Per l’edizione odierna della mia rubrica musicale ho volute scegliere qualche composizione di Sergej Prokofiev. Non è sempre necessario scegliere qualcosa di raro o poco noto: il mio obiettivo è sempre stato quello di condividere la musica bella.
Così, oggi vi propongo la famosissima Sinfonia n. 5 in Si bemolle maggiore, scritta tra l’estate e l’autunno del 1944.
Oggi non volevo distrarvi con troppe parole.
L’archivio del Dicembre 2019
Come posso motivare i miei lettori all’ottimismo questo giorno di metà dicembre?
Per esempio, posso pubblicare un grafico sulla copertura media annua della Russia con la neve.
Dimentico sempre di comunicare una cosa importantissima ai miei cari lettori.
Gli audiolibri non c’entrano alcunché con i libri. Gli audiolibri sono un prodotto finalizzato all’intrattenimento del tutto a sé stante.
È abbastanza facile capire la differenza tra un audiolibro e un libro leggibile con gli occhi. Prendete, per esempio, una qualsiasi novella di… che ne so… Luigi Pirandello e leggetela. Poi scaricate la stessa novella in formato audio e ascoltatela. (Il testo e l’audio si dovrebbero trovare gratis e legalmente su internet.) Vi renderete conto che si tratta di due prodotti completamente differenti.
La lettura con gli occhi è un processo unico nel suo genere; è destinato alla elaborazione dei dati in input. Non escludo l’ipotesi che nei prossimi decenni esso possa venire definitivamente spinto ai margini della attività umana quotidiana da parte del progresso, ma ciò non significa che sia di basso valore.
L’ascolto dei medesimi contenuti è un processo di consumazione della analisi altrui.
La lettura contribuisce allo sviluppo del cervello, mentre l’ascolto non tantissimo.
Con una certa soddisfazione informo tutti gli appassionati dell’automobilismo di un evento epocale (non so quanto sia corretto chiamarlo con il nome di giustizia storica): il produttore automobilistico russo AvtoVAZ — quindi il produttore delle Lada — ha riacquistato il diritto di utilizzare il marchio Niva.
Penso che più o meno tutti gli esperti conoscano la Lada Niva classica, quella prodotta dal 1977 al 2002. (I vecchietti con la memoria ancora più scarsa della mia possono rivedere il mio articolo dedicato al modello in questione.) Nel 2002, però, la AvtoVAZ aveva creato una joint venture con l’americana General Motors, partecipandovi con dei cespiti materiali e immateriali per un valore complessivo di 100 milioni di dollari. Tra quei beni immateriali, in particolare, era compreso anche il marchio Niva. La General Motors aveva dunque iniziato a produrre la Chevrolet Niva «sulla base del modello classico». Ma in realtà il modello sembrava un pseudo fuoristrada anonimo:
Mentre la AvtoVAZ era costretta a produrre il proprio modello glorioso con il semplice nome «4×4». Stilisticamente era decisamente più in linea con la tradizione:
Il martedì 10 dicembre, dopo una serie di trattative non particolarmente lunghe e pesanti, l’AvtoVAZ ha finalmente firmato l’accordo sull’acquisto della quota americana nella suddetta joint venture. Ora è dunque possibile parlare del ritorno della Niva in patria.
Le notizie positive, purtroppo, finiscono qui. L’industria automobilistica russa contemporanea ha fatto alcuni progressi tecnologici negli ultimi dieci anni, ma continua a produrre le vetture di qualità sensibilmente lontana dagli standard moderni. Lo si nota in tutti gli aspetti: gli standard ecologici adottati, la resistenza della carrozzeria, la sicurezza dei passeggeri, la qualità di assemblaggio e la scelta di ceri materiali. Bisogna essere proprio un grande fanatico per comprare con dei soldi propri una auto russa nuova in qualità del mezzo di trasporto unico o principale.
Se volete proprio possedere una Lada Niva (oppure una UAZ, un altro modello glorioso), considerate pure le vetture vecchie: almeno non tradiranno le vostre aspettative.
Potrebbe sembrare interessante e un po’ macabro il caso del critico inglese Alan Blyth. Il giornale The Guardian continua a pubblicare i nercologi scritti da egli (come, per esempio, quelli di Monserrat Caballé morta nel 2018, di Anna Reynolds morta nel 2014 o di Giuseppe di Stefano morto nel 2008), mentre lo stesso Blyth è morto nel 2007. Lo stesso The Guardian ha pubblicato il suo necrologio.
In realtà non ci sarebbe alcunché di anomalo: non solo i necrologi, ma anche i testi per le date o gli eventi importanti solitamente vengono scritti con un certo anticipo per poi essere solo leggermente aggiornati poco prima della pubblicazione. Certo, a volte capitano dei spiacevoli errori di pubblicazione (per esempio, il Bloomberg fece morire Steve Jobs con tre anni di anticipo), ma la cosa molto più interessante è un’altra.
Gli errori di pubblicazione anticipata non sono più caratteristici della attività dei soli giornali tradizionali. Anzi, peggio ancora: la continuazione della vita attiva su internet di una persona non significa più che quella persona sia ancora viva fisicamente. Molti siti, infatti, permettono di programmare le pubblicazioni per determinati giorni e orari (il facebook, per ora, concede questa possibilità solo alle «persone famose»). Io, per esempio, ho già molti testi scritti da pubblicare sul sito nel 2020 (e qualcuno addirittura nel 2021). Programmandoli tutti per le date ormai prestabilite e morendo stasera, potrei ingannare moltissimi miei lettori per quasi un anno e mezzo. (Ma in realtà ci sto già a volte riuscendo: a volte pianifico un testo e poi vado a farmi uno dei miei viaggi; quando ho i testi pronti per i prossimi più giorni consecutivi, li metto subito in coda e non ci penso più.)
La morale del post di oggi è: nel mondo tecnologico contemporaneo non ci si può più fidare di niente e vi conviene trarne le giuste conclusioni, ahahaha
Oggi, all’età di 61 anni, è morta Marie Fredriksson, la cantante dei Roxette.
Ma noi abbiamo la fortuna di poterla ricordare attraverso diverse canzoni simpatiche che ci ha lasciato.
(e aggiungo pure il link ai Roxette nella mia rubrica musicale)
Devo constatare che l’articolo del «Corriere della Sera» sulle festività russe, segnalatomi qualche giorno fa, è un po’ caotico e impreciso. Così, non ho mai incontrato (ma nemmeno sentito nominare) un russo intenzionato a festeggiare il Natale cattolico o l’Epifania del 19 gennaio. Probabilmente perché, nonostante tutte le particolarità che mi sono contraddistinguono, le mie amicizie/conoscenze e le mie letture sono limitate alle persone mentalmente regolari.
Allo stesso tempo, l’articolo solleva due argomenti inerenti alla quotidianità russa che, da una parte, non mi sarebbe mai venuto in mente di raccontare e, dall’altra parte, spesso risultano inconcepibili per i non russi.
Il primo argomento è, effettivamente, il recupero di tutte le festività che per la colpa del calendario nell’anno x coincidono con il fine settimana. Si tratta di una tradizione secondo me un po’ stupida, ma il fatto rimane: se, per esempio, la festa y capita di domenica, il lunedì seguente diventa non lavorativo.
Il secondo argomento, invece, andrebbe a essere precisato ancora meglio. Perché, oltre alle normali ferie di un mese, i lavoratori russi hanno per legge due periodi di vacanze pagate: i primi sette giorni di gennaio (con l’eventuale recupero delle festività) e i primi nove giorni di maggio (fino ai primi 2000, oltre alla Giornata della Vittoria del 9 maggio, per qualche motivo incomprensibile si festeggiava pure il 10 maggio). Ogni periodo delle vacanze, poi, può allungarsi grazie ai finesettimana capitati bene. Si tratta del riposo in aggiunta alle ferie (le quali possono essere prese come e quando ci si mette d’accordo con il proprio datore di lavoro).
Alcuni miei amici e conoscenti italiani, per esempio, non riescono proprio a concepire questo secondo aspetto appena descritto. Eppure provate a immaginare una ipotetica analogia italiana: per esempio, che le chiusure forzate delle aziende italiane ad agosto e poi tra il Natale e l’Epifania andassero ad aggiungersi al mese di ferie da prendere quando si vuole.
In sostanza, in Russia si lavora dieci mesi scarsi all’anno. Ne sono particolarmente scontenti i proprietari e i dirigenti delle aziende private. In sostanza, per due mesi all’anno sono costretti a pagare le persone che non producono e, spesso, rientrano fisicamente affaticate dopo le vacanze altamente alcoliche invernali.
Più o meno tutti conoscono questo grafico sulla formazione del Homo Erectus:
(le versioni stilistiche del grafico sono innumerevoli)
Prima o poi, però, qualcuno dovrà anche realizzare un grafico analogo sulla formazione del Homo Dives. Il grafico inizierà con uno scolaro che viaggia senza biglietto sui mezzi pubblici e tenta di riempire tutti i dispositivi di archiviazione con delle cose scaricate gratis dall’internet (musica, film, libri, software etc). Il punto finale del grafico sarà, appunto, un Homo Dives che paga per tutto ciò di che ha bisogno (compreso lo spazio di archiviazione su qualche cloud). Da qualche parte mezzo ci sarà pure quell’Homo responsabile che non blocca la pubblicità su tutti i siti senza distinzione (quindi evitando di rubare i soldi che non potrà mai ottenere).
Passate pure l’idea ai vostri amici artisti. Sono sicuro che qualcuno riuscirà a produrre una opera del genere.
È arrivato il momento di sollevare due domande importantissime nella rubrica domenicale:
1. Perché i video più psichedelici saltano fuori solo durante le ricerche notturne (come se fossero dei vampiri)?
2. Quali sostanze bisogna assumere per creare dei video come quello che segue?
Nel mondo ci sono (ci sono state e purtroppo ci saranno) numerose persone non vedenti. Ma solo quattro di loro potrebbero comparire nella mia rubrica del sabato: Jeff Healey, Stevie Wonder, Andrea Bocelli e Ray Charles (in realtà, quest’ultimo è già comparso una volta). Si tratta di una proporzione stranamente bassa rispetto ai musicisti sani… Ma in realtà le persone di solito preferiscono apparire vittime anziché fare qualcosa per stare meglio su questo Pianeta. Così, per esempio, mi vengono in mente solo tre studenti annoiati famosi: Bill Gates, Steve Jobs e Mark Zuckerberg.
Però, il testo sta prendendo una strada pericolosa. Torniamo alla musica. Il nostro protagonista di oggi è Stevie Wonder. È abbastanza difficile scegliere solamente due delle sue canzoni contenute in oltre trenta album. Ancora più difficile è tentare di scegliere qualcosa di «rappresentativo». Quindi scelgo a caso.
La prima canzone di oggi è «Superstition» (dall’album «Talking Book» del 1972):
E la seconda è «Sir Duke» (dall’album «Songs in the Key of Life» del 1977):
Prima o poi farò un post a parte sulle esibizioni dal vivo di Stevie Wonder: hanno alcune particolarità curiose.