Negli ultimi mesi ho accumulato abbastanza materiale per riaprire, temporaneamente, la mia ormai vecchia rubrica settimanale dedicata ai cortometraggi russi. Avevo iniziato con i cortometraggi muti (perché è abbastanza difficile trovare quelli doppiati o, almeno, quelli con i sottotitoli) ma, avendo esaurito velocemente gli esempi di qualità a me conosciuti, mi ero interrotto. Tutti quei film possono essere visti cliccando sul nome della rubrica «Cinema russo».
Ora, invece, ho di nuovo una breve lista dei corti da mostrare ai lettori italiani. Questa volta, però, si tratta quasi sempre dei film con i sottotitoli in inglese. Potrete dunque aggiornare le vostre conoscenze di ben due lingue.
A riaprire la rubrica sarà il cortometraggio «GQ» di Andrey Merzlikin uscito nel 2012. Penso che il contesto del film possa essere comprensibile a tutti: il protagonista si reca in culo al mon profonda provincia russa, fa il check-in in albergo…
Si tratta dell’unica esperienza da regista di Andrey Merzlikin. In realtà, infatti, di professione fa l’attore (con dei buoni risultati), ma i suoi film migliori non sono stati tradotti nelle lingue europee più diffuse. Lo stesso vale per l’attore Konstantin Yushkevich che interpreta il protagonista del cortometraggio appena visto. Di conseguenza, questa volta faccio a meno di consigliarvi un lungometraggio. Ma non so se avete già esaurito la lista dei titoli già pubblicati finora.
Il prossimo cortometraggio sarà pubblicato, come potete immaginare, la sera del venerdì prossimo.
L’archivio del 2019 год
La Reuters scrive che gli hacker sarebbero riusciti a ottenere l’accesso ai telefoni degli alti funzionari di venti Stati grazie alla vulnerabilità del WhatsApp. Lasciando da parte, almeno per questa volta, i dettagli tecnici dell’"evento«, trovo importante ricordare due principi fondamentali riguardanti l’uso del telefono.
Il primo principio è ben noto a tutti i cittadini degli Stati caratterizzati da una scarsa tradizione giuridica: il telefono è un mezzo di connessione ma non di comunicazione. Il significato del principio è semplicissimo: non è detto che i partecipanti a una ordinaria conversazione telefonica siano solo due. Nell’ex URSS, per esempio, tantissime persone formalmente non indagate sono finite arrestate, giudicate e condannate sulla base di quanto detto via telefono a una persona anche meritatamente fidata. Nel mondo contemporaneo, invece, l’applicazione del principio si estende a tutto il globo. Non voglio spingervi a essere vittime di una paranoia: il 99% dei miei lettori sono delle persone semplici, prive di ogni valore per le spie telefoniche. I politici e i funzionari statali, invece, devono sapere distinguere bene tra gli argomenti da trattare via telefono e quelli da trattare durante un incontro personale. Proprio per questo, per esempio, ad alcuni Capi di Stato è addirittura vietato l’uso degli smartphone.
Il secondo principio è strettamente legato al primo. Negli ultimi anni ho conosciuto diverse persone che si ponevano delle domande circa l’utilità della diplomazia tradizionale nel mondo contemporaneo. «A cosa servono gli ambasciatori nell’era dell’internet?», si chiedevano loro. Ebbene, una delle funzioni dei diplomatici presenti sul territorio estero è proprio quella di ridurre — tramite il proprio operato fisico — i rischi legati alla vulnerabilità delle tecnologie moderne.
In conclusione del post odierno, invito tutti ad aggiornare regolarmente le app del proprio telefono, non scaricare i file e le app sconosciuti, usare gli antivirus e, volendo, iniziare ogni conversazione telefonica con la frase «Spie, andate ad amarvi».
Quasi un anno fa, vagando per le vie di Morbegno, avevo notato un oggetto strano nella vetrina di un negozio. Era una lapide particolare messa in vendita da un commerciante specializzato:
Ma che cosa è quel foro rotondo? Non può essere una finestra utile per contemplare le stelle perché è posizionato in corrispondenza dei piedi del futuro residente. Non può essere lo scarico per l’acqua piovana…
Ma devo fermarmi a quella prima ipotesi che fu partorita dalla mia mente malata?
Le epoche non finiscono. Cambiano.
Alcuni lettori conoscevano bene una delle sedi principali della redazione di questo blog (e sito) personale. Palazzo giallo al civico 7, lato sinistro del cortile, salire al primo piano, in fondo accanto alla finestra, di spalle alla ex sala fumatore. All’"ufficio" chiamato il Tavolo delle Libertà.
Con il presente post la redazione comunica a tutti gli interessati che l’indirizzo di cui sopra non è più attuale.
Perché le epoche non finiscono. Cambiano.
Un po’ come succede anche per gli uffici.
L’indirizzo nuovo verrà comunicato privatamente a tutti gli interessati.
Nel frattempo, tutta la redazione del sito si unisce nell’assicurare i cari lettori della regolare continuazione delle pubblicazioni. E pubblica ben due foto. Continuare la lettura di questo post »
Pochi europei sanno (o si ricordano, qualora si trattasse delle persone una volta particolarmente informate) che negli anni ’20 e ’30 del XX secolo in URSS fu molto diffusa una particolarissima pratica di scegliere i nomi per i neonati. I giovani genitori, entusiasmati dalla costruzione di una nuova società sui resti del territorio dell’ex impero russo, iniziarono infatti ad assegnare ai propri figli dei nomi «rivoluzionari». Tali nomi poterono essere:
– delle abbreviazioni (per esempio, Mels – un nome maschile che sta per Marx, Engels, Lenin, Stalin);
– degli acronimi (per esempio, Idlen – un nome femminile che sta per «le idee di Lenin»);
– delle parole già esistenti, ma in qualche modo associabili con la rivoluzione (una cugina della mia nonna materna, per esempio, fu chiamata Kranyi Mai – traducibile in italiano come Maggio Rosso; dopo avere raggiunto la maggiore età ha finalmente cambiato il nome per uno tradizionale).
Nel periodo compreso approssimativamente tra il 1993 e il 1996 si era poi verificato un fenomeno simile, ma notevolmente meno diffuso, statisticamente quasi impercettibile: chiamare i figli con dei nomi come Democrazia, Costituzione etc.
Negli ultimi vent’anni, poi, mi sembrava di avere delle notizie sulle nuove tendenze del genere. Forse nemmeno dei casi singoli…
Ma ecco che è successo! La settimana scorsa una coppia di Naro-Fominsk (una cittadina a sudovest di Mosca) ha chiamato il proprio figlio Putislav. Sostengono che sia un antico nome slavo composto dalle parole put (via) e slava (gloria).
Uno che segue la via gloriosa?
Mah, è evidente che sottintendevano qualcosa di diverso… E mi fanno particolarmente arrabbiare i genitori che considerano i propri figli dei giocattoli: «noi ora ci divertiamo e chissenefrega come affronterà lui le conseguenze». Infatti, l’epoca del «glorioso», prima o poi, finirà. Anche la «gloria».
P.S.: però anche in Italia mi è capitato di conoscere delle persone con dei nomi stranissimi.
Nella vita esiste un semplicissimo principio che magicamente fa risparmiare un sacco di tempo alle persone che lo applicano.
Bisogna fare tutto sempre allo stesso modo. Io, per esempio, tengo sempre il telefono nella tasca destra dei jeans, l’accendino nella tasca sinistra, i rifiuti (per esempio gli scontrini) nella tasca posteriore destra, etc. Le sigarette sono nella tasca laterale a destra dello zaino. I vestiti nell’armadio sono già disposti per i giorni della settimana. Etc, etc.
Ogni volta che metto qualcosa non al suo posto prestabilito, scatta la crisi globale. Posso utilizzare un oggetto meno di una volta al mese, ma senza doverlo cercare ogni volta. Se finisce fuori posto, lo troverò solo per caso e in un futuro indefinito.
Potrebbe sembrare un principio banale, esprimibile con la sola parola ordine. E invece no. Per esempio, per molte persone il mio spazio residenziale è la rappresentazione perfetta del disordine totale. Ma loro non conoscono l’ordine preciso delle cose che tengo nella mia mente. Una specie di mappa virtuale composta da abitudini comportamentali.
Meno male che nessuno cerca di intervenire. Altrimenti sarei costretto a spendere ore e giorni a cercare le cose più banali.
Londra, una grossa stazione di interscambio (Canning Town), giovedì mattina (l’ora di punta). Alcuni eco-attivisti del gruppo Extinction Rebellion salgono sul tetto di un treno della metropolitana per bloccare la circolazione dei mezzi pubblici.
I londinesi tanto grati agli attivisti li applaudiscono e li salutano vivamente, aiutano al leader del gruppo manifestante a scendere dal tetto per stringergli la mano ed esprimergli tutto il sostegno possibile.
Per un periodo relativamente lungo della mia vita, ormai concluso (pare), molte persone mi hanno chiesto se io fossi un amante del metal in generale e dei Metallica in particolare. Il motivo della domanda è stato quasi sempre lo stesso: «Assomigli tantissimo a James Hetfield». Addirittura, il mio esame universitario di diritto privato era iniziato con una bella risata del professore: «Ma Lei sa che assomiglia a … ?»
Per una serie di motivi, alcuni dei quali potreste immaginare anche da voi, non sono mai stato felicissimo della presunta somiglianza. Ma non avevo nemmeno dei motivi seri per ribellarmi.
Passando alla tematica strettamente musicale, direi prima di tutto che l’unica canzone dei Metallica che mi è sempre piaciuta sembra poco metallara: è la «Nothing Else Matters».
Durante il periodo relativamente breve della mia passione verso la musica pesante preferivo il hard rock, quindi la musica dei Metallica nel suo complesso mi è rimasta poco nota. In qualità del secondo video metterei la canzone «I Disappear» (utilizzata nel film «Mission Impossible 2»):
Ah, domani il gruppo – secondo la sua storia ufficiale – compie 38 anni. Auguri!
Da diversi anni l’industria della moda viene accusata della induzione alla anoressia…
… ma, purtroppo, quasi nessuno si sta accorgendo del fatto che i produttori di abbigliamento vengono spinti, dalla pressione pubblica, verso l’estremo opposto. Eppure, l’obesità è un problema di importanza non inferiore.
Io, personalmente, nel mio mondo circostante vedo molti più obesi che anoressici.
Nella vita reale e sulle foto vorrei vedere le donne normali: non esageratamente magre, ma nemmeno grasse.
P.S.: no, caro T. B., a me non piacciono le «donnone», ahahahaha
Molto spesso, quando si va sulla Wikipedia per informarsi su un argomento, conviene vedere diverse versioni linguistiche del medesimo articolo. La qualità e la completezza dei contenuti (e dei dettagli) può infatti variare notevolmente da una lingua all’altra. Penso che il 100% dei miei lettori sia in grado di leggere in almeno una lingua straniera.
Ma io, adottando il suddetto metodo da anni, mi sono anche accorto di alcune differenze tecniche curiose tra le varie versioni linguistiche della Wikipedia. Così, per esempio, gli articoli russi dedicati alle persone indicano la loro età corrente o di decesso.
Gli articoli inglesi (e alcuni altri) fanno altrettanto.
Mentre in altre lingue (tra le quali anche l’italiano) tale opzione Continuare la lettura di questo post »