggere le persone che, dimostrando delle scarse capacità di analisi, ripetono in un modo sconsiderato i vari slogan della propaganda putiniana. Per esempio, alcuni chiedono: perché la NATO (o gli USA) poteva fare l’intervento X, mentre la Russia non potrebbe fare una cosa simile / uguale? Per fortuna, è un trucco della propaganda che può essere smontato molto facilmente.
Prima di tutto, in generale, il fatto un intervento militare sbagliato – qualora dovessimo considerarlo sbagliato o addirittura illegale – non può giustificare tutti gli altri interventi sbagliati. Se Tizio ha ucciso, Caio non può e non deve sentirsi autorizzato a compiere lo stesso fatto.
E poi possiamo vedere i dettagli di ogni singola guerra concreta condotta dagli USA o dalla NATO. Oggi farei l’esempio dell’intervento nella ex Jugoslavia. Andiamo per punti:
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