L’archivio del 2022 год

I preparativi ai “referendum”

Da oltre cinque mesi mi capita, con una certa regolarità, di leggere dei sondaggi riguardanti la guerra in Ucraina commissionati dagli abitanti del Cremlino, ma mai pubblicati a causa dei risultati «sbagliati». Qualora quei risultati dovessero esistere veramente, io ne sarei molto sorpreso: in Russia i cittadini hanno spesso paura di rispondere quello pensano agli intervistatori sconosciuti. Preferiscono dare una risposta neutrale o pro-governativa per non rischiare e/o per essere lasciati stare prima possibile. In più, i risultati di un qualsiasi sondaggio possono essere manipolati (con molta più facilità dei risultati delle varie «elezioni»).
Ma, in ogni caso, ogni lettura dei risultati sgradevoli a Putin è – nel peggiore dei casi – una fonte di speranza e di buon (relativamente) umore. Quindi per oggi vi consiglio una bella lettura su un recente sondaggio condotto tra gli abitanti delle zone ucraine già/ancora occupate dall’esercito russo. L’obiettivo del sondaggio: capire la prontezza delle persone alla annessione delle loro zone alla Russia.


La turbina della discordia

L’altro ieri, il 3 agosto, il cancelliere Olaf Scholz «è andato a trovare» la turbina Siemens della Gazprom riparata, ha fatto tanti complimenti all’oggetto visto e si è pure fatto fotografare in sua compagnia. Lo spettacolo sembra un po’ ridicolo – cosa può capire un politico dei meccanismi del genere e perché dovrebbe dare a loro una visita di Stato? – ma in realtà è abbastanza sensato: Scholz sta cercando di comunicare ai propri elettori (ma anche agli europei) che sta cercando di fare tutto il possibile per riavviare le forniture del gas russo.

Ovviamente, i lettori di questo post capiscono benissimo il concetto descritto prima. Quindi io proporrei di passare al mistero seguente: la Gazprom (si legge Cremlino) non sta accettando la turbina riparata perché a) vorrebbe una decisione europea sull’annullamento delle sanzioni riguardanti il settore delle materie prime, oppure b) si sta vendicando per il lunghissimo perditempo tedesco sulla decisione circa l’attivazione del «Nord Stream 2» (verificatosi in estate-autunno 2021).
Conoscendo lo stato intellettuale di certi funzionari russi, non posso escludere del tutto la seconda opzione…


L’architetto di Putin

All’"architetto di Putin" Lanfranco Cirillo, accusato di reati fiscali e tributari, sono stati sequestrati beni per 141 milioni di euro. Per ora non riesco a capire quanto le accuse siano fondate, ma vedo già che Cirillo sta per qualche strano motivo (e in un modo un po’ debole) tentando di difendere Putin dalle accuse di corruzione. Certo, posso presumere che l’unico suo intento sia quello di non perdere i ricchi contratti in Russia, ma di questi tempi non mi sembra una cosa tanto conveniente: almeno per una persona capace di pensare – a differenza dello stesso Putin – alle condizioni della propria vita in un futuro più lontano di qualche mese…
Ma nell’attesa degli sviluppi di questa storia (che un po’ mi incuriosisce) posso constatare già ora che con l’aiuto di Lanfranco Cirillo la Russia contemporanea è riuscita a esportare nel mondo qualcosa di diverso dal petrolio, gas e bombe: il modo di conservare i beni personali (soldi contanti e oggetti di valore registrati all’estero) e di giustificare la loro provenienza («vivo e lavoro all’estero»). Questo «favore» reputazionale potrebbe essere ricordato nel futuro inevitabile senza Putin, quindi qualcuno rischia di perdere più o meno tutto in entrambi gli Stati: quello delle indagini e quello dei guadagni.


Ha sbagliato il segno

Igor Konashenkov, il portavoce del Ministero della Difesa, ha dichiarato che gli Stati Uniti sarebbero direttamente coinvolti nella guerra in Ucraina perché fornirebbero a Kiev le indicazioni sugli obiettivi da colpire con i sistemi missilistici HIMARS. Konashenkov ha poi precisato che l’amministrazione del presidente USA sarebbe responsabile «di tutti gli attacchi missilistici approvati da Kiev su aree residenziali e infrastrutture civili», i quali avrebbero provocato la morte di massa di civili.
Non ricoprendo alcun ruolo nella amministrazione di Joe Biden, non posso commentare in modo argomentato le stronzate dichiarate da Konashenkov. Però posso ricordare – a tutte quelle persone che si sono in qualche modo imbattute nelle sue recenti dichiarazioni – che gli USA forniscono all’Ucraina gli armamenti a lungo raggio con una condizione: che non vengano usati per colpire il territorio russo o la Crimea.
Di conseguenza, Igor Konashenkov e tutti suoi superiori (ma anche i colleghi) dovrebbero pregare poiché gli USA continuino a essere «direttamente coinvolti».


Vadim Bakatin

Ieri è morto, all’età di 85 anni, l’ultimo direttore della KGB Vadim Bakatin.
Sarebbe bello esercitarsi nelle fantasie su come potessero andate molte cose della storia se un certo Putin non si fosse licenziato nove giorni prima della nomina di Bakatin alla direzione, ma ora è totalmente inutile. Quindi ora posso solo dispiacermi per fatto che l’impegno di Bakatin nella riforma della KGB non abbia evitato la reincarnazione di quest’ultima con il nome del FSB. Evidentemente, certe malformazioni sul corpo della società possono essere solo eliminate, ma non curate.
Eppure, l’idea di Bakatin era quella di non lasciare lo Stato senza un sistema di sicurezza funzionante, ma seguire sette principi nella riforma della KGB:
1. La disintegrazione. Frammentazione del KGB in una serie di agenzie indipendenti che si sarebbero controbilanciate e sarebbero state in concorrenza tra loro.
2. Il decentramento. Concessione della piena indipendenza alle agenzie di sicurezza delle repubbliche dell’URSS, con il lavoro coordinato delle strutture inter-repubblicane.
3. Il rispetto dello Stato di diritto, dei diritti umani e delle libertà.
4. La deideologizzazione della struttura.
5. L’efficacia. Concentrarsi sull’influenza criminale esterna sugli affari interni, combattere il crimine organizzato come minaccia alla sicurezza nazionale.
6. Più trasparenza possibile. La società civile deve comprendere e sostenere gli obiettivi dei servizi di sicurezza.
7. Non danneggiare la sicurezza del Paese.
Il tentativo non ha funzionato. Ma qualcuno doveva almeno provarci.


Aggionare la terminologia

Da anni osservo la strana abitudine dei giornalisti italiani – ma spesso anche quelli europei in generale – di definire con il termine «oligarca» qualsiasi uomo ricco con la cittadinanza di qualche Stato dell’area ex sovietica… Ma porzo Zeus, aggiornatevi! In Russia, per esempio, gli oligarchi non esistono dai primi anni 2000 perché i super-ricchi attuali, a differenza di quelli degli anni ’90 (anche se in alcuni rari casi sono le stesse persone), non possono più tentare di influenzare qualcosa o qualcuno con i propri soldi. Ora c’è qualcuno a concedere ai ricchi la possibilità di tenere i soldi in tasca e di essere fisicamente liberi. Più o meno tutti sanno che può smettere di concedere quella possibilità in qualsiasi momento. Più o meno tutti sanno anche come si chiama quel qualcuno: teoricamente il suo posto di lavoro sarebbe nel Cremlino di Mosca.
In Bielorussia gli oligarchi sono impossibili perché lo Stato è di fatto governato dal presidente-proprietario, il quale decide anche sui principali flussi finanziari.
Nelle ex-repubbliche sovietiche asiatiche le persone più ricche sono i membri delle dinastie (sì, sono di fatto delle dinastie, anche se la carica massima dello Stato si chiama «presidente» o qualcosa del genere). Non possono essere degli oligarchi nei confronti di loro stessi.
Nelle ex-repubbliche sovietiche caucasiche solitamente ognuna delle persone più ricche sostiene economicamente qualcuno dei politici più popolari del momento. Il fenomeno del genere, anche se in una forma molto più velata e regolamentata, esiste anche dalle altre parti del mondo. Ma nell’ottica dell’argomento di oggi è importante sapere che in Cuacaso c’è una «rotazione» dei politici e dei loro sponsor.
Nelle ex-repubbliche sovietiche baltiche la situazione politica è abbastanza strana, ma spesso esteticamente molto simile a quella europea, quindi non ha molto senso parlare degli oligarchi.
Chi ci rimane? Giusto: l’Ucraina. La sua situazione è da decenni uno strano mix tra le situazioni baltica, russa e caucasica. Infatti, l’economia è abbastanza libera, ma influenzata in un modo sensibile dalla corruzione e dalla presenza dei grandi ricchi che finanziano i politici in base alle necessità correnti. Ne sto scrivendo proprio oggi perché pure i giornali italiani hanno scritto (ieri) della morte del 74-enne imprenditore ucraino Oleksiy Vadatursky (la notte tra il sabato e la domenica è stato ucciso dal bombardamento russo della città di Mycolaiv). Ecco: pure lui è stato definito un oligarca, anche se era il 24-esimo uomo più ricco dell’Ucraina con un patrimonio di 430 miloni di USD (capisco che a un comune mortale sembrano tantissimi). Era il proprietario della azienda «Nibulon», la terza azienda agricola ucraina per il fatturato. In particolare, l’azienda è impegnata nella produzione e nell’esportazione di prodotti agricoli, nonché nella costruzione di navi e nei trasporti. Ma, soprattutto, non mi ricordo di avere mai sentito di un particolare interesse di Vadatursky per la politica: tranne il fatto che era un sostenitore dell’ex presidente Poroshenko (un tipo già ricco di suo) e uno sponsor finanziario del contrato della invasione russa (come tantissimi altri imprenditori ucraini). Sicuramente aveva un certo interesse politco e una propria visione dello sviluppo ottimale dello Stato – come ce l’hanno tutti gli imprenditori del mondo – ma dei suoi tentativi di influenzare il corso globale delle cose (e, soprattutto, farlo con successo) non si sa praticamente niente. Quindi non so proprio in quale di tanti sensi possibili e immaginabili possa essere definito un oligarca.
Di conseguenza, per l’ennesima volta ricordo a tutti di non usare a caso delle parole così specifiche.
Ovviamento, tutto quello che ho appena scritto non significa che io non sia dispiaciuto per la morte di Oleksiy Vadatursky e per la guerra in Ucraina in generale.


L’inno al Bayraktar

Il video di oggi è stato pubblicato più di due mesi fa, ma io l’ho scoperto solo questa settimana. Si tratta di una canzone ucraina (da ascoltare con i sottotitoli inglesi) dedicata ai mitici Bayraktar:

Al video partecipa un noto politico russo, il suo «ministro degli esteri» e alcuni dei peggiori propagandisti televisivi russi (dei quali, prima o poi, scriverò su questo blog).
Probabilmente riuscite a capire la logica secondo la quale non ho inserito la canzone in questione nella mia rubrica musicale del sabato.


La musica del sabato

Nel 1840 il governo francese fu intenzionato a festeggiare, il 28 luglio, il decimo anniversario della Rivoluzione di Luglio. Proprio nella fase di preparazione di tale evento, commissionò al compositore Louis-Hector Berlioz una composizione musicale che avrebbe dovuto essere eseguita per strada. Così nacque la «Grande symphonie funèbre et triomphale». Il 28 luglio 1840 fu diretta dal compositore stesso per le vie di Parigi.
Esistono due versioni di questa sinfonia: quella originale per una orchestra militare di fiati e percussioni e quella rielaborata da Berlioz nel 1842 per aggiungere gli archi e il coro. Io preferisco pubblicare la seconda: perché mi sembra una opera più completa e autonoma.

Questa è l’ultima, nel senso cronologico, sinfonia di Hector Berlioz e, allo stesso tempo, la sua seconda composizione dedicata alla memoria dei caduti durante la Rivoluzione di Luglio: il primo è stato il Requiem del 1837.


È importante ricordare che le guerre non sono fatte solo di sparatorie e bombardamenti di vario genere. Le guerre sono fatte, tra tante altre cose, anche dei tentativi di «rubare» alla controparte il personale altamente specializzato (le persone che sanno operare con i meccanismi tecnologici moderni) e i relativi «attrezzi di lavoro». In merito a tale caratteristica delle guerre, per questo sabato consiglio un breve articolo dal quale potrebbe partire — se siete interessati — con uno studio più approfondito dell’argomento.
Non so se anche a voi verrà (oppure è già venuta?) l’idea che le guerre del futuro saranno combattute da remoto, «con le mani» degli ingegneri e dei servizi segreti (come viene anticipato dalla storia descritta nell’articolo segnalato). Invece di essere combattute con le masse di metalli ed esplosivi.


Il folklore politico russo

Nel segmento russo dell’internet russo girano i tredici punti che riassumono la posizione ufficiale e pubblica della diplomazia russa in merito alla guerra in Ucraina. Non conoscendo l’autore della versione originale, considero quei punti un prodotto del folklore e li pubblico così come sono:
1. Non nascondiamo gli obiettivi dell’operazione speciale, ma essi cambiano ogni settimana.
2. Stiamo solo difendendo il Donbass, ma andremo oltre.
3. Non ha senso negoziare, ma noi siamo per i negoziati.
4. Non stiamo occupando l’Ucraina, ma ci resteremo per sempre.
5. Tutto procede secondo i piani, ma non abbiamo ancora iniziato.
6. Non abbiamo sono perdite, ma esse sono coperte dal segreto di Stato.
7. Consideriamo il Presidente dell’Ucraina legittimo, ma vogliamo rovesciarlo.
8. Siamo contrari all’allargamento della NATO, ma non siamo contrari all’allargamento della NATO.
9. Non abbandoniamo mai i nostri, ma molti di loro non torneranno e noi non sappiamo dove siano.
10. Proteggiamo la popolazione di lingua russa, ma spareremo contro di essa per proteggerla meglio.
11. Le sanzioni ci fanno solo bene, ma le industrie stanno crollando.
12. La Gazprom è la ricchezza nazionale, ma molti paesi, abitazioni, scuole etc. non sono stati raggiunti dai gasdotti.
13. Le sanzioni ci fanno solo bene, ma chiediamo che vengano revocate!
Secondo me seguirà una continuazione.