L’archivio della rubrica «Russia»

Altri sei anni

La settimana scorsa avevo per la mente un altro argomento per il video domenicale, dunque recupero oggi ciò che avrei potuto fare sette giorni fa.
Il designer russo Egor Zhgun (in Russia è abbastanza noto da anni per alcune sue opere grafiche animate e non) ha pubblicato, nell’occasione della recente «rielezione» di Putin all’ennesimo mandato presidenziale, la terza puntata del proprio cartone animato che riassume gli ultimi anni, appunto, della presidenza di Putin. Come le precedenti due, anche questa puntata contiene tantissimi dettagli: suppongo che la maggioranza di essi dovrebbe esservi facilmente comprensibile.

Se non capite qualcosa, chiedete pure.
Io, intanto, aggiungo i due video precedenti. Continuare la lettura di questo post »


La lettura del sabato

Il testo che segnalo per questo sabato è una piccola raccolta delle testimonianze delle persone che si sono salvate dal Krokus City Hall moscovita la sera dell’attentato terroristico.
Ovviamente, ogni testimonianza personale è parziale, spesso non obiettiva e almeno in parte basata sulla interpretazione delle cose viste dalla persona concreta. Ma tutte le testimonianze messe insieme aiutano comunque a capire e scoprire un po’ meglio cosa fosse successo realmente sul posto.
Quindi le persone interessate possono provare a leggere. Non sarà una lettura horror nel senso letterario.


La lettera dei 39 premi Nobel

L’altro ieri il «T-invariant» (un media degli scienziati russi che vivono all’estero) ha pubblicato una lettera aperta contro il regime di Putin, firmata da 39 premi Nobel (e da centinaia di altre persone). I firmatari – tra cui scienziati, economisti e scrittori – hanno chiesto ai leader mondiali di aumentare il sostegno alla Ucraina nella sua lotta all’invasione russa, di proteggere i prigionieri politici in Russia e di non riconoscere Putin come presidente russo legittimamente eletto. Ma leggete la lettera stessa: è inutile tentare di riassumerla.
Io, intanto, posso dire quanto segue.
I primi due dei punti che ho elencato sono dei motivi abbastanza validi per unire le brave persone sotto un’unica «bandiera» (in pratica, tali appelli non risolvono e non possono risolvere nulla). A causa di una sola lettera firmata da celebrità, i leader mondiali, ovviamente, non si sveglieranno e non diranno «è vero, perché non ci abbiamo pensato prima?!», mentre i firmatari sentiranno che almeno non sono rimasti muti di fronte a quello che succede, ma hanno tentato di indirizzare l’opinione pubblica in una giusta direzione.
Purtroppo, il terzo punto della lettera è molto controverso, anche se pure altre brave persone (realmente brave) ne parlano da settimane. Purtroppo, nella realtà odierna Putin è ancora il principale funzionario della Russia. Di conseguenza, se qualcuno dei leader mondiali un giorno volesse o dovesse discutere del rilascio degli ostaggi occidentali, dello scambio di prigionieri di guerra o di prigionieri politici russi, o, a un certo punto, anche della fine della guerra in Ucraina, dovrà farlo proprio con Putin dall’altra parte del tavolo (finché egli sarà vivo e in grado di parlare). E come si può discutere di tutto questo con un presidente che voi stessi non riconoscete?
Insomma, i 39 premi Nobel si sono rivelati dei grandi idealisti. Anche se sono delle brave persone.


L’unico convinto

La Bloomberg scrive, citando «quattro fonti legate al Cremlino», che le persone della cerchia ristretta di Putin ritengono che non vi siano prove del coinvolgimento dell’Ucraina nell’attacco terroristico alla sala concerti Krokus City Hall del 22 marzo. Allo stesso tempo, si scrive che Putin sa di quella convinzione, ma «intende ancora usare la tragedia per cercare di convincere i russi a entrare in guerra con l’Ucraina».
Ecco, si vede subito che l’articolo della Bloomberg è stato scritto dalla gente troppo abituata alla vita tranquilla, razionale e prevedibile in Occidente. Perché il non essere convinto della ragionevolezza delle proprie parole pronunciate pubblicamente non è un motivo sufficiente per non seguirle: almeno per Putin. Allo stesso tempo, sappiamo che Putin era convinto anche di altre cose inesistenti nella vita reale: per esempio, della possibilità di sconfiggere velocemente, in pochi giorni, l’Ucraina «che altrimenti viene inglobata nella NATO con l’obbiettivo di aggredire la Russia». Molto probabilmente nemmeno questa sua convinzione era condivisa dalla sua cerchia, ma il fatto non gli ha impedito di iniziare la guerra.
E, soprattutto, rimane il principio: l’attacco terroristico sarà sfruttato per giustificare tanti altri comportamenti pericolosi da parte dello Stato russo.
P.S.: molto probabilmente la Bloomberg vuole anche farci pensare che stia crescendo il malcontento della cerchia stretta di Putin. ma in questo caso, purtroppo, si tratta solo di una voce che circola da un po’ di anni e non si traduce (purtroppo) in alcunché di concreto.


Come leggere dell’attentato

In tutti i commenti dell’atto terroristico di Mosca accaduto il venerdì 22 marzo vedo almeno due punti deboli, dei quali dovrei avvisare gli interessati all’argomento.
In primo luogo, è abbastanza strano leggere che l’attentato sia stato organizzato ed eseguito professionalmente. I veri professionisti – non del terrorismo, ma delle operazioni di carattere più o meno militare – difficilmente avrebbero usato per la fuga la stessa auto utilizzata per l’arrivo sul posto e, molto probabilmente, avrebbero evitato di tentare una fuga di diverse centinaia di chilometri lungo una delle strade principali subito dopo l’attentato. In più, non è detto che ci voglia chissà quale professionalità (al massimo ci vuole un po’ di determinazione) per sparare i civili di varie età impauriti, disorientati e bloccati in uno spazio fisicamente limitato.
In secondo luogo, tantissime persone sopravalutano le capacità delle forze dell’ordine e dei servizi segreti russi. Le forze dell’ordine russe, per esempio, sono brave a eseguire gli arresti degli oppositori politici in piazza o accusare dell’"estremismo" la gente che scrive qualcosa di sgradito al regime politico sui social. I servizi segreti, invece, operano con il veleno contro le singole persone sgradite al regime, facendosi beccare quasi tutte le volte. Da circa vent’anni non vediamo niente di meglio da queste due categorie di «professionisti». Non sono più abituati e/o capaci di lottare contro la criminalità «ordinaria», a maggior ragione non sanno prevenire e anticipare gli attentati terroristici. E, per le stesse ragioni, non sono capaci di organizzarli. Nell’occasione di ogni attentato, in sostanza, il loro comportamento passivo può essere spiegato in uno dei tre modi: 1) hanno paura dei terroristi perché questi ultimi, a differenza dei «hipster-oppositori», sparano e picchiano; 2) hanno fatto passare i terroristi verso la loro destinazione per un po’ di soldi; 3) banalmente, non sanno cosa e come fare in una situazione estrema del genere. Tutte le opzioni elencate, purtroppo, non sono le mie fantasie: si sono già verificate più volte nella storia russa degli ultimi trent’anni.
Ecco, le notizie sugli attentati in Russia vanno lette tenendo in mente anche il contesto appena descritto.


Lutto per cosa o per chi

Molto probabilmente avevate letto o sentito anche voi che ieri, il 24 marzo, in Russia c’era una giornata di lutto dichiarata da Putin: formalmente, in relazione all’atto terroristico al Krokus City Hall del venerdì 22 marzo. Erano pure state diffuse delle immagini in cui Putin accende una candela nella chiesa della propria residenza…

Non so voi, ma io non capisco per cosa o per chi Putin sia in lutto. Di certo non per le 132 persone morte nell’atto terroristico: è sempre stato assolutamente indifferente alle vite umane (le vite dei russi e dei cittadini di altri Stati). Da oltre due anni sta conducendo una guerra criminale e completamente inutile con l’Ucraina. In questa guerra la quantità degli uccisi da entrambe le parti si misura ormai in centinaia di migliaia. Ogni giorno le truppe di Putin uccidono decine e centinaia di ucraini: sia i militari e gli arruolati (sul fronte), sia i civili (uccisi dai missili, dalle bombe e dai droni di Putin nelle loro case). Ogni giorno l’esercito ucraino elimina fino a mille russi che Putin ha – personalmente – inviato in Ucraina per uccidere ed essere uccisi. Non ha mai dichiarato il lutto per nessuno di loro.
E allora per cosa è in lutto? Per il fatto di averci comunicato praticamente da solo che i suoi servizi di sicurezza sono incapaci di prevenire un attacco terroristico di enorme portata, quando terroristi ben armati sono entrati con calma in una enorme sala da concerto e hanno iniziato a sparare metodicamente alle persone? Per l’incapacità (dichiarata sempre dal suo sistema di potere) dei suoi servizi di sicurezza di reagire in tempo a un simile attacco terroristico (come sappiamo, per quasi un’ora e mezzo le forze dell’ordine, i vigili del fuoco e le ambulanze sono rimasti a guardare un edificio in cui non c’erano terroristi, ma dove c’era la gente che moriva per la perdita di sangue e il monossido di carbonio?
Non penso che Putin sia particolarmente interessato a tutto questo. Putin ha bisogno delle forze di sicurezza soprattutto per proteggere lui stesso e per uccidere i suoi avversari o «nemici».
Probabilmente Putin ha dichiarato il lutto per la propria incapacità di ricomporsi rapidamente in un momento difficile e di rivolgersi ai cittadini del Paese con le giuste parole? Ma noi sappiamo come si comporta solitamente nei momenti di difficoltà improvvisa. Prima di tutto, si nasconde. O si occupa di qualcosa di diverso, facendo finta che non sia successo nulla. Poi, quando finalmente esce dal suo bunker, inizia a sparare stronzate: per esempio, che a criticarlo sono delle «puttane ingaggiate per dieci dollari» (intendeva le mogli dei marinai morti sul sottomarino Kursk), che l’elezione dei governatori delle regioni deve essere annullata immediatamente per affrontare meglio la minaccia terroristica, che ha trovato un’impronta ucraina (di taglia quarantotto?) dei terroristi dell’ISIS etc.
Boh, non so per quale di quei motivi abbia realmente dichiarato il lutto…


In situazioni così tragiche come quella dell’attentato terroristico al Krokus City Hall, non ho proprio voglia di fingermi una agenzia di stampa o un chiaroveggente che sa da subito il nome colpevole. Quindi per ora non riuscirei a scrivere nulla di significativo, se non alcune parole di cordoglio per le vittime e la descrizione di una certa mia depressione.

Riesco ancora a leggere dei dettagli dell’accaduto. Più leggo, più vedo che in termini di stile e qualità dell’esecuzione l’attacco terroristico sembra un’azione organizzata da strutture statali (russe, come è già accaduto in qualche occasione precedente), mentre in base alla reazione dello Stato stesso all’accaduto sembra proprio l’opposto. Quindi continuo a leggere, preparandomi a trarre le prime conclusioni sensate.
E so già con certezza che in ogni caso il regime di Putin cercherà di trarre il massimo vantaggio da quanto è accaduto: dare la colpa di tutto all’Ucraina e agli altri nemici occidentali (ha già iniziato a farlo) e cercare di ottenere il sostegno morale della popolazione per eventuali repressioni interne e azioni aggressive esterne (hanno l’opportunità di attuare tutto questo, ma è in qualche modo più piacevole e comodo farlo con il sostegno della popolazione).
Ma un giorno sapremo tutta la verità: questa l’unica cosa della quale sono sicuro fin dall’inizio.


L’entità delle falsificazioni

I risultati delle ultime «elezioni» presidenziali russe presentati ufficialmente dalla Commissione elettorale centrale (con l’87,28% dei «voti» per Putin) hanno portato il concetto di falsificazione a un nuovo livello. Esse – le falsificazioni – sono diventate così grandi perché si sono chiaramente trasformate dalla classica aggiunta fisica nelle urne delle schede elettorali compilate all’attribuzione di un gran numero di voti «virtuali» al candidato-vincitore. Perché è fisicamente impossibile gettare tanta carta nelle urne di tutto il Paese.
Come ho letto, è molto più difficile analizzare tali nuove falsificazioni: non ci sono quasi più i dati realistici (dai singoli seggi) sui voti effettivamente espressi, i quali potrebbero essere utilizzati come base per calcolare il livello di falsificazione.
Allo stesso tempo, questa analisi diventa meno «utile»: perché il fatto stesso della falsificazione dei risultati elettorali è ancora più evidente delle occasioni precedenti, senza alcuna analisi.
Ma per comprendere il processo di evoluzione della procedura chiamata «elezioni» in Russia, è comunque utile leggere dei tentativi di analisi di qualità. Ma non si tratta più di una lettura di politologica, ma di una lettura puramente storica. Dunque, vi consiglio un articolo dettagliato in cui sono raccolti tutti i tentativi di analisi matematica delle falsificazioni alle ultime «elezioni» di Putin (non solo sul metodo del noto Shpilkin, ma anche su altri approcci al problema). Anche un non-matematico come me può leggere facilmente questo articolo. E sicuramente ci riuscirà.


Le cure al vero candidato

Intanto, ieri il tribunale della città (russa) di Labytnangi ha chiuso il procedimento sulla causa amministrativa contro la colonia e il Servizio penitenziario federale per l’erogazione impropria di cure mediche ad Alexey Navalny. La causa era stata presentata dalla madre di Alexey, Lyudmila Navalny, in seguito alla morte di Navalny avvenuta – come è stato ufficialmente comunicato dallo Stato russo – «per un improvviso malore». Il tribunale ha ritenuto che solo lo stesso Navalny potesse costituirsi parte civile nel caso. Logico, vero?
La vedova di Navalny, Yulia Navalnaya, ha dichiarato (direi, logicamente) che il caso è stato chiuso per un unico motivo: «al processo dovevano fornire documenti e video di quanto accaduto il 16 febbraio».
Mentre io aggiungo che si tratta anche di una banale scelta «razionale», almeno dal punto di vista chi l’ha presa: abbiamo la possibilità di fatto di non sprecare le forze per giustificarci, e allora non le sprechiamo.
Ora siete un po’ più informati sul funzionamento della «giustizia» russa contemporanea.


La trasparenza delle urne

Nei giorni delle «elezioni» di Putin per il nuovo mandato presidenziale, anche in Italia alcune persone si sono sorprese per i video dei seggi elettorali, dove i personaggi in uniforme della polizia russa (o in mimetica e passamontagna) entrano nelle cabine di voto e controllano se l’elettore utilizzi correttamente la propria scheda elettorale. Se l’elettore non la usa come vuole lo Stato, i personaggi in uniforme lo estraggono con la forza dalla cabina e procedono con delle misure che intendono adatte alla situazione… È così che la gente è rimasta sorpresa nell’apprendere la nuova interpretazione – da parte dello Stato russo – del concetto di «voto segreto».
Come cambia il livello delle cose per le quali si sorprende la gente! Per esempio, mi ricordo bene che già da alcuni anni diversi miei amici e conoscenti europei, viziati dalla democrazia, mi chiedono: perché in Russia le urne (quelle elettorali) sono trasparenti? Questo, dicono, può violare la segretezza del voto: qualcuno può vedere come è stato espresso il voto di una persona che ha appena buttato la propria scheda elettorale in quella urna! E io, ogni volta, devo spiegare questa «particolarità nazionale» russa in uso a partire dal 2014 e specificare che «ma almeno si vede che non c’è un pacchetto di schede già compilate che per qualche motivo giace lì dalla sera prima».

E ieri sera ho letto che la sorpresa degli europei ha finalmente ricevuto una giustificazione concreta e pratica: il 17 marzo nella città di Bratsk gli agenti di polizia hanno visto uno slogan contro la guerra su una scheda elettorale attraverso la parte di una urna trasparente e hanno arrestato il relativo votante sulla base dell’articolo del codice penale sui «fake». Non so ancora se questo sia un caso isolato, ma ne basterebbe anche uno solo.