L’archivio della rubrica «Russia»

Contare un po’ di soldi altrui

La settimana scorsa il Roskosmos (l’agenzia spaziale russa) ha comunicato di voler alzare gli stipendi dei cosmonauti del 36%. Di conseguenza, lo stipendio base di un cosmonauta che è stato almeno una volta nello spazio arriverà a quasi 95 mila rubli (circa 1060 euro secondo il tasso di cambio attuale), mentre lo stipendio di un cosmonauta-istruttore sarà superiore a 100 mila rubli (circa 1116 euro).
Devo constatare che la suddetta notizia mi ha abbastanza sorpreso: essa significa che il rappresentante di una delle professioni più pericolose, impegnative e spesso ammirate al mondo prenderà, dopo l’aumento, quanto un manager di medio livello moscovita o, più o meno, quanto una cassiera italiana (ovviamente, non voglio offendere alcun lavoratore onesto). Allo stesso tempo, si sa che il capo del Roskosmos, senza avere mai raggiunto dei particolari risultati, — voi ne avete mai sentito parlare? — prende circa 40 mila euro al mese: più del doppio del capo della NASA.
Insomma, sono andato a cercare quanto guadagnano gli astronauti statunitensi ed europei. Già sulla prima pagina di Google è uscito un bel articolo riassuntivo. In sostanza, gli astronauti americani prendono da 65.140 a 142.000 dollari all’anno in base alla loro qualifica.
Gli astronauti canadesi prendono da 89.100 a 189.600 dollari canadesi all’anno.
Gli astronauti europei prendono da 5554 a 7964 euro al mese.
Gli stipendi degli astronauti asiatici non sono dei dati pubblici.
Infine, l’articolo citato non precisa abbastanza bene che lo stipendio dei cosmonauti russi riportato si paga solo durante le missioni: in sostanza, nei mesi di permanenza sulla Stazione Spaziale Internazionale lo stipendio base si moltiplica per 7.
Ecco, se voi, cari lettori, state valutando l’idea di scappare da questo pianeta sfortunato, ora avete qualche elemento in più per poter scegliere al meglio il punto di partenza.
P.S.: una buona conoscenza dell’inglese serve comunque a tutti.


Il regista tedesco Vincent Urban ci ha impiegato due anni per realizzare un cortometraggio sulla Russia. Solo per effettuare le riprese necessarie per un film che dura meno di sette minuti, Urban ha visitato la Russia per quattro volte: in autunno, inverno e primavera. Le città e le località visitate (e riprese) sono state Mosca, San Pietroburgo, Murmansk, Salechard, la penisola della Kamčatka e il lago Bajkal.
Ecco, io oggi vi faccio vedere il risultato: il cortometraggio si chiama semplicemente «In Russia», è realizzato in lingua inglese e, in una sua parte consistente, è dedicato agli stereotipi sulla Russia.

Vincent Urban ha già promesso di girare una seconda parte. Vedremo…


“Piove” il cemento armato

Non tutti si immaginano quanto diventino pesanti i cavi elettrici quando su di esse si accumulano il ghiaccio e la neve. Eppure, quel peso è in grado di muovere degli oggetti enormi.
Oggi ne vediamo una curiosa (per fortuna solo curiosa) dimostrazione, avvenuta la mattina del 19 novembre a Vladivostok:


Due notizie

A volte nei posti distanti del nostro strano mondo capitano degli eventi che sembrano fatti per completarsi a vicenda.
La notizia numero uno: il 12 novembre il ministro della salute belga Frank Vandenbroucke ha scritto una lettera a Père NoëlSinterklaas, autorizzandoli (nonostante rientrino nel gruppo di rischio a causa dell’età avanzata) a evadere l’isolamento anti-covid per portare i regali ai bambini.

La notizia numero due: la sera del 18 novembre sulla Piazza Rossa, a Mosca, la polizia ha fermato un Babbo Gelo (Ded Moroz, il personaggio che porta i regali per il Capodanno invece che per il Natale) che manifestava contro l’annullamento dei tradizionali festeggiamenti del Capodanno per i bambini.

Dopo alcune ore il Ded Moroz è stato rilasciato. Ma la sanzione amministrativa gli è comunque stata inflitta.


Il fotografo di Brezhnev

Un fatto di cronaca (o di storia?) interessante: il lunedì 28 settembre a Mosca, all’età di 81 anni, è morto Vladimir Musaelyan, il fotografo personale di Leonid Brezhnev. Svolse quel «ruolo» dal 1969 al 1982 (fino alla morte di Brezhnev).

A partire dal 1960 Musaelyan fu un fotografo della agenzia di stampa sovietica TASS e conobbe Brezhnev durante un viaggio di lavoro in Kazakistan. Non so di certo come sia stato notato, ma nei decenni successivi fu sempre molto apprezzato dal Segretario generale.
Tutte le foto più famose di Brezhnev che conosciamo oggi furono scattate da Vladimir Musaelyan. Per qualche strano motivo il suo sito personale non funziona, ma alcune delle foto storiche scattate è disponibile anche nell’archivio della TASS (prestando un po’ di attenzione, noterete che sono divise in 8 pagine).
Qui riporto solo alcuni esempi delle foto di Brezhnev:



Dopo la morte di Brezhnev, Musaelyan aveva continuato a lavorare come fotografo «istituzionale» ritraendo i leader sovietici/russi e le sedute parlamentari. Aggiungo quindi alcuni altri esempi delle sue foto: Continuare la lettura di questo post »


Il cinema russo sul monitor

Non ne ho trovato una conferma ufficiale, ma per dei motivi abbastanza ovvi posso immaginarlo anche da solo: questo settembre a Milano non si svolgerà l’annuale «Missione culturale russa». Di conseguenza, non ci sarà nemmeno la tradizionale proiezione dei film russi di qualità usciti negli ultimi anni. Ma questo non significa che non posso consigliarvi, anche quest’anno, qualcosa di bello da vedere (in generale, è da un po’ che non lo faccio).
In primo luogo, ricorderei a tutti i due film di Kantemir Balagov: il bellissimo «Tesnota» del 2017 e il bel «La ragazza d’autunno» del 2019. So che sono stati proiettati nei cinema italiani, ma non vorrei che ai tempi qualcuno li abbia persi. Soprattutto il primo.
In secondo luogo, potrei consigliarvi il buon thriller del 2008 «The Ghost»: so di certo che è disponibile con i sottotitoli in inglese (cliccare sulla «rotella» in basso a destra del player di YouTube e scegliere l’opzione dei sottotitoli), ma potete anche provare a cercarlo doppiato.

In terzo luogo, aggiungerei la stranissima commedia «The Monk and the Demon» del 2016 (sempre con i sottotitoli in inglese). Questo film sembra essere fatto di due parti di qualità non uguale (in parte a causa di un budget molto ridotto), ma complessivamente è un film interessante.

Ecco, per questa volta è così. Spero che la situazione epidemiologica migliori notevolmente per l’autunno prossimo, permettendo dunque di doppiare e mostrare sullo grande schermo alcuni interessanti film più recenti.


Si poteva immaginarlo

Come avevo probabilmente già scritto, non mi piace interrompere a metà il trattamento degli argomenti importanti. Così, per esempio, non posso non aggiungere un aggiornamento di rilevanza fondamentale a quanto avevo scritto la settimana scorsa sull’avvelenamento del politico russo Aleksej Navalny.
In una dichiarazione per la stampa il Governo tedesco (Navalny si trova in una clinica tedesca) ha dichiarato ieri che nell’organismo di Navalny sono state rilevate le tracce di un agente nervino simile al tristemente noto «Novichok».
Aggiungo anche il link al comunicato ufficiale.
Da questa notizia possiamo trarre solo una, ma importante conclusione: l’avvelenamento di Navalny è stata una opera dello Stato. Perché gli agenti nervini non si vendono nei negozi specializzati o mercati cittadini.
Ma non penso che la semplice conclusione appena riportata costituisca una grande notizia per la maggioranza dei miei lettori.


L’avvelenamento di Navalny

Ho sempre dubitato della opportunità di scrivere sulle questioni puramente interne russe, ma, relativamente spesso, i mass media e i social network occidentali mi suggeriscono che ci sarebbe un certo interesse verso alcune questioni…
Questa volta il punto di partenza è noto a molti: la mattina del 20 agosto l’oppositore russo Aleksej Navalny, mentre era sul volo di ritorno da Tomsk verso Mosca, si è sentito molto male. L’aereo ha dunque fatto un atterraggio a Omsk per permettere il ricovero di Navalny in reanimazione di un ospedale locale.
Ecco, a questo punto andrebbero precisati alcuni aspetti importanti.
Aleksej Navalny poteva essere stato avvelenato intenzionalmente? Sì, poteva.
Su mandato di chi poteva essere stato avvelenato Aleksej Navalny? Su mandato di qualche noto politico o grosso imprenditore vicino a quel noto politico.
Perché Aleksej Navalny è stato avvelenato proprio ora? Per due motivi strettamente connessi tra loro. Il primo motivo: il 13 settembre in molte zone della Russia (regioni, province e città) si vota alle elezioni amministrative (il viaggio di Navalny in Siberia aveva per l’obiettivo la preparazione del suo network politico proprio a quelle elezioni). Il secondo motivo: un noto politico russo e la sua squadra hanno molta paura dello «scenario bielorusso», quindi delle forti manifestazioni popolari in seguito alle nuove truffe elettorali (è noto che Navalny sa percepire e sfruttare molti sentimenti popolari, quindi anche l’ammirazione verso il coraggio di un popolo geograficamente vicino e culturalmente abbastanza simile).
I timori del noto politico e della sua squadra sono giustificati? Sì, ma solo fino a un certo punto. Infatti, non si sono ancora resi conto del fatto che le proteste bielorusse non hanno per l’obiettivo la difesa di un concreto candidato di opposizione. Quelle proteste nascono dalla insoddisfazione accumulata nei decenni per la permanenza e l’operato della stessa persona al potere. Di conseguenza, quelle proteste non hanno un leader e non ne hanno nemmeno bisogno. L’umore politico della popolazione attiva russa è molto simile, quindi l’eliminazione di Aleksej Navalny peggiora e non migliora il clima di «pace e tranquillità».
Il noto politico e la sua squadra avevano l’intenzione di uccidere Aleksej Navalny? Non penso. Ci sono dei modi molto più efficaci di uccidere una persona indesiderata: vi rimando, per esempio, alla uccisione di Boris Nemtsov (nel caso della quale, ricordo, le «indagini» si sono fermate alla condanna degli esecutori scelti apparentemente quasi a caso). Mentre Aleksej Navalny e le persone vicine a lui andavano spaventate fortemente, molo fortemente. L’eventuale morte di Navalny avrebbe costituito solo un effetto collaterale verso il quale la classe dirigente attuale avrebbe provato una totale indifferenza: la vita delle persone non appartenenti alla cerchia non vale.
Perché per molte ore è stato ostacolato l’ingresso della moglie di Aleksej Navalny nell’ospedale di Omsk? Non è solo una questione di un ordine arrivato da Mosca o di una grave insensibilità dei medici dell’ospedale. Purtroppo, è anche una applicazione letterale di una legge federale russa del 2011. In base a quella legge, in sostanza, ogni paziente è la «proprietà» dell’ospedale. Per esempio, la moglie (o il marito) non è considerata una parente, ma solo un membro di famiglia: «per default» non può accedere. Mentre per una qualsiasi azione del personale medico e amministrativo dell’ospedale è necessario il consenso diretto ed esplicito del paziente; se tale consenso non può essere espresso, decide il personale di cui sopra. A meno che non ci sia una delega scritta firmata precedentemente dal paziente. Tale legge, però, merita un commento serio a parte.
Perché per molte ore i medici e i dirigenti dell’ospedale di Omsk si sono opposti al trasferimento di Navalny nella clinica tedesca attrezzata decisamente meglio? Per ora è possibile rispondere solo con una ipotesi: perché sono stati obbligati a farlo. Infatti, nella medicina contemporanea non esiste più il concetto del «paziente non trasportabile». E poi, c’è chi ipotizza che il rinvio del consenso al trasferimento di Navalny sia stato dettato dalla necessità di aspettare la decomposizione di alcune sostanze nel suo organismo.
Perché per molte ore i medici e i dirigenti dell’ospedale di Omsk si sono rifiutati di diffondere qualche notizia sullo stato di salute di Aleksej Navalny e, eventualmente, sulle cause delle sue condizioni? Perché hanno diffuso dei comunicati spesso strani e contraddittori? Si riveda l’inizio della risposta precedente.
È corretto accusare direttamente il noto politico? E che c…, nominiamolo pure per nome: Vladimir Putin. Sì, possiamo accusarlo. Poteva anche non essere stato lui ad alzare la cornetta e dire: «Raga, domani avvelenate quel tipo che mi ha rotto!» Però ha creato e coltivato per oltre vent’anni un sistema dove gli avvelenamenti del genere – e non solo – accadono con una certa frequenza.

Sottolineo, infine, che il reale grado di popolarità di Aleksej Navalny in Russia non è l’argomento del presente post. Ricordo solo che è uno degli oppositori più noti e discussi.


Le leggende sul vaccino

Qualcuno poteva avere letto, ieri, dell’annuncio di Putin: la Russia ha registrato il primo vaccino al mondo contro il Covid-19. Penso che sia evidente più o meno a tutte le persone mentalmente sane: si tratta solo di una auto-pubblicità politica, di un tentativo di mostrare la propria superiorità sull’Occidente ostile in un argomento molto risentito. Le persone poco informate della attuale stilistica politica russa lo possono capire almeno dalle tempistiche e dalla segretezza totale (sottolineata più volte dalla comunità scientifica mondiale) che hanno accompagnato la «creazione» del «vaccino» russo.
Evito le valutazioni del gesto di Putin.
Trovo invece molto più interessante e utile sottolineare alcuni principi universali che debbano essere necessariamente chiari più o meno a tutti gli umani mentalmente sani.
Prima di tutto bisogna ricordare che la creazione di un nuovo vaccino sicuro, efficace e accessibile a larghe fasce di popolazione richiede anni. Ripeto: anni. Non so da dove saltino fuori le leggende del tipo «il primo vaccino entro la fine del 2020» o «tra un anno». I medici con i quali mi capitato di parlare e gli scienziati i cui articoli mi è capitato di leggere negli ultimi mesi sostengono che nel migliore dei casi ci vorrebbero 5 anni. Con tantissima fortuna si potrebbe farcela anche in 3 anni, ma sembra poco realistico. Non penso che sia necessario rispiegare i motivi già ben noti a tutti: oltre alla ricerca della formula del vaccino, è necessario svolgere anche dei lunghi test e poi trovare il modo di produrre velocemente tanti dosi a un costo ragionevole.
In secondo luogo, potremmo chiederci se, considerati i tempi di cui sopra, il vaccino contro il Covid-19 sia realmente necessario. La risposta è affermativa. Perché? Perché tra 3 o 5 anni il Covid-19 – lo dobbiamo almeno sperare – non ci sarà più per dei motivi naturali, ma la base scientifica acquisita grazie alla ricerca del vaccino sarà molto utile alla umanità intera.
In terzo luogo, dobbiamo necessariamente diffidare di ogni vaccino creato in pochi mesi o anni. Infatti, nel peggiore dei casi un vaccino non testato attentamente può danneggiare la salute della persona. E nel migliore dei casi non farà alcun effetto medico, ma darà alla persona la pericolosa illusione della protezione dal coronavirus. La seconda opzione, al giorno d’oggi, speso vale anche per i guanti e le semplici mascherine. A questo punto, molto probabilmente, mi conviene sottolineare: io non sono un anivaccinista e non lo sono mai stato.
In quarto luogo, ricordiamoci di una cosa banalissima ma sempre vera: il vaccino non è una cura. Quindi è utile solo se fornita alla persona ancora sana ma desiderosa di prevenire la malattia. Alle persone già affette dal coronavirus servirebbero altri farmaci.
A questo punto dovrei scrivere una specie di conclusione, una frase risolutiva. Ma io non ce l’ho quella frase.
Quindi, semplicemente, vi invito a non dare troppa attenzione né alla gente isterica né agli ottimisti spensierati. La serenità ci aiuterà a superare tutte le prove.


Il voto di azzeramento

Come forse avete già letto o sentito, il 1 luglio in Russia si è conclusa la settimana della votazione sulla «riforma costituzionale». Si è trattato di una manifestazione ben lontana dal costituzionalismo e dal diritto elettorale, quindi è assolutamente condivisibile il suo nome popolare: il voto sull’azzeramento di Putin. Infatti, l’obiettivo principale della «riforma» è stato quello di permettere a Vladimir Putin di non conteggiare i mandati presidenziali già ottenuti (azzerarli, appunto) e candidarsi altre due volte alla Presidenza. Di conseguenza, se la natura non dovesse intervenire prima, Putin dovrebbe rimanere alla carica almeno fino al 2036.
A questo punto avrei potuto scrivere un lungo post sul livello dei brogli eccezionale pure per la Russia degli ultimi 24 anni. Secondo i dati ufficiali, la partecipazione al voto sarebbe stata del 67,97%, il «sì» alla riforma avrebbe raccolto il 77,92%, mentre il «no» il 21,27%. I matematici hanno già calcolato che il livello reale del «sì» sarebbe attorno al 30%, ma questo è uno dei dettagli che dovrebbero interessare soprattutto ai cittadini russi.
Ai miei lettori italiani comunico solo che i risultati ufficiali di vari seggi corrispondono – con una precisione «sorprendente» – alle attese del Cremlino collettivo:

Quindi torniamo alla vita reale quotidiana che, nonostante tutto, continua. In assenza delle reali alternative pacifiche alla situazione creatasi, la gente tenta ancora di riderci sopra come può. Per esempio, la Costituzione russa del 1993 è già stata inserita nel famoso Continuare la lettura di questo post »