Oggi è il cinquantaduesimo giorno di guerra in Ucraina. Sempre da 52 giorni in Russia si osservano delle repressioni di massa contro le persone che «si permettono» di manifestare anche nei modi più innocui contro questa aggressione voluta e avviata da Vladimir Putin. Le persone che manifestano per strada (per esempio, anche solo tenendo in mano un piccolo cartello con la parola «Pace») o, spesso, pubblicano qualcosa su internet con il proprio nome vengono fermate, multate, spesso rinchiuse per diversi giorni e maltrattate dalla polizia. Di conseguenza, un po’ in tutta la Russia si stanno diffondendo anche delle forme anonime di protesta. Prima o poi riuscirò a raccogliere abbastanza materiali per scrivere di quelle più interessanti, mentre oggi racconto solo di una di esse.
Una forma di protesta anonima che si sta diffondendo in questi giorni a San Pietroburgo consiste nel lasciare nei luoghi pubblici delle piccole figure – fatte con dei materiali vari – che tengono «in mano» dei cartelli con delle scritte contro la guerra.
«Smettetela di uccidere i bambini»:
«Io sono stanco di avere paura»:
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L’archivio della rubrica «Russia»
Anche la stampa italiana scrive dell’incrociatore russo «Moskva» (sì il nome è traducibile in italiano come «Mosca»), la nave ammiraglia della flotta militare russa.
Nell’ambito di tale argomento è curioso osservare – ancora una volta – come cambia la posizione ufficiale dello Stato russo.
Come scrivono in vari canali di Telegram, le notizie ufficiali sulla sorte del «Moskva» continuano a essere cambiate e a corrette. Prima si era comunicato della detonazione delle munizioni, poi della esplosione del carburante, poi dell’equipaggio che è stato completamente evacuato (di solito significa che la nave è stata affondata), mentre ora la parola «completamente» è sparita. Inoltre, è abbastanza interessante notare che il sito del Ministero della Difesa russo per ora non dice alcunché sull’argomento.
In base alle informazioni non (ancora) verificate, sull’incrociatore si trovavano alcuni generali importanti, quindi ieri erano stati inviati delle navi ed elicotteri per tentare di salvarli. Ma la tempesta non avrebbe permesso di avvicinarsi la nave. Non si sa ancora se la nave sia ancora a galla o sia già affondata.
La parte ucraina ha solamente lasciato intendere che la nave è stata bombardata.
Pure Peskov (il portavoce di Putin) non ha ancora detto nulla sull’argomento: apparentemente, nel Cremlino non sono ancora sicuri di nulla a causa di molti fake news in circolazione.
In ogni caso, perdere la nave ammiraglia (penso che in ogni caso si possa ormai parlare della perdita) nella guerra con uno Stato che non ha una propria flotta militare è un nuovo importantissimo traguardo!
(La marina militare ucraina si trovava in uno stato pessimo anche prima della annessione russa della Crimea, la base principale della flotta ucraina).
UPD: nel corso della giornata il Ministero della Difesa russo aveva prima dichiarato che l’incrociatore sarebbe stato danneggiato, ma non modo critico (quindi capace di continuare la navigazione) e, successivamente, che sarebbe affondato mentre veniva rimorchiato verso il porto in condizioni di tempesta. Insomma, è stato fatto tutto il possibile per non ammettere l’efficienza del bombardamento ucraino…
Fortunatamente, su questo pianeta vivono ancora delle persone che hanno molta più pazienza di me nell’osservare le tonalità del marrone. Quindi è stata stilata la cronologia dei cambiamenti negli obbiettivi della guerra in Ucraina pubblicamente dichiarati dal governo russo.
– 24 febbraio, gli obiettivi secondo Dmitry Peskov (il portavoce di Putin). Lo scopo della «operazione militare speciale» è quello di smilitarizzare e denazificare l’Ucraina per eliminare la minaccia alla Federazione Russa;
– 25 febbraio, gli obiettivi secondo Maria Zakharova (la portavoce del Ministero degli Esteri). Lo scopo della operazione è quello di proteggere la gente e sanzionare il regime «fantoccio» responsabile dei crimini contro i civili, compresi i cittadini russi;
– 25 febbraio, gli obiettivi secondo Sergey Lavrov (il ministro degli Esteri). Lo scopo della operazione è quello di smilitarizzare e denazificare l’Ucraina e, successivamente, liberare gli ucraini dall’oppressione da parte del loro governo attuale;
– 25 marzo, gli obiettivi secondo il colonnello generale Sergey Rudskoy (il capo della Direzione Operativa Principale dello Stato Maggiore). L’obiettivo della operazione è la liberazione della LNR e della DNR;
– 29 marzo, gli obiettivi secondo Sergei Shoigu (il ministro della Difesa). L’obiettivo principale della operazione è la liberazione del Donbass.
– 3 aprile, gli obiettivi secondo Dmitriy Peskov. Uno dei principali obiettivi è quello di salvare la LNR e la DNR e ripristinare la loro statualità entro i confini del 2014 fissati nelle loro Costituzioni;
– 8 aprile, gli obiettivi secondo Dmitry Peskov. L’obiettivo della operazione è quello di prevenire la terza guerra mondiale;
– 11 aprile, gli obiettivi secondo Sergey Lavrov. L’operazione speciale della Russia sarebbe stata progettata per porre fine alla crescente dominazione degli Stati Uniti nel mondo.
Ecco, a questo punto possiamo aspettarci a breve una nuova rivelazione (ma non so ancora da quale funzionario russo): l’operazione militare speciale è stata lanciata per prevenire un attacco alla Russia degli alieni provenienti dal pianeta Nibiru e «sbarcati» in Ucraina grazie a un portale intergalattico segreto.
Oggi, nel 61-esimo anniversario del volo di Yuri Gagarin nello spazio, posso fare solo la triste constatazione di un fatto già ben noto a tutti: con l’invasione militare dell’Ucraina la Russia si è nuovamente sparata a una gamba ritagliata fuori anche dal progresso tecnico-scientifico legato allo studio dello spazio. Nessuno Stato, nemmeno il più ricco, avrebbe le risorse intellettuali ed economiche sufficienti per condurre gli studi di tale portata. E il governo russo (in realtà una persona in particolare) in un mese e mezzo è riuscito ad attirare le sanzioni internazionali sufficienti non solo per escludere il settore nazionale dal mondo scientifico globale, ma anche per seppellirlo del tutto.
Gli interessati a questa conseguenza — naturalmente non la più grave dal punto di vista umanitario — della guerra troveranno facilmente molti articoli validi sull’argomento, quindi io vi propongo solo un link utile per farsi una prima idea.
È così che i primi diventano peggio degli ultimi: si azzerano. E non si sa se e quando ripartono.
A me, personalmente, dispiace tanto che gli sforzi di alcuni geni della metà del XX secolo siano stati sprecati in questo modo…
Questo sabato finalmente si è espresso pure Silvio Berlusconi, parlando del «suo [ex?] amico Putin» ha detto:
Io Putin l’ho conosciuto vent’anni fa. Mi era sempre parso un uomo di gran buon senso, di democrazia, di pace, peccato davvero per quel che è successo…
Nei tempi relativamente normali – quelli che hanno preceduto il 24 febbraio 2022 – avrei riso tantissimo sulle parole «di democrazia» e «di pace». Ora, invece, posso constatare solo due cose.
Prima di tutto, ho scoperto che Silvio Berlusconi è molto meglio di quello che mi sembrava negli ultimi 10–15 anni.
In secondo luogo, devo notare che l’espressione «di buon senso» utilizzata nella citazione di cui sopra potrebbe diventare una interessantissima (e nuova?) formula diplomatica. Infatti, con l’inizio di questa guerra in Ucraina voluta da Putin ci siamo trovati di fronte a una preoccupante scelta: riconoscere che Putin sia un folle incapace di prevedere le conseguenze delle proprie azioni oppure pensare che prenda ancora delle scelte razionali nell’ottica dei fatti e dei costrutti logici esistenti solo nella sua mente (perché, effettivamente, sono due categorie totalmente sconosciute a tutti gli altri). La seconda delle opzioni può essere definita con l’espressione «buon senso», ma di fatto è sempre una forma di pazzia. Proprio come la prima opzione.
Complimenti a Putin che è riuscito a perdere in questo modo «bellissimo» uno degli alleati più fedeli…
In Italia, quasi sicuramente, nessuno la conosce, mentre in Russia la foto di questo articoletto da giornale è diventata un meme già alcuni fa:
Si tratta della prima menzione nota – almeno al giorno d’oggi – di Vladimir Putin su un giornale. La menzione che proprio oggi compie 30 anni perché è stata pubblicata l’8 aprile 1992. Ecco la mia traduzione (non tanto elaborata) del testo:
UN COLONNELLO DELLA KGB HA SACCHEGGIATO SAN PIETROBURGO
Un altro scandalo scoppiato a San Pietroburgo: una commissione parlamentare guidata da Marina Salieh ha chiesto la rimozione dall’incarico di Vladimir Putin, il presidente della commissione per le relazioni estere del municipio.
L’ex colonnello della KGB, non avendo alcuna delega dal governo [quello cittadino, E.G.], aveva rilasciato licenze per l’export del petrolio, legname, metalli non ferrosi e terre rare ad aziende dubbie e poco conosciute, spesso registrate alla vigilia dell’affare. Inoltre, nella maggior parte dei casi, le licenze sono state rilasciate in anticipo, prima della conclusione dei contratti con i partner occidentali, e senza alcuna documentazione della disponibilità delle merci. Mentre i prezzi di vendita sono stati ribassati di duemila volte inferiore a quelli esistenti.
La dogana, tuttavia, non ha permesso alla merce di passare il confine. La commissione sta girando l’indagine all’ufficio del pubblico ministero e al dipartimento dei dipendenti pubblici, quindi Putin potrebbe dover rispondere di fronte al proprio Ente per aver privato la città di 122 milioni di dollari [quelli americani, E.G.].
Natalia SHULYAKOVSKAYA
(«Megapolis-Ekspress», l’8 aprile 1992, N 15, pagina 19)
Il giornale moscovita «Megapolis-Ekspress» – di periodicità settimanale – è esistito dal 1990 al 2005 e nei primi anni era abbastanza serio. Già nel 1994 ha iniziato a trasformarsi velocemente in un classico esempio della stampa scandalistica, ma in questa sede tale fatto non ci interessa. Ora devo solo precisare che la foto del suddetto articolo viene spesso diffusa su internet assieme a una foto di Putin relativamente giovane: ma in realtà si tratta di una mossa pubblicitaria perché in origine l’articolo non era accompagnato da alcuna immagine.
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L’azienda norvegese Amedia (una media group) ha deciso – come tantissime altre aziende occidentali – di abbandonare il mercato russo in seguito alla invasione militare dell’Ucraina da parte della Russia. In particolare, ha annunciato di abbandonare il proprio network delle tipografie «Prime Print». Si tratta di sei tipografie, quattro delle queli appartenevano al 100% alla Amedia.
Perché ho deciso di raccontarne a voi? Perché quelle quattro tipografie non sono state semplicemente chiuse a chiave, ma in sostanza regalate a un personaggio del quale avete sicuramente sentito parlare negli ultimi mesi: il capo-redattore della «Novaya Gazeta» e premio Nobel per la pace (2021) Dmitrij Muratov. Mentre quelle quattro tipografie, ora a sua disposizione, sono ben note a Muratov: perché in una di esse veniva stampato – fino al momento di essere chiuso il 28 marzo a causa di una pressione politica aumentata – il suo giornale. Ha già ringraziato per il dono, ha promesso di salvare i posti di lavoro delle «persone fantastiche che vi lavorano» e di vendere, in caso di subentrata necessità, le tipografie a un «acquirente degno».
Ecco, data la notorietà internazionale del personaggio – almeno tra le persone che si interessano del giornalismo, dei diritti umani e, in un modo approfondito, della politica –, ritengo abbastanza probabile il fatto che prima o poi qualcuno scriva della «nuova attività di Muratov». A questo punto io anticipo tutti e dico che, purtroppo, si tratta di una elemosina da valore quasi nullo. Alla Amedia dispiaceva buttare nella spazzatura un business costruito nel corso degli anni e, allo stesso tempo, appariva impossibile continuarlo per dei motivi reputazionali: quindi ha preferito regalarlo a una brava persona. A quella persona, però, le tipografie servono ancora meno: non può più (temporaneamente, spero) stampare il proprio giornale, sta assistendo (come tutti) alle crescenti difficoltà della economia russa sanzionata e, sicuramente, non potrà rischiare tutto per tentare di stampare delle cose troppo sgradite al regime (in realtà può, ma per poco tempo…). Quindi nel migliore dei casi svenderà: non è uno che può mantenere economicamente – in attesa dei tempi migliori – una attività non funzionante.
Sicuramente vi ricordate che due settimane e mezzo fa Joe Biden aveva esplicitamente definito Vladimir Putin come un criminale di guerra. Molto probabilmente vi ricordate anche che tale definizione è stata criticata da molti per essere poco diplomatica…
Io, invece, già in quei giorni avevo seriamente dubitato della opportunità di essere diplomatici in determinate situazioni. Perché mi ricordo a cosa avevano portato i tentativi essere diplomatici — nei confronti di un pazzo dell’epoca — a cavallo tra gli anni ’30 e ’40 del secolo scorso. A molti vengono in mente i parallelismi con gli eventi di quegli anni, ma non a tutti viene in mente che all’inizio — quando venne perso molto tempo — ad avere ragione fu il politico con il linguaggio meno diplomatico: Winston Churchill. Ma il mondo cambia, quasi un secolo più tardi tutto succede più velocemente: probabilmente anche a causa di una migliore diffusione della informazione.
Più velocemente arriva anche la comprensione di chi sia il politico con il quale bisogna coesistere.
Il prossimo passaggio: comprendere che non bisogna tentare di coesistere con certi personaggi.
Le persone più sensibili interrompano ora la lettura di questo post.
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Alle persone che si interessano un po’ più profondamente dei difficili (ehm, sì, proprio difficili) rapporti attuali tra la Russia e l’Ucraina è sicuramente capitato di leggere che ai cosiddetti «negoziati» in Turchia (ma anche quelli precedenti) aveva partecipato anche il ben noto a tutti Roman Abramovič. Una persona media potrebbe a questo punto chiedersi: come c’entra questo amante del calcio inglese e degli yacht giganti con le trattative sulla fine di una guerra? Direi che per una persona media è una domanda abbastanza logica.
Io, a questo punto, potrei dividere la mia risposta in due parti. Prima di tutto, posso consigliare a tutte le persone realmente interessate ad approfondire l’argomento di leggere il recente articolo – un po’ lungo ma ben fatto – pubblicato sul Financial Times. L’accesso è a pagamento, ma potreste riuscire a organizzarvi con una spesa minima o, per esempio, attraverso qualche accordo / offerta messa a disposizione dalla vostra azienda (lo dice uno che sfrutta l’università, ahahaha).
La seconda cosa che posso dirvi circa il coinvolgimento di Abramovič nei «negoziati» è un principio che ho avuto l’occasione di approfondire diverse volte durante i miei studi degli ultimi dieci anni. Tra le varie – e vere! – doti imprenditoriali di Roman Abramovič ce n’è una particolarmente interessante: la sua incredibile capacità di raggiungere gli accordi funzionanti e rispettati dalla controparte, ma non scritti, non registrati, non depositati, non firmati, non qualsiasi altra cosa… Una buona parte delle ricchezze di Abramovič è stata accumulata – o a volte salvata – proprio grazie alla suddetta capacità.
La capacità che si è rivelata utile anche in questo nuovo contesto, in quel momento quando si cerca di fare 1) i negoziati-perditempo; 2) i negoziati con i risultati che si potrebbe «dimenticare» per primi in un qualsiasi momento futuro.
Perché Abramovič ha accettato di partecipare a una impresa del genere? Perché una delle abilità principali di ogni imprenditore russo – indipendentemente da quanto sia autonomo e grande – è quella mantenere i buoni rapporti con i detentori del potere: per salvare la propria attività, le proprie ricchezze e la propria libertà. Chi non ha questa capacità non esiste in qualità di un imprenditore russo. Abramovič, come tutti gli altri, potrebbe anche tentare di mollare ogni impegno e stabilirsi da qualche parte in Europa o negli USA, ma capisce che nessuno può ormai garantirgli l’infinita indulgenza dalle sanzioni.
Qualcuno in Italia, avendo letto troppe notizie, mi ha chiesto se in Russia ci sia il rischio della creazione dell’"internet del tipo cinese«. L’isolazionismo / isolamento dell’internet cinese è in realtà un argomento non tanto semplice dal punto di vista tecnico e non si limita al solo «blocco» di certi siti occidentali (non so se abbia senso spiegare tutti i dettagli in questa sede), ma presumo che i miei amici e conoscenti italiani abbiano in mente proprio questo schema semplificato. Quindi il concetto sul quale mi concentro ora è: cosa succede se in Russia dovesse essere chiuso l’accesso a tutti i siti sgraditi ai vertici del regime?
Le cose fondamentali da sapere e capire sono due:
1. In Russia i vari siti seri (ma anche utili e interessanti) vengono bloccati ormai da più di dieci anni, non solo in questo periodo di guerra. Infatti, nel corso del tempo – molto tempo prima della guerra! – è stato bloccato l’accesso ai siti di alcuni media di opposizione, siti di condivisione dei file, alcuni social occidentali (per esempio, per qualche motivo non tanto chiaro è stato bloccato il poco usato in Russia LinkedIn) e messenger popolari.
2. I russi capaci di usare i computer e gli smartphone non solo per mettere i like sotto le foto continuano – come pure i cinesi! – a navigare serenamente su tutti i siti bloccati. Perché – come pure i cinesi – usano i vari VPN. Quindi la preoccupazione principale di questo periodo non è quella di rimanere senza il Facebook o il sito della BBC, ma quella di rimanere senza l’internet in generale. Infatti, più o meno tutti capiscono che in Russia il semplice blocco dei vari siti non ha molto senso pratico (abbiamo appena visto il perché), mentre l’elaborazione di un sistema di controllo tecnologicamente evoluto non è possibile (come non è stato possibile creare uno esercito potente: a causa della corruzione). Quindi il cosiddetto Governo russo attuale (l’insieme dei vari funzionari che servono Putin), infastidito dalla libera circolazione delle informazioni, potrebbe anche decidere di «scollegare» fisicamente l’internet russo da quello mondiale. Non sono sicuro che l’internet russo riesca a funzionare – intendo tecnicamente – nella modalità di una rete locale, ma le persone che prendono certe decisioni non si preoccupano di questi piccoli dettagli.
Insomma, finché l’internet funziona, non bisogna preoccuparsi per i russi interessati ai siti seri.
Io, personalmente, mi preoccupo vedendo molti miei amici e conoscenti europei (italiani e non solo) che ignorano proprio l’esistenza dei VPN. Non ne sanno nulla e quindi non capiscono perché io continui a condividere (a volte) le informazioni e le conoscenze scientifiche pubblicate su alcuni siti bloccati in vari Stati europei.
Ebbene, per navigare serenamente dove vi pare, potete scegliere tra gli innumerevoli VPN esistenti nella natura. Io, in base alla mia esperienza personale, posso consigliarvi queste varianti:
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