Chi, se non io, vi avrebbe aggiornati sulle ultime notizie dalla Bielorussia? So che in assenza di quegli aggiornamenti non percepite la vostra vita come una cosa completa ahahaha
Negli ultimi due giorni alle proteste popolari bielorusse – contro la permanenza di Aleksander Lukashenko al potere – si sono uniti gli operai di molte importanti fabbriche del Paese. Gli operai, in particolare, chiedono il riconteggio dei voti.
Valutando positivamente tale notizia, si rischia di risultare ingenui o, almeno, troppo ottimisti. Infatti, bisogna rendersi conto del fatto che si tratta delle fabbriche statali (quasi tutte le aziende medie e grandi bielorusse sono statali), i cui dipendenti stanno solo manifestando, ma non scioperando. I dipendenti statali, come ben immaginate, sono quelli più facilmente controllabili. Di conseguenza, potrebbe trattarsi solo di un tentativo di organizzare una alternativa alla protesta popolare, una «protesta gestibile e controllabile» dall’alto. A quale scopo? Per esempio, allo scopo di «ricontare» i voti delle ultime elezioni e comunicare che il risultato «reale» di Lukashenko sarebbe del – che ne so – 54% invece dell’80% comunicato prima.
A questo punto potreste chiedermi che senso abbiano le proteste finte se ci sono già quelle vere popolari. La risposta è banalissima: cedere alle richieste «della piazza» sarebbe – almeno nella logica dei dittatori – un segno di debolezza. Invece il dialogo con le corporazioni dei lavoratori – sebbene tutti sappiano come sono controllate dallo Stato stesso – sarebbe un segno di serietà e responsabilità.
Allo stesso tempo, tale modo di agire potrebbe far parte di un gioco politico molti fine. L’opposizione, infatti, avrà l’illusione di avere quasi vinto. «La prossima volta ci andrà ancora meglio», diranno gli oppositori. E la volta sarà per sempre prossima.
Certo, a questo punto potremmo chiederci perché l’illusione della «quasi vittoria» non sia stata regalata alla opposizione già al momento del conteggio dei voti. Ma di solito è la paura di perdere qualcosa a far sbagliare, anche ai dittatori.
Detto tutto questo, non posso non sottolineare che spero di sbagliarmi. Spero che tutte le manifestazioni bielorusse contro Lukashenko siano a) sincere, b) vincenti in un arco di tempo abbastanza brevi e c) meno dolorose possibile per tutti.
L’archivio del agosto 2020
Ormai da mesi nei vari negozi online è disponibile una vasta scelta delle mascherine in tessuto con dei disegni più o meno interessanti. Ogni persona può dunque trovare qualcosa di accettabile o addirittura bello per i propri gusti. Indipendentemente dalla presenza o meno di un disegno, i prognostici sui mesi futuri non ci fanno dubitare troppo sulla opportunità dell’eventuale acquisto. E, infatti, la gente compra…
Di conseguenza, mi chiedo: perché nessuna grande azienda ha ancora iniziato a distribuire anche gratuitamente – per esempio, per strada o nei propri negozi – le mascherine con la propria pubblicità stampata sopra? I costi economici di una campagna pubblicitaria del genere non dovrebbero essere particolarmente alti, mentre assieme a una infinità di agenti pubblicitari vaganti si rischia anche di migliorare la propria immagine.
Qualcuno poteva avere letto, ieri, dell’annuncio di Putin: la Russia ha registrato il primo vaccino al mondo contro il Covid-19. Penso che sia evidente più o meno a tutte le persone mentalmente sane: si tratta solo di una auto-pubblicità politica, di un tentativo di mostrare la propria superiorità sull’Occidente ostile in un argomento molto risentito. Le persone poco informate della attuale stilistica politica russa lo possono capire almeno dalle tempistiche e dalla segretezza totale (sottolineata più volte dalla comunità scientifica mondiale) che hanno accompagnato la «creazione» del «vaccino» russo.
Evito le valutazioni del gesto di Putin.
Trovo invece molto più interessante e utile sottolineare alcuni principi universali che debbano essere necessariamente chiari più o meno a tutti gli umani mentalmente sani.
Prima di tutto bisogna ricordare che la creazione di un nuovo vaccino sicuro, efficace e accessibile a larghe fasce di popolazione richiede anni. Ripeto: anni. Non so da dove saltino fuori le leggende del tipo «il primo vaccino entro la fine del 2020» o «tra un anno». I medici con i quali mi capitato di parlare e gli scienziati i cui articoli mi è capitato di leggere negli ultimi mesi sostengono che nel migliore dei casi ci vorrebbero 5 anni. Con tantissima fortuna si potrebbe farcela anche in 3 anni, ma sembra poco realistico. Non penso che sia necessario rispiegare i motivi già ben noti a tutti: oltre alla ricerca della formula del vaccino, è necessario svolgere anche dei lunghi test e poi trovare il modo di produrre velocemente tanti dosi a un costo ragionevole.
In secondo luogo, potremmo chiederci se, considerati i tempi di cui sopra, il vaccino contro il Covid-19 sia realmente necessario. La risposta è affermativa. Perché? Perché tra 3 o 5 anni il Covid-19 – lo dobbiamo almeno sperare – non ci sarà più per dei motivi naturali, ma la base scientifica acquisita grazie alla ricerca del vaccino sarà molto utile alla umanità intera.
In terzo luogo, dobbiamo necessariamente diffidare di ogni vaccino creato in pochi mesi o anni. Infatti, nel peggiore dei casi un vaccino non testato attentamente può danneggiare la salute della persona. E nel migliore dei casi non farà alcun effetto medico, ma darà alla persona la pericolosa illusione della protezione dal coronavirus. La seconda opzione, al giorno d’oggi, speso vale anche per i guanti e le semplici mascherine. A questo punto, molto probabilmente, mi conviene sottolineare: io non sono un anivaccinista e non lo sono mai stato.
In quarto luogo, ricordiamoci di una cosa banalissima ma sempre vera: il vaccino non è una cura. Quindi è utile solo se fornita alla persona ancora sana ma desiderosa di prevenire la malattia. Alle persone già affette dal coronavirus servirebbero altri farmaci.
A questo punto dovrei scrivere una specie di conclusione, una frase risolutiva. Ma io non ce l’ho quella frase.
Quindi, semplicemente, vi invito a non dare troppa attenzione né alla gente isterica né agli ottimisti spensierati. La serenità ci aiuterà a superare tutte le prove.
Probabilmente lo avete già letto o sentito da qualche parte: domenica si sono concluse le elezioni di Lukashenko presidenziali in Bielorussia. Seguendo il recente e «fortunato» esempio russo, la votazione popolare era durata più giorni (in questo caso tre), permettendo dunque di profanare tutte le regole volte a garantire la corrispondenza tra il contenuto delle urne e il reale utilizzo delle schede da parte degli elettori. Questa, però, è stata l’unica somiglianza evidente con le elezioni russe.
In generale, devo constatare che le elezioni presidenziali bielorusse ormai da due decenni è un fenomeno stranissimo. Da una parte, Aleksander Lukashenko meriterebbe non solo il titolo dell’"ultimo dittatore d’Europa«, ma anche del dittatore in un certo senso più massimalista. Se mi dovesse capitare, un giorno, di diventare un dittatore di un qualsiasi Stato, continente, arcipelago o Pianeta (mai dire mai), io avrei adottato un metodo semplicissimo per vincere le ennesime elezioni: avrei fatto contare i voti in modo «giusto». Forse perché ultimamente sono diventato troppo pigro e quindi amo raggiungere il risultato con meno mosse possibile. Lukashenko, invece, non è per nulla pigro. Ogni volta inizia la propria strada verso una nuova vittoria elettorale con alcune mosse preventive: pima di tutto, elimina tutti i candidati di opposizione più popolari. In alcuni casi li fa eliminare fisicamente, in alcuni altri li elimina attraverso l’arresto per qualche crimine palesemente inventato e la negazione della registrazione in qualità del candidato ufficiale per qualche motivo diverso dal presunto crimine. Sì, avete capito bene: l’arresto e la non-registrazione vengono utilizzati in contemporanea: probabilmente, «per sicurezza». No, in Russia si agisce in un modo un po’ diverso: solitamente i candidati di opposizione non vengono ammessi alle elezioni per dei motivi palesemente ridicoli, ma almeno formalmente legali (molto, molto in fondo).
Dall’altra parte, le elezioni presidenziali bielorusse sono strane perché ogni volta tra i candidati di opposizione troviamo qualche personaggio che fino a pochi mesi – o addirittura settimane – fa era un alto funzionario statale perfettamente integrato nel sistema di potere creato e coltivato da Lukashenko. È incredibile, ma ogni volta si trova dunque un nuovo tonto presuntuoso convinto di poter evitare la sorte di altri oppositori in generale e dei propri predecessori-candidati in particolare. Ma anche a un osservatore estraneo minimamente attento è chiaro che Lukashenko non tollera due cose: l’opposizione e il «tradimento» politico.
Altrettanto chiaro è anche un altro principio: le dittature non possono cadere in seguito a una sconfitta elettorale. Lo devono capire gli oppositori (sebbene la partecipazione alle elezioni sia l’obbligo professionale di ogni politico), come lo devono capire anche i dittatori. A questo punto non è molto chiaro che senso possa avere infastidire la gente due volte (non registrando i candidati e alterando i risultati della votazione) se si può farlo solo una volta? La forza della protesta popolare è un vaso in fase di riempimento e non un torrente già esistente da dividere in ruscelli. In ogni caso, la situazione attuale è quella che è. La Bielorussia è uno Stato con un alto livello delle repressioni. L’assenza della pluralità politica (ma anche, per esempio, dei media) è il «merito» di Lukashenko e non un difetto della società.
Secondo i dati ufficiali, Lukashenko (al potere dal 1994) avrebbe preso più dell’80% dei voti e la candidata arrivata seconda (Svjatlana Cichanoŭskaja, una casalinga senza alcuna esperienza della attività pubblica, la moglie di un candidato-oppositore arrestato) avrebbe preso poco meno del 10%. Secondo le indagini socio-politiche, invece, i due risultati reali sarebbero dell’8% per Lukashenko e del 70% per Cichanoŭskaja. La percentuale reale della candidata di opposizione, chiaramente, non è il suo risultato politico personale, ma la reazione popolare ai 26 anni della presidenza di Lukashenko. Pure le manifestazioni di protesta verificatesi a Minsk la sera e la notte dopo le elezioni non erano dunque a sostegno di Cichanoŭskaja: ella ha sempre dichiarato che il suo unico programma presidenziale è quello di organizzare le elezioni presidenziali libere in sei mesi dalla entrata in carica.
Nonostante la breve durata della protesta e la sua soppressione abbastanza forte, non penso che sia già tutto finito. Perché non ho mai visto i bielorussi deridere così apertamente Lukahenko. E non ho mai visto lo stesso Lukashenko così palesemente nevoso: probabilmente si rende conto che ora la sua permanenza al potere dipende solo dalla fedeltà dei militari e delle forze dell’ordine.
Ecco, si dimentica che nella storia queste due entità sono sempre state le prime ad abbandonare i dittatori esauriti.
Di conseguenza, ritengo che la storia mi stia offrendo la possibilità di rinviare la pubblicazione della seconda parte del testo a tempi non molto lontani.
Nei titoli (non necessariamente di coda) dei film spesso è contenuto un importante dettaglio tipografico sconosciuto a moltissimi spettatori. Fino a poco fa era sconosciuto anche a me.
Se i nomi degli sceneggiatori sono separati dalla particella «and», significa che le persone indicate hanno lavorato separatamente, indipendentemente l’uno dall’altro. Se, invece, i nomi sono separati dal simbolo &, significa che le persone indicate hanno fatto un lavoro di squadra, hanno lavorato insieme.
Chi conosce la chimica meglio di me (non ci vuole molto), sostiene che il nitrato d’ammonio per esplodere in questo modo deve essere «accompagnato» da alcune altre sostanze. Almeno dal punto di vista teorico è una tesi facilmente verificabile dalle persone realmente interessate. Molto più difficile da verificare sono, per una semplice persona estranea, le condizioni nelle quali erano conservate quelle quasi tre mila tonnellate di nitrato d’ammonio.
Ma la versione iniziale sulla esplosione di un deposito dei fuochi d’artificio era già da subito credibile quanto alcuni racconti annuali sui «festeggiamenti pericolosi scongiurati» del Capodanno a Napoli.
Utilizzo il presente post prevalentemente per salvare la ripresa della esplosione da varie angolature:
Il gruppo britannico UFO, nato nel 1969 e cambiato più volte nella sua composizione (l’unico membro costante è il cantante Phil Mogg), durante i decenni della sua attività ha influenzato diversi gruppi del hard rock e del metal. Io, però, l’ho scoperto relativamente tardi (alla fine degli anni ’90), anni dopo alcuni altri gruppi alla qualità dei quali mi ero già abituato. Di conseguenza, ho sempre classificato gli UFO come un gruppo di rango inferiore rispetto, per esempio, ai Scorpions: questi ultimi, secondo me, hanno raggiunto dei risultati decisamente più interessanti nel hard rock. Non so se sia anche il merito di Michael Schenker – fratello più piccolo di Rudolf – che ha suonato prima con gli UFO e poi con i Scorpions.
Ma è comunque importante conoscere le origini della musica amata e ascoltata anche nelle epoche passate della vita (da circa dieci anni i miei interessi sono limitati a alcuni altri generi). Quindi per il post musicale di oggi ho scelto le seguenti due canzoni degli UFO:
La prima è «Doctor Doctor» (dall’album «Phenomenon» del 1974):
E la seconda è «Let It Roll» (dall’album «Force it» del 1975):
Quanti dei miei lettori, dopo la quarantena e le difficoltà successive, hanno ancora i soldi e/o i giorni di ferie per viaggiare? Vorrei sperare che la risposta sia «tutti».
Ma per coloro che non dovessero avere tale fortuna, io ho una nuova piccola soluzione tecnologica. Capisco che non può sostituire la vita reale, ma è comunque una forma di divertimento curiosa.
Oggi vi consiglio il progetto Random Street View. In sostanza, all’avvio il sito vi propone un punto del globo casuale visitabile in formato Google Street View. Partendo da quel punto, potete «andare a fare un giro» in una zona che, molto probabilmente, non avete mai visto prima.
Volendo, potete anche chiedere al sito di darvi un altro punto di partenza casuale oppure indicare al sito lo Stato che vi interessa particolarmente.
Mi sembra, in base alla mia esperienza personale, che il sito proponga principalmente delle zone non molto urbanizzate. Beh, è sempre una fonte di serenità!
Oggi i miei lettori hanno una bellissima occasione di accertarsi facilmente in prima persona che la maggioranza delle cosiddette grandi rivelazioni non ha in realtà alcun valore informativo.
Così, se noi crediamo all’affermazione che il Governo «saggio» italiano abbia un piano segreto per la eventuale seconda ondata del coronavirus, dobbiamo anche riconoscere che tale piano parla del nulla.
Non si sa cosa fare in futuro come non si era saputo cosa fare prima.
Auguri a tutti.
Ieri ho letto che a Palermo si è laureato (con 110 e lode) l’universitario triennalista più anziano: Giuseppe Paternò di 97 anni. E ora sta pensando alla laurea specialistica.
Grazie al suo impegno didattico ora ho l’occasione di ribadire un concetto particolarmente importante nel periodo che stiamo vivendo. L’organismo di ogni essere umano si rassegna ai processi fisiologici inevitabili quando il cervello percepisce la fine della missione sulla persona stessa in questo mondo. L’impegno intellettuale costante, affiancato dagli obiettivi e scadenze precisi è dunque una importante – anche se non l’unica – fonte di vita.
Siate intelligenti, siate come Giuseppe.
Potrei anche proporre una piccola sfida ai miei lettori: chi avrà più lauree a cento anni ahahaha