A novembre mi era già capitato di scrivere dello strano smartphone con lo schermo sulla base dell’e-ink. Uno dei suoi grandi difetti (ma non il più grave) era la monocromia perché la tipologia suddetta dello schermo è progettata per i libri elettronici.
Ma ecco che l’8 gennaio 2020 l’azienda cinese Hisense ha presentato alla fiera CES di Las Vegas il prototipo funzionante dello smartphone con lo schermo e-ink a colori.
Il vantaggio degli schermi e-ink, in generale, è un bassissimo livello di consumo della energia: ne richiedono pochissima per cambiare l’immagine e ne consumano zero quando l’immagine è statica. Grazie a queste caratteristiche lo schermo è sempre «acceso».
L’azienda produttrice sostiene che il loro schermo sia più veloce di quelli esistenti finora sul mercato. Ma io, da parte mia, dubito comunque che con la tecnologia e-ink sia possibile raggiungere una velocità sufficiente per il normale funzionamento di uno smartphone.
Il modello con l’e-ink a colori dovrebbe arrivare sul mercato alla fine della primavera. Ma penso che i difetti già elencati nel mio post di dicembre (vedi il link all’inizio) valgano anche per questa creatura della Hisense: lentezza infernale e autonomia non eccezionale.
L’archivio del Gennaio 2020
La settimana scorsa avevo promesso di approfondire un po’ due grandi notizie russe: la «proposta» della riforma costituzionale avanzata da Vladimir Putin e le dimissioni del Governo russo guidato da Dmitry Medvedev. Nonostante una quantità incalcolabile delle notizie in merito che abbiamo letto e sentito negli ultimi giorni, i principi di base sempre validi sono tre:
1) l’obiettivo della riforma annunciata è sempre quello: trovare il modo di rimanere al potere per sempre;
2) a quanto pare, i consulenti costituzionalisti hanno proposto a Putin una serie di versioni differenti della riforma e Putin, nel suo discorso del 15 gennaio, anziché scegliere una sola versione, ha deciso di buttarle tutte in un’unica proposta priva di ogni logica giuridica interna;
3) le dimissioni del Governo presentate da Medvedev il giorno stesso non hanno alcun senso politico e giuridico nell’ottica della futura riforma costituzionale. Evidentemente si tratta di una mossa populista concordata anticipatamente tra i due personaggi (il principale vuole far vedere di avere cacciato il Governo «cattivo» che non gli permetterebbe di migliorare la vita del popolo).
Il primo principio non dovrebbe essere di grande sorpresa per i miei lettori.
Il secondo punto richiederebbe una attenta analisi giuridica della proposta, ma non so quanti lettori ne siano realmente interessati. Quindi sottolineo solo alcuni piccoli dettagli. Per esempio, vediamo chiaramente che Putin si riserva almeno due possibilità: rimanere Presidente della Russia oppure passare alla Presidenza del Consiglio di Stato istituito con la riforma. Le competenze concrete e la composizione di quest’ultimo organo non sono però menzionate nel testo della riforma. Leggiamo solo che dovrebbe «coordinare il funzionamento delle Istituzioni e determinare le linee guida principali della politica interna ed estera». Boh… L’opzione di rimanere Presidente della Russia, invece, è deducibile da una strana riscrittura delle competenze presidenziali: una parte di esse dovrebbe passare al Parlamento, ma allo stesso tempo il Presidente otterrebbe delle ampie possibilità di bloccare o annullare le decisioni del Parlamento.
Non penso che il Parlamento approvi un testo di riforma costituzionale sensibilmente diverso da quello che è stato sottoposto alla sua attenzione (ieri, dopo soli tre giorni lavorativi dal discorso di Putin), ma trovo più sensato commentare in dettaglio un testo già approvato in almeno una lettura.
Il mio terzo punto, infine, non deve fare pensare che l’influenza politica di Dmitry Medvedev sia in qualche modo diminuita. Assolutamente no! Poche ore dopo le dimissioni egli è stato nominato vice-presidente del Consiglio di sicurezza russo. Il presidente del Consiglio di sicurezza – sorpresa! – è Putin. E, la cosa più interessante, il disegno di legge per la creazione dell’incarico di vice-presidente è stata presentata alla Duma quattro ore dopo la nomina di Medvedev. Insomma, non dimenticatevi di questo simpatico personaggio: nonostante l’apparenza, non un semplice pupazzo politico.
Concluderei il post odierno con una antichissima barzelletta belorussa circa la votazione popolare in merito al mantenimento di Aleksandr Lukashenko al potere:
La domanda sottoposta al referendum: «Lei non è contrario al fatto che Lukashenko rimanga Presidente della Belorussia a vita?»
Le varianti della risposta:
«Sì, non sono contrario»
«No, non sono contrario»
Tanti bar e quasi tutti i ristoranti d’inverno attrezzano le proprie aree esterne con degli strumenti di questo tipo:
Ma andando al bar o al ristorante tutte le volte che sentiamo troppo freddo facciamo una brutta fine (non importa se in termini di salute o di soldi). Di conseguenza, ritengo che ogni inverno lungo le vie delle città debbano essere appesi degli asciugamani elettrici.
Avviate pure un referendum.
Il Presidente del Turkmenistan Gurbanguly Berdimuhammedow si rende spesso protagonista di video curiosi. Mi sembra di averne già pubblicato qualcuno, ma non riesco a trovare i relativi post con l’ausilio dei tag. Beh, in ogni caso oggi recuperiamo abbondantemente.
Il 30 dicembre 2019 si è tenuto a Asgabat (la capitale del Turkmenistan) un concerto pre-Capodanno per i membri del Governo e del Parlamento e per gli artisti più importanti dello Stato. Al concerto, per poco più di un ora, si è esibito anche il Presidente: ha cantato alcune proprie canzoni, ha recitato un po’ di rap, ha suonato un sintetizzatore e ha tenuto una piccola lezione sugli strumenti musicali…
Ma nel corso della medesima esibizione ha fatto pure da DJ! Ecco la testimonianza video:
Beh, la stilistica dimostra che almeno il Presidente turkmeno vive in un contesto culturale cinese/coreano e non quello europeo (dove tali oscenità sono superate da almeno trent’anni).
Per il post musicale di oggi ho voluto selezionare qualcosa di allegro. A termine di un breve periodo di meditazione ho dunque scelto la piece per l’orchestra «An American in Paris», scritta dal compositore George Gershwin nel 1928 (e suonata per la prima volta a Canegie Hall il 13 dicembre dello stesso anno).
Sì, dovrei educarvi anche all’ascolto del jazz, ahahaha
La maggioranza dei genitori religiosi è convinta che i loro figli siano più buoni, altruisti e onesti rispetto ai figli degli atei. Una ricerca della Università di Chicago, condotta in Canada, Cile, Giordania, Turchia, USA e Corea del Sud, ha però rilevato la correlazione di segno opposto tra il livello di religiosità e il livello di altruismo dei bambini. La ricerca è stata condotta su 1170 bambini dell’età tra i 5 e i 12 anni.
Si è scoperto, dunque, che la religiosità dei genitori incide negativamente sull’altruismo dei bambini e rende questi più propensi alla crudeltà (per la nostra fortuna si tratta di una statistica). La convinzione popolare circa la cosiddetta «catastrofe morale» del mondo dovuta all’abbandono della religione è dunque da considerare di validità più che dubbia.
Da parte mia aggiungerei che per l’umanità le religioni hanno svolto un compito molto simile a quello svolto dalle fiabe per i bambini. I bambini, crescendo e sviluppando le capacità intellettuali, trovano altre fonti dei valori umani, altre (notevolmente più evolute) giustificazioni del proprio operato, altri modi di distinguere tra il bene e il male. L’umanità non è più una bambina: ha abbondantemente superato quella età intellettuale nella quale furono sufficienti le fiabe religiose.
Qualche tempo fa ho letto della decisione del Governo cinese di abbandonare l’uso del software e del hardware americani negli enti statali e nelle aziende che lavorano per tali enti (penso che si tratti a questo punto di almeno la metà dei computer utilizzati sul territorio cinese). Formalmente si parla di tutto il software straniero ma, considerata l’intenzione di sostituire anche il sistema operativo, è facile individuare la «vittima» principale che ci perderà più di tutti gli altri (quindi l’azienda che ha almeno un suo prodotto su ogni computer cinese). Entro la fine del 2022 sui computer degli enti statali non deve rimanere nemmeno una copia del Windows.
Il programma statale di sostituzione dei prodotti stranieri si chiama «3—5—2»: si intende di sostituire il 30% del hardware e del software entro la fine del 2020, il 50% nel 2021 e il restante 20% nel 2022.
La volontà di certi Stati di isolarsi dal mondo sviluppato non mi è mai stata tanto chiara e non è di essa che vorrei scrivere. Nell’ottica della notizia di cui sopra, mi interessano tanto le conseguenze della scelta cinese sul futuro della industria dei computer.
La Xiaomi e la Huawei sanno già produrre i computer di qualità accettabile e venderli a prezzi competitivi. Resta dunque creare un sistema operativo abbastanza comodo da poterlo fare usare da subito a una altissima quantità di lavoratori cinesi.
Tra parentesi: sono sicuro al 99% che il nuovo sistema operativo sarà creato sulla base di Linux. Addirittura, potrebbe essere una nuova versione del Deepin Linux elaborato dalla Huawei in seguito alle sanzioni statunitensi. Parentesi chiusa.
E ora pongo la grande domanda: se in Cina riescono a creare un sistema operativo comodo, poco costoso e testato su milioni di utenti obbedienti, il mercato occidentale come reagirà?
Insomma, oltre a studiare il cinese (c’è chi lo consiglia già da anni), vi conviene anche informarvi sulle funzionalità del Linux.
Carissimi lettori, non preoccupatevi: commenterò all’inizio della settimana prossima le dimissioni del Governo russo e la imminente riforma costituzionale menzionata ieri da Putin. Nel frattempo ribadisco uno dei concetti chiave: si sta cercando una formula alternativa per farlo rimanere al potere anche dopo la scadenza dell’attuale mandato.
Oggi, invece, vorrei segnalarvi un bel articolo sull’argomento che prima o poi avrei trattato io stesso. Il «Science», una delle riviste scientifiche più importanti al mondo (assieme al «Nature»), ha dedicato un testo al progetto russo «Dissernet». Quest’ultimo è una associazione di scienziati, giornalisti e semplici cittadini indifferenti che hanno unito le forze per smascherare i falsi scienziati tra i politici russi. Infatti, da quasi vent’anni nel mondo politico russo è diffusa la moda di possedere almeno un titolo di studio superiore al semplice diploma di laurea. Quei titoli vengono solitamente ottenuti in modo molto fantasiosi e quasi mai onesti. I membri del «Dissernet» analizzano le tesi, avvisano i loro «autori» dei risultati e, nel caso della mancata rinuncia volontaria al titolo, danno il via alla battaglia per la privazione del titolo.
Insomma, voi leggete l’articolo di «Science» e io, prima poi, vi racconto di qualche esempio di smascheramento curioso.
Stamattina il presidente russo Vladimir Putin ha tenuto il discorso annuale davanti alle Camere unite del Parlamento russo (la Duma e il Consiglio federale). Non mi sarebbe mai venuto in mente di scriverne perché ormai da oltre un decennio si tratta, nel migliore dei casi, di una manifestazione abbastanza noiosa e priva di contenuti realmente concreti. Al massimo viene mostrato qualche cartone animato sui fantomatici razzi russi capaci di colpire e distruggere la Florida.
Alla fine del discorso di quest’anno, però, si è registrata una comunicazione interessantissima da parte di Putin.
No, non ha preannunciato la propria pensione politica. Tanto ci ricordiamo bene che alla scadenza del suo mandato nel 2024 non potrebbe, secondo la Costituzione russa, essere eletto nuovamente.
Pure i miei lettori italiani, però, dovrebbero ricordare bene che nel 2008 Putin aveva già raggiunto, per la prima volta nella sua carriera presidenziale, il limite costituzionale di due mandati consecutivi. All’epoca aveva regolato la questione lasciando fare a Dmitry Medvedev un mandato «di pausa»: per poi tornare e farne altri due. Ma negli ultimi anni gli analisti sostengono che Putin non sarebbe più disposto di concedere la custodia temporanea della carica suprema ad altre persone, nemmeno al tanto fidato Medvedev. E quindi starebbe cercando altri modi di rimanere al potere anche dopo il 2024. Non si capisce molto perché lo voglia fare. Potrei esprimere alcune idee in merito, ma l’argomento del post odierno è un altro.
Torniamo al discorso davanti alle Camere. Esso si è concluso con una proposta (nel linguaggio politico putiniano è un sinonimo di ordine) della riforma costituzionale. Essa consisterebbe, secondo Putin, nel trasferimento al Parlamento di alcune funzioni attualmente spettanti al Presidente. Così, dovrebbe passare al Parlamento il compito di nominare il Primo ministro e di confermare tutti i membri del Governo da egli proposti. Allo stesso tempo, il Presidente dovrebbe conservare, secondo Putin, il potere di sospendere il Primo ministro e i membri del Governo dai loro incarichi nei casi «della mancata fiducia» e «dello svolgimento inadeguato delle funzioni».
Cosa possiamo dedurre da questa proposta? Considerata l’obbedienza del Parlamento russo al Presidente, possiamo dedurre che Putin abbia deciso di creare un incarico di importanza primaria da ricoprire in prima persona dopo il 2024. Attribuendo al Parlamento il ruolo prevalente rispetto a quello del Presidente della Federazione Russa, potrebbe magicamente diventare il Presidente del Consiglio federale (la Camera alta del Parlamento). Per questo incarico nemmeno nella Costituzione attuale è previsto alcun limite di mandati ricopribile dalla medesima persona.
Non so ancora se ho indovinato. Ma nel caso positivo, tra quattro anni, dirò che non è stato particolarmente difficile.
Come avete già probabilmente letto o sentito, dal mese di ottobre l’Australia è colpita dai gravi incendi forestali. E non è ancora stato trovato il modo di fermarli.
Negli ultimi giorni mi è capitato – forse anche a voi – di leggere di alcune iniziative per la raccolta dei soldi da destinare alla lotta contro gli incendi australiani e i loro effetti. Ma la storia più paradossale è quella legata alla donazione annunciata dal fondatore e amministratore delegato dell’Amazon Jeff Bezos.
In sostanza, Bezos ha comunicato della donazione da parte dell’Amazon di un milione di dollari australiani (circa 690.000 dollari statunitensi) per la lotta contro gli incendi. E si sono subito manifestate delle menti alternative persone scontente: qualcuno è scontento per la somma «bassa» e qualcuno per il fatto che i soldi donati siano quelli dell’azienda e non personali.
Sarebbe troppo banale sottolineare che la beneficenza è una azione volontaria sia nella azione stessa sia nella sua entità.
È molto più importante sottolineare che il mondo è pieno di gente che si sente autorizzata di dettare le regole di altruismo finanziario senza avere ne voglia ne capacità di dare un buon esempio. Come se le persone che sanno lavorare e guadagnare fossero perennemente in debito con chi non lo sa fare. Di conseguenza, ricordo a tutti una semplicissima regola: la beneficenza deve essere sempre anonima, non pubblicizzata. Lo sanno bene le persone e le aziende ricche costantemente assediate da mendicanti di vario livello (fondi, organizzazioni etc.), impariamolo anche noi servendoci del triste esempio di Bezos.
Al massimo, se qualcuno dovesse rompervi troppo con delle pretese finanziarie, limitatevi a rispondere con una frase semplicissima: «sostengo già il fondo XYZ».