Ho appena letto che il noto quadro di Banksy «Devolved Parliament» è stato venduto a 9,9 milioni di sterline all’asta di Sotheby’s, il venditore e l’acquirente sarebbero sconosciuti.
Ma a me sembra evidente che siano, rispettivamente, Theresa May e Boris Johnson.
Altrettanto evidente è che relativamente a breve dovrebbe verificarsi un nuovo cambio del proprietario dell’opera.
Dopo il Brexit poi – se accadrà nel corso della nostra vita, lo vedremo – il quadro si autodistruggerà.
L’archivio del 2019 год
Non so se lo avete già letto: la CNN ha trovato su Facebook tre annunci pubblicitari della FBI mirati a reclutare gli agenti russi. I link di tutti gli annunci portano alla stessa pagina web che contiene un invito alla collaborazione (in inglese e in russo) e i contatti dell’ufficio di Washington della FBI.
I tre annunci su Facebook sono stati pubblicati l’11 settembre 2019 e sono tuttora attivi (si veda il cerchio verde), possono essere visti insieme nella libreria della pubblicità.
Personalmente per me una delle curiosità più grandi non è il fatto stesso di una pubblicità del genere. Lo spionaggio moderno si svolge in una notevole misura anche via l’internet, il Facebook compreso: utilizzandolo bene si possono scoprire delle cose interessantissime sulle organizzazioni, persone e sugli eventi vari. Mi incuriosiscono invece gli errori di russo commessi negli annunci di cui sopra. In sostanza, si tratta degli errori di tre tipi:
1) la sostituzione di alcune lettere con quelle graficamente simili, ma comunque diverse,
2) la mancanza di alcune lettere,
3) una maiuscola inutile nella parola ponte.
Come fanno gli esperti dello spionaggio a utilizzare un trucco così primitivo? Ha la stessa credibilità del «non ho fatto i compiti perché è morto il mio gatto preferito». Infatti, è abbastanza evidente che l’obiettivo degli «errori» sia stato quello di evitare la comparsa degli annunci nella ricerca testuale su Facebook. Minchium, ma esistono altri mille modi per ottenere i medesimi risultati!
Gentili agenti del FBI, ora vi insegno un trucco semplicissimo e noto a tutti gli studenti russi (che fino a qualche anno fa lo utilizzavano per ingannare i programmi di antiplagio). In un testo scritto in cirillico alcuni caratteri hanno la stessa forma di quelli latini (a e o p c). Facendo una semplice sostituzione, non fate comparire gli annunci tra i risultati di ricerca e, allo stesso tempo, evitate di apparire sgrammaticati.
Ah, dimenticavo: in aggiunta, i tre sulla foto dell’annuncio hanno un tipico sorriso falso/formale da americani.
Il 17 luglio l’Instagram aveva annunciato i test dell’oscuramento del numero totale dei like per ogni foto pubblicata. I test erano stati condotti su alcuni account in Australia, Brasile, Canada, Irlanda, Italia, Giappone e Nuova Zelanda. La settimana scorsa, invece, tale innovazione è diventata definitiva per gli utenti di tutto il mondo. È possibile continuare a mettere i like («mi piace»), ma la loro quantità non viene più indicata: si vede un nome e «altri» anonimi non calcolabili.
Lo stesso vale per le foto proprie:
L’Instagram aveva già a luglio dichiarato: «Vogliamo che i vostri amici si focalizzino sulle foto e sui video che condividete, non sulla quantità dei like ottenuti».
La spiegazione reale è però molto più banale. Il Facebook (proprietario dell’Instagram) guadagna da anni con la pubblicità target ed è totalmente disinteressato alle problematiche degli influencer (utenti popolari) capaci di guadagnare con i propri post pubblicitari. Anzi, non sapendo come «tassare» i guadagni dei propri utenti, il Facebook vorrebbe mantenere il monopolio della pubblicità. Di conseguenza, ha finalmente deciso di ostacolare l’individuazione facile delle persone popolari alle quali le aziende terze possano proporre contratti pubblicitari.
Il 27 settembre la sperimentazione della stessa misura (l’oscuramento della quantità delle reazioni: like e altri) è partita pure su Facebook. Ma per ora solo in Australia.
Insomma, d’ora in poi le persone intenzionate a guadagnare con l’Instagram e il Facebook saranno costrette, periodicamente, a pubblicare manualmente le statistiche dei propri account. Un po’ come i proprietari dei siti tradizionali che non hanno la possibilità di creare l’accesso libero ai dati statistici di Google Analytics.
La consultazione delle statistiche dei propri account è sicuramente un argomento già ben noto alle persone interessate all’argomento. Per tutti gli altri, prima o poi, scriverò una guida completa.
P.S.: cari lettori, non siate tirchi come Mark!
La qualità di un sito web può essere valutata in base a molte sue caratteristiche. L’importanza di alcune caratteristiche rispetto alle altre cambia in relazione alla tipologia del sito, ma forse ho finalmente trovato la formula sintetica dell’indicatore di qualità universale.
Se alle informazioni contenute sul sito si accede più facilmente attraverso una ricerca su Google che dalla navigazione sul sito stesso, siamo di fronte a un sito di emme.
E con questa mi candido al Nobel per le scienze internautiche.
Ringrazio il nuovo sito della Università degli Studi di Milano («la Statale») per avere fatto da cavia nel corso delle sperimentazioni.
Molti dei miei lettori si ricorderanno che durante l’infanzia le bollicine delle bibite gassate «escono» dal naso. Ma perché succede solo in quella fase della vita?
Perché non succede agli adulti?
Non posso pensare agli argomenti più seri finché non lo capisco.
La velocità con la quale i robot della BostonDynamics diventano sempre più «fisicamente» abili non smette di impressionarmi.
Ora sanno anche ballare:
Sì, ora qualcuno/a vi può dire «Lo sanno fare pure i robot!» Pensateci su.
Perché non ho mai pubblicato, nella mia rubrica musicale, qualcosa di Petr Tchaikovsky, uno dei compositori russi più noti? Non saprei. Ma oggi recupero.
La Sinfonia n. 6 in Si minore è l’ultima sinfonia scritta da Tchaikovsky. Finita ad aprile del 1893, due mesi prima della morte dell’autore, è stata da egli stesso chiamata Patetica perché contrappone gli argomenti della vita e della morte.
In questo caso specifico è suonata dalla orchestra del teatro Mariinsky (San Pietroburgo) diretta da Valery Gergiev.
Molti dei miei lettori conoscono il sito speedtest.net che permette di misurare la velocità del proprio canale dell’internet. I risultati forniti da questo sito non sono però particolarmente affidabili: esso sceglie da solo a quale server connettersi e può, dunque, decidere di evitare un server che ritiene sovracaricato, connettendosi a qualche server meno potente. Si conseguenza, più misurazioni eseguite una dopo l’altra possono dare dei risultati completamente diversi tra loro.
Per fortuna, esiste un servizio molto più affidabile (e sempre gratuito): nperf.com. Oltre alle misurazioni eseguite con una scelta più intelligente del server (quindi più di qualità), sa eseguire anche più tipologie di test.
Il servizio ha anche le app per l’iOS e per l’Android.
Utilizzando l’app, però, conviene scegliere l’opzione «speed test» per non aspettare troppo.
Navigate sereni e non fatevi fregare dal vostro provider dell’internet.
Qualche giorno fa ho scoperto una bella parola giapponese: tsundoku. Essa indica i libri che una persona compra ma poi non legge nemmeno una volta.
E quindi mi sono chiesto: nelle lingue occidentali esistono delle parole di questo tipo? Non è necessario che si riferiscano ai libri. Per esempio: come definire le app «belle e potenzialmente utili» che una persona scarica ma poi non utilizza? Oppure i nuovi social networks sui quali ci si registra senza poi collegarsi nemmeno una volta?
Insomma, si può ipotizzare e definire con un termine specifico tantissime situazioni.
P.S.: i libri digitali conservati sul mio computer (ma poi li leggo con il Kindle) sono organizzati in una serie di cartelle: alcune sono chiamate con i nomi degli autori, alcune altre con il nome dell’argomento o della tematica. La cartella con il nome «Nessuno li ha letti» contiene alcuni grandi classici dei quali tutti parlano senza, appunto, averli letti (per esempio, «Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni» di Adam Smith).
Ora so come rinominare quella cartella. Anche se ho letto i libri in essa contenuti.
In sostanza, nel 2002 Jacques Chirac era stato eletto per il secondo mandato grazie alla candidatura di Jean-Marie Le Pen. Nelle due occasioni successive non è più stato in grado (ma nemmeno chiamato) a salvare la Francia dai presidenti molto «particolari», ma anche grazie a questo oggi possiamo ribadire che nella vita è tutto relativo.
Lasciando da parte le accuse dei maneggi finanziari — definibili tipici alla grande politica, data la loro larga diffusione — potremmo anche sintetizzare che Chirac è stato un buon presidente.