L’archivio della rubrica «Russia»

La lettura del sabato

Come ho promesso ieri (ma come avreste potuto immaginare anche da voi), oggi vi segnalo un bel articolo sullo scambio dei detenuti tra lo Stato russo e l’Occidente.
In particolare, l’articolo descrive come sono state condotte le trattative, chi sono i personaggi ottenuti dallo Stato russo e chi sono i prigionieri politici consegnati dallo Stato russo all’Occidente. Spero che ora molte cose vi diventino più chiare: anche perché vedo che i media italiani spesso scrivono delle cose superficiali o non del tutto corrispondenti alla realtà.


Lo scambio

Come avrete letto o sentito, molto probabilmente anche più volte, c’è stato uno scambio di detenuti tra lo Stato russo da una parte e l’Occidente dall’altra. Lo Stato russo ha consegnato 16 persone, tra le quali detenuti politici russi (condannati a diversi anni di reclusione per la manifestazione della contrarietà alla guerra) e cittadini tedeschi e americani ritenuti e condannati come spie (utilizzo questa espressione per non farvi pensare che siano realmente delle spie). L’Occidente, invece, ha consegnato 8 persone (tutti cittadini russi), tra le quali un esponente dei servizi segreti russi condannato per l’assassinio di un oppositore ceceno a Berlino e sette spie e/o imbroglioni di livello medio-basso (il primo degli otto è quello che interessava a Putin più di tutti: tenete in mente questa cosa che ci sarà utile tra poco).
I testi più significatici che ho apprezzato io saranno segnalati nel post di domani. Oggi, invece, volevo precisare tre principi base.
1) Perché lo Stato russo ha scambiato alcuni russi per alcuni russi? Lo ha fatto per sbarazzarsi di oppositori e dissidenti politici che poteva anche uccidere senza alcun problema, ma ha avuto l’occasione di sfruttarli per la propria utilità del momento (riavere indietro le persone ideologicamente vicine). Inoltre, in tal modo ha privato – o ha tentato di privare – i politici di opposizione scambiati del loro peso politico interno. Nella inevitabile Russia post-putiniana avranno più peso politico – tra gli elettori e tra le élite – quelli che hanno lottato dentro e non quelli che hanno fatto delle dichiarazioni sui social stando al sicuro nell’UE o negli USA: sono due categorie di persone percepite in un modo molto diverso.
Certo, la legislazione russa in materia vieterebbe consegnare i cittadini russi agli altri Stati, ma Putin usa le leggi solo quando deve fare una determinata operazione in bagno.
2) Perché lo Stato russo ha scambiato alcuni non-russi per alcuni russi? Perché sa che, logicamente, gli Stati occidentali sono prima di tutto interessati al salvataggio dei propri cittadini. Gli ostaggi occidentali nelle carceri russe sono, di fatto, una valuta forte. Ogni occidentale che va in Russia ai tempi di Putin deve comprendere questo rischio: può essere arrestato con una qualsiasi accusa ridicola per diventare una «moneta» della valuta forte, una merce di scambio.
3) Perché Putin voleva tanto liberare l’agente dei servizi segreti Vadim Krasikov? No, non per riutilizzarlo in altre missioni. E non per permettere a quel personaggio di trasmettere agli altri le sue ipotetiche altissime capacità da spia. Evidentemente, voleva liberare Krasikov per dare un messaggio agli altri agenti: lavorate, fate quello che vi diciamo e se qualcosa dovesse andare male non parlate troppo, noi faremo di tutto per tirarvi fuori. Sparate i nostri nemici nei centri delle città europee, mettete il veleno sulle maniglie delle porte, piazzate le bombe, hackerate i database e fate tutto il resto con la massima tranquillità: se vi arrestano, noi organizziamo un altro scambio. Anche perché, effettivamente, nelle carceri russe rimangono centinaia di altri detenuti politici.
Ecco, i tre principi appena elencati non sono una semplice informazione per le persone che si interessano di ciò che succede nelle terre lontane. È un avvertimento.
È un avvertimento del fatto che ora gli agenti dei servizi segreti russi hanno avuto una conferma di quanto menzionato nel terzo principio: possono fare qualsiasi cosa senza preoccuparsi troppo dell’eventuale arresto.
Io sono molto contento per tutte le persone – russi e non – liberate dallo Stato russo nel corso dello scambio di ieri: il carcere russo è uno dei peggiori posti sul nostro pianeta, da non augurare nemmeno ai peggiori nemici. Ma la loro liberazione potrebbe costare la vita a diverse persone che vivono nell’UE o negli USA.


Le nuove prove indirette

Come molto probabilmente sapete (o facilmente immaginate) lo Stato russo solitamente tende a negare o ridimensionare verso il basso tutte le notizie sulle sue perdite militari in Ucraina diffuse dalla parte ucraina e/o occidentale. In una certa misura è un comportamento comprensibile (allo stesso tempo non so se è sempre giusto), ma questo non significa che non ci debba interessare la portata reale delle perdite.
Per esempio, ieri sera ho letto che il servizio russo della BBC ha trovato una nuova, facile e interessante prova indiretta che confermerebbe i comunicati ucraini su una parte delle perdite russe: nessuna delle navi militari russe che l’Ucraina ha dichiarato di aver danneggiato o distrutto nell’ultimo anno ha preso parte alla parata navale in onore della Giornata della Marina russa.
Dal 2022, l’esercito ucraino ha attaccato più di 20 navi e imbarcazioni di supporto russe, di cui almeno sette sarebbero state distrutte. Secondo i calcoli dei giornalisti, solo dall’agosto 2023 sono state attaccate 11 navi e imbarcazioni.
Nel 2024, la trasmissione ha mostrato parate a San Pietroburgo, Baltiysk, Vladivostok, Severomorsk, Kaspiysk e alla base russa di Tartus in Siria. Secondo la BBC, durante la trasmissione della parata navale principale tenutasi a San Pietroburgo, sono state mostrate solo due navi della Flotta del Mar Nero. Si trattava della corvetta «Mercury», che dal 2024 svolge missioni presso la base russa di Tartus, e della fregata «Admiral Grigorovich». La stessa Flotta del Mar Nero è stata menzionata due volte durante le relazioni dei comandanti della flotta.
Bene, ora siamo un po’ più informati e ci fidiamo un po’ di più (almeno io) delle dichiarazioni ucraine.


Le immagini ci saranno comunque

Chi non segue con regolarità la «politica» interna russa, molto probabilmente non sa che il Parlamento russo da molti anni lavora ogni giorno a beneficio di qualcuno di preciso e approva prontamente le leggi più creative. Ieri, ad esempio, ha approvato in lettura finale una legge che dà ai comandanti delle unità militari e ai comandanti delle guarnigioni russi il diritto di imporre l’arresto disciplinare senza processo ai militari impegnati in guerra. Tra le altre cose, l’elenco delle infrazioni disciplinari gravi per le quali i militari possono essere arrestati fino a 10 giorni e inviati in prigione militare include il divieto di possedere gli smartphone:

avere con sé prodotti elettronici (dispositivi, mezzi tecnici) per scopi quotidiani, che possono memorizzare o consentire di distribuire o fornire materiali audio, foto, video e dati di geolocalizzazione utilizzando la rete di informazione e telecomunicazione «Internet».

Qualcosa mi suggerisce che la legge è stata approvata per impedire ai militari russi di «screditarsi» (come chiama lo Stato russo ogni tentativo di raccontare qualcosa di non complimentare dell’esercito russo attuale). E per impedire ai civili russi di «screditare» i militari russi. Cioè, per ridurre al minimo il rischio che i militari stessi immortalino tutto ciò che fanno nei territori in cui combattono e poi, volontariamente o no, diffondano quanto ripreso. In quale zona del mondo ora uccidono, violentano, derubano e sparano a tutti?
Fortunatamente, il legislatore putiniano non ha il potere di influire sul fatto che noi conosciamo le imprese dell’esercito russo sul territorio ucraino non dalle immagini dei militari russi (o non solo): le sole riprese «prima e dopo» di Bucha erano state sufficienti.
Inoltre – ancora per fortuna – il lavoro del legislatore putiniano non ha alcun effetto sui militari-tiktoker ceceni, ma quelli non raggiungono i luoghi di guerra più interessanti, quindi non dovremmo fare affidamento sul contenuto dei loro telefoni.
In generale, mi divertono gli sforzi del Parlamento russo per costruire una parvenza di mondo confortevole.
Ma non riesco in alcun modo dispiacermi per i militari russi.


Cosa è indesiderato

C’è chi inventa le barzellette (sì, per forza nascono tutte nelle teste delle persone concrete), e c’è chi parla delle notizie lette. Presumo che molto spesso non è il primo che si diverte di più.
Per esempio: poco fa ho scoperto che già il 1° luglio il Ministero della Giustizia russo ha inserito il think tank Carnegie Endowment for International Peace nel registro delle «organizzazioni indesiderate» sul territorio russo.
A rarissime eccezioni, una barzelletta (anche una notizia-barzelletta) per essere divertente deve essere breve. Dunque, il presente post, per essere ottimale, avrebbe dovuto finire qui.
Solo per la cronaca aggiungo che la suddetta organizzazione non desiderata dallo attuale Stato russo era stata fondata nel 1910 ed è stata presente in Russia – con una rappresentanza a Mosca – dal 1994 al settembre del 2022. In primavera del 2023 l’organizzazione era già stata accusata dal Ministero della Giustizia russo dello «screditamento» dell’esercito russo e della diffusione dei «fake» sull’operato delle autorità russe.


Le scorte stanno per finire

The Economist scrive che al terzo anno di guerra con l’Ucraina la Russia ha iniziato a esaurire le proprie attrezzature e le armi di epoca sovietica, il che potrebbe influire sull’intensità delle azioni offensive delle truppe russe entro la fine dell’estate. Secondo il giornale, la maggior parte dei servizi di intelligence (non è specificato quali) stima le perdite di equipaggiamento della Russia nel corso dei due anni di guerra in circa tremila carri armati e cinquemila veicoli blindati.
Non ho dei mezzi per valutare quanto sia veritiera la stima riportata sopra, ma in generale mi sembra credibile: già da mesi vediamo le notizie sull’invio – da parte della Russia – al fronte dei carri armati e camion addirittura dell’epoca della Seconda guerra mondiale. Quello che non mi piace è la conclusione proposta: che potrebbe calare l’intensità della offensiva russa. I danni peggiori, mi sembra, vengono fatti con i missili e le bombe che la Russia riesce ancora a produrre e a ottenere da alcuni Stati-«amici».
Però siamo già a metà estate, non manca molto tempo per verificare la previsione de The Economist.


Putin si difende

Secondo le immagini satellitari di Google del 6 maggio 2024, a 3,7 chilometri dalla residenza di Vladimir Putin a Valdai (una delle sue numerose residenze fuori Mosca, dove passa la maggior parte del suo tempo) è stato installato un secondo sistema di difesa aerea Pantsir-S1. A giudicare dalle immagini, il sistema di difesa aerea è stato installato su una torre appositamente costruita sull’isola di Ryabinovy. In precedenza, una struttura del genere con un sistema di difesa aerea era stata avvistata nella regione di Mosca. Il Conflict Intelligence Team ha ipotizzato che la torre sarebbe più comoda per coprire lo spazio aereo dai droni ucraini.
I giornalisti di Radio Svoboda hanno studiato la storia delle immagini satellitari del servizio Planet.com e hanno concluso che il sistema di difesa aerea vicino alla residenza di Putin a Valdai è apparsa nel marzo 2024.
Non so quanta influenza il Cremlino collettivo abbia su Google: a volte capitano degli episodi strani di autocensura dei famosi siti americani per quanto riguarda la pubblicazione delle informazioni sgradevoli a Putin. Di conseguenza, andate a vedere anche voi, appena potete, quelle immagini satellitari. Chissà per quanto tempo rimangono disponibili…


La lettura del sabato

L’articolo segnalato per questo sabato è un nuovo capitolo di una importante ricerca sociologica-etnografica, dedicata all’atteggiamento dei russi nei confronti della guerra in Ucraina.
Nell’autunno del 2023 i membri del PS Lab si sono recati in tre regioni di provincia russe – regione di Sverdlovsk, Buriazia e regione di Krasnodar – e hanno trascorso un mese in ciascuna. I ricercatori sono riusciti a raccogliere 75 interviste approfondite e a compilare tre diari etnografici dettagliati. Il testo che vi segnalo oggi si riferisce ai risultati del lavoro svolto in Buriazia. Questa regione, in particolare, sta pagando uno dei prezzi più alti per la guerra in Ucraina: il numero di residenti della regione che prestano servizio nelle forze armate russe è sproporzionatamente alto, così come la loro quota di vittime dell’esercito russo.


Gli indiani salvi (forse)

India TodayNDTV scrivono, citando le loro fonti, che il primo ministro indiano Narendra Modi avrebbe raggiunto un accordo con Vladimir Putin sul licenziamento dal servizio militare russo degli indiani che sono stati ingannati per partecipare all’invasione dell’Ucraina. Secondo i due media, la Russia faciliterà anche il ritorno in patria delle persone reclutate. Putin e Modi hanno preso questa decisione durante la visita del primo ministro indiano a Mosca.
Come avrà fatto Modi a convincere Putin a lasciare finalmente in pace quei «utili sacchi di carne» stranieri? Io potrei avanzare almeno due ipotesi.
In primo luogo, Modi avrebbe potuto raccontare a Putin — ovviamente in un modo molto diplomatico — che attualmente su questo pianeta non ci sono molti grandi acquirenti diretti del petrolio russo. Certo, il mercato globale del petrolio non può, almeno per ora, fare a meno del petrolio russo, ma la modalità di vendita va comunque concordata con qualcuno disposto a comprare più o meno apertamente.
In secondo luogo, potrei sospettare che avevano in qualche misura ragione coloro che sostenevano che a metà giugno Putin avrebbe raggiunto un accordo con Kim Jong-un sulla fornitura allo Stato russo di un po’ di nuovo materiale umano coreano: da utilizzare anche sul fronte ucraino.
In ogni caso, posso già fare auguri a Modi e a tutti gli indiani ingannati.


Il ruolo perso da Lukashenko

Il martedì 2 luglio il premier ungherese Viktor Orban era andato a Kiev per presentare a Zelensky il proprio «piano di pace»: cessare il fuoco e cercare di trattare con Putin. Tradotto nel linguaggio degli esseri umani: smettere di opporre resistenza (perché non ha iniziato l’Ucraina a fare la guerra) e accettare le condizioni di Putin per la «pace» (la quale, come sospettiamo, non sarà assolutamente duratura). Zelensky aveva trovato le forze per rispondere a Orban in un modo diplomatico.
Il venerdì 5 luglio, invece, il premier ungherese Viktor Orban si è presentato a Mosca da Putin per «continuare la missione di pace». Dalle dichiarazioni pubbliche di Orban e Putin, però, non sono riuscito a capire quale «piano» il primo abbia presentato al secondo. Putin ha ripetuto il proprio vecchio mantra secondo il quale «è sempre disposto a trattare» (tradotto nel linguaggio umano: disposto a imporre le proprie condizioni alla Ucraina), mentre il suo portavoce Peskov ha dichiarato che Orban avrebbe iniziato i suoi viaggi di pace per l’iniziativa propria.
Ecco: la politica estera del premier Orban esercitata nel corso degli anni mi fa sospettare fortemente che il contenuto delle sue «proposte di pace» non sia nato nella sua testa. Perché, appunto, coincide troppo con i desideri di Putin. Allo stesso tempo, non escludo che l’iniziativa di viaggiare in giro per il mondo con le suddette proposte sia realmente sua. Infatti, potrebbe avere capito di avere una chance di aumentare il proprio peso politico in Europa, assumendosi il ruolo perso da Lukashenko. Il ruolo di una persona che ha ancora la voglia e la capacità di parlare con tutti, compresi gli esponenti peggiori della politica internazionale (cioè Putin). L’"ultimo dittatore d’Europa" Lukashenko ha esagerato un po’ con le repressioni interne e non viene più accettato in Europa nemmeno in qualità di un addetto allo spurgo diplomatico. Orban, invece, vede la possibilità di guadagnarci qualcosa (non importa se politicamente o economicamente) da tutte le parti: da suo amico Putin e in Europa che pensa di rappresentare.
C’è solo un piccolo dettaglio da precisare: i suoi sforzi difficilmente porteranno a dei risultati utili nell’ottica della pace, e prima o poi se ne accorgeranno tutti.