L’archivio della rubrica «Russia»

Ha sbagliato il segno

Igor Konashenkov, il portavoce del Ministero della Difesa, ha dichiarato che gli Stati Uniti sarebbero direttamente coinvolti nella guerra in Ucraina perché fornirebbero a Kiev le indicazioni sugli obiettivi da colpire con i sistemi missilistici HIMARS. Konashenkov ha poi precisato che l’amministrazione del presidente USA sarebbe responsabile «di tutti gli attacchi missilistici approvati da Kiev su aree residenziali e infrastrutture civili», i quali avrebbero provocato la morte di massa di civili.
Non ricoprendo alcun ruolo nella amministrazione di Joe Biden, non posso commentare in modo argomentato le stronzate dichiarate da Konashenkov. Però posso ricordare – a tutte quelle persone che si sono in qualche modo imbattute nelle sue recenti dichiarazioni – che gli USA forniscono all’Ucraina gli armamenti a lungo raggio con una condizione: che non vengano usati per colpire il territorio russo o la Crimea.
Di conseguenza, Igor Konashenkov e tutti suoi superiori (ma anche i colleghi) dovrebbero pregare poiché gli USA continuino a essere «direttamente coinvolti».


Vadim Bakatin

Ieri è morto, all’età di 85 anni, l’ultimo direttore della KGB Vadim Bakatin.
Sarebbe bello esercitarsi nelle fantasie su come potessero andate molte cose della storia se un certo Putin non si fosse licenziato nove giorni prima della nomina di Bakatin alla direzione, ma ora è totalmente inutile. Quindi ora posso solo dispiacermi per fatto che l’impegno di Bakatin nella riforma della KGB non abbia evitato la reincarnazione di quest’ultima con il nome del FSB. Evidentemente, certe malformazioni sul corpo della società possono essere solo eliminate, ma non curate.
Eppure, l’idea di Bakatin era quella di non lasciare lo Stato senza un sistema di sicurezza funzionante, ma seguire sette principi nella riforma della KGB:
1. La disintegrazione. Frammentazione del KGB in una serie di agenzie indipendenti che si sarebbero controbilanciate e sarebbero state in concorrenza tra loro.
2. Il decentramento. Concessione della piena indipendenza alle agenzie di sicurezza delle repubbliche dell’URSS, con il lavoro coordinato delle strutture inter-repubblicane.
3. Il rispetto dello Stato di diritto, dei diritti umani e delle libertà.
4. La deideologizzazione della struttura.
5. L’efficacia. Concentrarsi sull’influenza criminale esterna sugli affari interni, combattere il crimine organizzato come minaccia alla sicurezza nazionale.
6. Più trasparenza possibile. La società civile deve comprendere e sostenere gli obiettivi dei servizi di sicurezza.
7. Non danneggiare la sicurezza del Paese.
Il tentativo non ha funzionato. Ma qualcuno doveva almeno provarci.


Ingaggiare il nemico

È importante ricordare che le guerre non sono fatte solo di sparatorie e bombardamenti di vario genere. Le guerre sono fatte, tra tante altre cose, anche dei tentativi di «rubare» alla controparte il personale altamente specializzato (le persone che sanno operare con i meccanismi tecnologici moderni) e i relativi «attrezzi di lavoro». In merito a tale caratteristica delle guerre, per questo sabato consiglio un breve articolo dal quale potrebbe partire — se siete interessati — con uno studio più approfondito dell’argomento.
Non so se anche a voi verrà (oppure è già venuta?) l’idea che le guerre del futuro saranno combattute da remoto, «con le mani» degli ingegneri e dei servizi segreti (come viene anticipato dalla storia descritta nell’articolo segnalato). Invece di essere combattute con le masse di metalli ed esplosivi.


Il folklore politico russo

Nel segmento russo dell’internet russo girano i tredici punti che riassumono la posizione ufficiale e pubblica della diplomazia russa in merito alla guerra in Ucraina. Non conoscendo l’autore della versione originale, considero quei punti un prodotto del folklore e li pubblico così come sono:
1. Non nascondiamo gli obiettivi dell’operazione speciale, ma essi cambiano ogni settimana.
2. Stiamo solo difendendo il Donbass, ma andremo oltre.
3. Non ha senso negoziare, ma noi siamo per i negoziati.
4. Non stiamo occupando l’Ucraina, ma ci resteremo per sempre.
5. Tutto procede secondo i piani, ma non abbiamo ancora iniziato.
6. Non abbiamo sono perdite, ma esse sono coperte dal segreto di Stato.
7. Consideriamo il Presidente dell’Ucraina legittimo, ma vogliamo rovesciarlo.
8. Siamo contrari all’allargamento della NATO, ma non siamo contrari all’allargamento della NATO.
9. Non abbandoniamo mai i nostri, ma molti di loro non torneranno e noi non sappiamo dove siano.
10. Proteggiamo la popolazione di lingua russa, ma spareremo contro di essa per proteggerla meglio.
11. Le sanzioni ci fanno solo bene, ma le industrie stanno crollando.
12. La Gazprom è la ricchezza nazionale, ma molti paesi, abitazioni, scuole etc. non sono stati raggiunti dai gasdotti.
13. Le sanzioni ci fanno solo bene, ma chiediamo che vengano revocate!
Secondo me seguirà una continuazione.


Il ricatto del gas

Per puro caso, subito dopo la fine della manutenzione ordinaria dei meccanismi del «Nord stream 1» la Gazprom si accorta del guasto (o della necessità di manutenzione periodica? boh… ho letto entrambe le versioni) di un’altra turbina della Siemens. E, di conseguenza, ha ridotto la capacità del gasdotto diretto in Europa fino al 20% della capacità regolare.
Questo fatto, sicuramente casuale e totalmente indipendente dalla situazione internazionale corrente, può essere visto da due punti di vista: quello politico e quello economico (anche se la differenza tra i due è, in realtà, molto sottile). Dal punto di vista politico, Vladimir Putin si dimostra ancora una volta più un tattico che uno stratega. Effettivamente, con il gioco della fornitura ridotta del gas riesce a creare dei problemi seri all’Europa. E noi sappiamo benissimo che si tratta di un ricatto: l’industria europea inizia ad avere dei problemi già ora e l’inverno è sempre più vicino. Allo stesso tempo, sappiamo che fino a ora Putin ha vinto con tutti i suoi ricatti molto prima di portarli al termine. Ma se l’Europa non dovesse cedere (infatti, non intende farlo) al ricatto in questa fase e si dimostrasse determinata nel volere trovare delle fonti alternative del gas? Ci vorrà del tempo e si dovrà attraversare un periodo difficile, ma è una impresa tecnicamente possibile…
Ecco, a questo punto passiamo all’aspetto più economico che politico. Perché per il volere di Putin la Gazprom si sta trasformando velocemente già ora in un fornitore del gas inaffidabile. Questo fatto costituisce, per l’Europa, una motivazione ulteriore per cercare dei fornitori alternativi. Di conseguenza, anche se la guerra in Ucraina dovesse finire stasera, l’Europa sarà comunque interessata a porre fine alla dipendenza dal gas russo. Mentre la Gazprom perderà, alla fine, circa 2/3 delle proprie entrate (derivanti dalle forniture all’Europa) e dovrà rispondere in tribunale per i vecchi contratti non rispettati.
Evidentemente, Putin non ci pensa proprio alle conseguenze così lontane dei propri ricatti. Non sappiamo neanche se arriverà a vederle con i propri occhi… Ma noi faremo in tempo a vederle.
P.S.: so benissimo che pure in Europa ci sono delle persone alle quali piacciono i ricatti putiniani. Vorrebbero cedere a quello attuale per riceverne qualcuno altro in futuro.
P.P.S. per tutti coloro che indicano la Cina (e forse l’India) come la soluzione di tutti i problemi della Russia: i gasdotti russi che vanno verso l’Oriente sono già pieni, mentre per costruire quelli aggiuntivi ci vogliono tempo, soldi e tecnologie bloccate dalle sanzioni. Inoltre, la Cina fisicamente non ha bisogno di tutto il gas russo (e non vorrà certo rivenderlo per essere colpita a sua volta dalle sanzioni). E poi, sul mercato vale sempre una regola banale e vecchia come il mondo: se il venditore ha un noto bisogno di vendere velocemente, gli acquirenti iniziano a pretendere degli sconti più o meno consistenti.


Gli 8 anni del MH17

Quasi una settimana fa, il 17 luglio, c’è stato l’anniversario di un avvenimento che sta rischiando di finire un po’ dimenticato con la guerra putiniana in Ucraina: l’abbattimento del Boeing della Malaysia Airlines MH17, avvenuto nel cielo dell’est ucraino nel 2014. Eppure, oggi lo potremmo considerare uno dei primi atti realmente folli di una guerra iniziata già oltre otto anni fa.
Proprio a questo argomento è legata la lettura che vi consiglio per questa settimana: le storie di cinque famiglie olandesi che hanno perso i propri figli in Ucraina nell’articolo «Our children were killed by Putin too» di Ekaterina Glikman.


Ci vorrebbe un po’ di serietà

Ho letto che il Comitato dei Rappresentanti Permanenti dell’UE (Coreper) ha approvato il settimo pacchetto di sanzioni contro la Russia. Tali sanzioni dovrebbero entrare in vigore oggi, il 21 luglio.
Da quello che ho letto fino a questo momento, le uniche sanzioni in qualche modo per me interessanti sono quelle contro 48 persone fisiche e istituzioni. Tra le persone fisiche ci sarebbero politici, militari, imprenditori e propagandisti… In particolare, ci sarebbero anche i membri del club di motociclisti «Nochnye Volki» («Lupi notturni»).
Ecco, quest’ultimo dettaglio è veramente ridicolo. Infatti, da una parte è vero che il club in questione è un gruppo di buffoni pro-putiniani (ma i bikers come caz*o possono essere pro-governativi?! è un classico esempio di ossimoro!), guidati da un famosissimo idiota completamente dislessico (Aleksandr Zaldastanov). Ma, dall’altra parte, non posso non constatare che negli ultimi anni questo club è stato un po’ dimenticato dagli abitanti del Cremlino: le sue iniziative non vengono più finanziate come una volta e non vengono pubblicizzate dalla televisione di Stato. In sostanza, i «Nochnye Volki» sono stati «scaricati» addirittura ben prima della pandemia, ma gli autori delle sanzioni europee non se ne sono proprio accorti e hanno quindi fatto ridere un po’ anche quei russi che non hanno mai appoggiato la politica di Putin. Perché con tutto quello che sta succedendo in Russia e nel mondo negli ultimi anni il club «Nochnye Volki» era stato quasi dimenticato dalla gente. Mentre l’UE dimostra di essere a) poco aggiornata e b) ormai incapace di inventare delle sanzioni più serie.


Un’altra forma dell’anonimato

Sabato mi era già capitato di consigliarvi un articolo sull’anonimato di fatto imposto agli alti ufficiali russi che partecipano alla guerra in Ucraina. Da oggi la descrizione di tale situazione può essere integrata da un nuovo elemento curioso.
Il Ministero della «Difesa» russo ha diffuso la notizia sulla ispezione, fatta dal ministro Sergey Shoygu, del raggruppamento militare russo «Zapad» («Occidente» in italiano), che sta combattendo in Ucraina. Il ministro avrebbe visitato il posto di comando e avrebbe ascoltato il rapporto del comandante del raggruppamento, il tenente generale Andrey Sychevoy. Uno degli aspetti più interessanti della notizia consiste nel fatto che non è stato precisato dove e come combatte il raggruppamento «Zapad» (e nemmeno da quando viene comandato da Andrey Sychevoy).
Più o meno tutte le persone che hanno fatto degli studi — accademici o personali — delle materie militari si ricordano uno dei principi-base: ogni militare che partecipa a una guerra inizia a sentire, prima o poi, la necessità di essere riconosciuto come eroe. La mia osservazione potrebbe sembrare un po’ preoccupante, ma non posso non farla: nel termine medio-breve il suddetto principio potrebbe costituire una fonte di speranza.


Un nuovo campionato importantissimo

Io, personalmente, non seguo lo sport professionale in generale e il calcio in particolare, ma a qualcuno dei lettori potrebbero interessare la «notizia» e la tendenza da essa potenzialmente derivante.
Il Ministero dello Sport russo sta progettando di creare un campionato di calcio che coinvolga club della Crimea, delle autoproclamate repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk, dell’Ossezia del Sud, dell’Abkhazia e dei territori occupati delle regioni ucraine di Kherson e Zaporozhye. Secondo la dichiarazione ufficiale del vice-ministro dello sport Odes Baisultanov, al campionato in questione parteciperanno i club delle «repubbliche amiche» e le squadre delle università russe. La prima stagione è prevista per il 2023.
Si precisa che il futuro campionato non sarà affiliato all’Unione calcistica russa (RFU), alla Federazione calcistica internazionale (FIFA) e all’Unione delle associazioni calcistiche europee (UEFA). Ma questo dettaglio, ormai, non ha alcuna importanza: il 27 febbraio la FIFA ha vietato le partite di calcio internazionali in Russia, mentre il giorno dopo, il 28 febbraio, la FIFA e l’UEFA hanno sospeso le squadre nazionali e i club russi dalla partecipazione alle competizioni sotto la propria egida.
Ecco, pianificare qualcosa del genere anche per il 2023 è, per i funzionari russi, un segno di grande ottimismo e di grande convinzione della propria fortuna. Ma questo non significa che non possano pianificare i campionati simili anche per gli altri tipi di sport. Di conseguenza, i miei lettori psicologicamente forti e stabili possono provare a seguirne qualcuno. Sarà una esperienza un po’ estrema ma breve. Sospetto fortemente che la qualità di calcio (o di, per esempio, basket) del campionato «indipendentista» sarà simile al campionato italiano di hockey, ma almeno potrete raccontare ai vostri nipoti di avere visto delle oscenità sportive inimmaginabili.


Un personaggio non occasionale

Probabilmente qualcuno dei lettori si ricorda di Marina Ovsjannikova, una dipendente del «Primo canale» della TV di Stato russa che il 14 marzo aveva invaso – con un cartello contro la guerra – lo studio del notiziario durante la diretta.

Dopo quella occasione Ovsjannikova aveva perso il lavoro (non penso che ne sia molto dispiaciuta almeno dal punto di vista morale) ed era stata multata. Poteva andarle peggio, anche se le leggi sulla responsabilità amministrativa e penale per ogni forma di protesta contro la guerra in Ucraina hanno iniziato a essere applicate in modo severo più tardi.
Ebbene, in questi giorni sono stato contento a scoprire che Marina Ovsjannikova non si è fatta spaventare e, anzi, ha dimostrato che il suo gesto non era stato occasionale, non semplicemente dettato dallo shock per l’inizio della guerra. Il venerdì 15 luglio aveva manifestato con un nuovo cartello sul lungofiume di Moscova davanti al Cremlino:

Il cartello dice: «Putin è un assassino. I suoi soldati sono dei fascisti. 352 bambini sono stati uccisi. Quanti altri bambini devono essere uccisi poiché vi fermiate?». Si tratta della seconda – in termini di visibilità – manifestazione contro la guerra di Ovsjannikova (ma si è espressa pubblicamente in diverse altre occasioni). Quello che non mi è ancora molto chiaro, è perché non sia stata fermata dalle forze «dell’ordine» già venerdì.
È stata fermata solo ieri (pare per una brevissima intervista televisiva) vicino alla sua casa, portata in un luogo sconosciuto, multata e rilasciata la sera del giorno stesso.

Ma se le cose vanno avanti così, per qualche motivo si potrà ancora scrivere di lei.
P.S.: per tutti coloro che lo avessero perso o dimenticato, aggiungo il famoso video del cartello in diretta: Continuare la lettura di questo post »