Tutti gli interessati hanno già sicuramente letto della sentenza – pronunciata il giovedì 17 novembre in Olanda – sul caso del volo MH17 abbattuto nel 2014 da alcuni personaggi russi nel cielo ucraino.
Io spero di riuscire presto a leggere la sentenza stessa (e alcuni materiali che mi mancano) e per ora posso aggiungere alle notizie di cronaca solo una previsione facile: alla fine sarà lo Stato russo (quindi i contribuenti) a pagare il rimborso ai familiari delle vittime. Questa sarà una delle componenti – purtroppo non la meno grave – della eredità lasciata alla Russia futura dall’epoca putiniana.
Nel frattempo, posso ricordare a tutte le persone interessate al caso il sito speciale dedicato proprio al caso del volo MH17 e a quel processo giudiziario che si è concluso con la sentenza di ieri. Nell’ottenere le informazioni è molto spesso utile evitare gli intermediari.
L’archivio della rubrica «Russia»
Sicuramente avete già letto da diverse parti dei due razzi che l’altro ieri sono finiti sul territorio polacco (vicino al villaggio di Przewodów, a circa 6 chilometri dal confine con l’Ucraina). Non è ancora certo chi abbia lanciato quei missili: alcuni politici non escludono che si possa trattare di missili ucraini di difesa aerea, lanciati per abbattere un missile russo in avvicinamento. Mentre noi, i semplici osservatori esterni, non abbiamo degli strumenti per valutare se sia vero o no.
Se ipotizziamo che quei missili fossero russi (conoscendo la precisione del puntamento dell’esercito russo, non si può escluderlo), dobbiamo comunque ricordarci che l’obiettivo era l’Ucraina. Pure un personaggio irrazionale come Putin ha paura di entrare in guerra con uno Stato-membro della NATO… Però all’inizio dell’anno avevamo già detto una cosa molto simile anche sul futuro (ai tempi) attacco alla Ucraina, quindi ora aggiungiamo: a meno che le sue condizioni psichiche non siano peggiorate ancora – sembrava impossibile! – rispetto a otto mesi fa. Ma i suoi rappresentanti continuano a «proporre» – ma è meglio dire chiedere – le trattative di pace pure alla piccola Ucraina.
Se invece ipotizziamo che quei missili fossero ucraini (avranno mancato un bersaglio mobile inseguendolo e sono volati sopra un confine non rettilineo ma sporgente verso l’interno della Ucraina: può succedere anche questo), dobbiamo ammettere che il loro obiettivo dichiarato coincide con quello reale: qualunque cosa i propagandisti russi possano inventarsi ora, l’Ucraina ha un deficit critico di missili, dunque non li sprecherà di certo per delle stupide provocazioni (soprattutto due missili alla volta).
In ogni caso, quei due missili sono un buon avvertimento per la NATO: qualcuno si dovrà anche rendere conto, prima o poi, che la guerra vera – non quella vista su YouTube – potrebbe arrivare sul territorio di un qualsiasi Stato terzo in qualsiasi momento. Molto probabilmente a questo punto conviene anticipare un po’ gli eventi.
Mentre noi, i semplici osservatori esterni, possiamo solo ricordare che, indipendentemente da chi e perché abbia lanciato quei missili, ne va ringraziato lo Stato russo: senza i bombardamenti del territorio ucraino non ci sarebbe stato bisogno di quei due missili.
Nel pomeriggio di ieri, molto probabilmente per non lasciare dubbi ai partecipanti al G20, l’esercito russo ha sottoposto a un massiccio attacco missilistico alcune città ucraine. Secondo Yuriy Ignat, il portavoce dell’aeronautica militare ucraina, l’esercito russo avrebbe lanciato circa 100 missili. Secondo il presidente Zelensky, invece, sarebbero stati lanciati 85 missili, prevalentemente contro le infrastrutture energetiche (l’ultimo dettaglio non è una attenuante, poi se pensiamo che si sta avvicinando l’inverno…). In ogni caso, l’attacco è avvenuto dopo due azioni «interessanti» del ministro degli Esteri russo Lavrov nel corso del summit:
1) ha dichiarato che la Russia sarebbe disponibile a un dialogo di pace,
2) ha preteso – pare senza successo – che nella dichiarazione congiunta finale la parola guerra fosse sostituita con la parola conflitto.
Certo, è evidente che in più di otto mesi di guerra più o meno tutti hanno già capito tutto sul modo di agire della Russia putiniana, ma in questi giorni della ricerca degli accordi comuni si poteva immaginare la convenienza di qualche forma di tregua. Ma le capacità cognitive proprio non bastano.
Capisco bene – e probabilmente lo avevo già scritto – che tra le numerose parole con le quali può essere descritto Vladimir Putin c’è anche il termine conservatore. Putin è un conservatore un po’ particolare: spesso mi sembra che abbia costruito nella propria mente un modello del passato fatto con gli elementi delle varie epoche sconnesse, interpretati attraverso la logica di una persona poco istruita e più interessata alla forma che al contenuto. Costruito il concetto di quel passato (in un periodo di tempo non brevissimo e già dopo l’arrivo alla Presidenza), cerca di difenderlo con tutti i mezzi disponibili. Proprio con quell’agire crea dei problemi notevoli allo Stato proprio e a quelli vicini.
Ecco, questo sabato posso segnalarvi un articolo che si collega bene con la mia visione di Putin conservatore. Perché in un certo senso mostra come un conservatore mentale si trasforma in conservatore «applicato».
La rivista The Economist ha analizzato le statistiche militari degli ultimi due secoli per mostrare come Vladimir Putin stia cercando di riportare il mondo a un passato sanguinoso. Secondo me è una lettura interessante indipendentemente dalla vostra visione di Putin.
Dei quali aspetti della guerra difficilmente leggerete sui giornali? Per esempio, di come l’esercito russo viene preso in giro in Russia dalla «gente comune». Solo alcuni esempi:
Quando a Sebastopoli si vede nuovamente una colonna di fumo, significa che la Flotta russa del Mar Nero sta eleggendo una nuova ammiraglia.
Il Cremlino avverte Kiev: «Se continuate a rifiutarvi di negoziare, ci ritireremo pure dalla regione di Zaporizhzhya!»
Kirill Stremousov (ormai ex governatore di Kherson nominato dal Cremlino): Kherson sarà ceduta alla Ucraina solo passando sopra il mio cadavere.
Sergei Shoigu ha finalmente deciso di occuparsi del proprio lavoro: della difesa.
Una decisione bellissima, ma è ancora meglio ritirarsi dietro il Volga.
Andrey Turchak (il vice-presidente della Camera alta del «parlamento» russo): «La Russia è a Kherson per sempre!». La durata del «per sempre» russo è diventata più chiara: va da marzo a novembre.
P.S.: ai tempi di pace avrei pubblicato un lungo post per spiegare che la vita reale in uno Stato può essere appresa e compresa non dalle notizie sui media, ma da come e su quali argomenti scherza la gente. Spero di ricordarmi di scriverlo in futuro.
A volte è utile non solo informarsi bene sui grandi eventi, ma fare anche una estrema sintesi di quanto successo: in questo modo riusciamo a comprendere la vera bellezza di ogni singolo evento. Faccio subito un esempio.
All’inizio di marzo l’esercito russo aveva occupato la città ucraina Kherson. Il regime putiniano aveva dichiarato che la città sarebbe diventata «russa per sempre».
All’inizio di ottobre la città e la relativa regione sono state annesse (con dei confini non definiti e assieme ad altri quattro territori) alla Russia attraverso un procedimento un po’ comico.
Il 9 novembre il comandante delle forze armate russe sul fronte ucraino Sergey Surovikin ha presentato un rapporto verbale sull’andamento della «operazione militare speciale» al ministro della «Difesa» russo Sergei Shoigu. In particolare, ha detto che tutto sta andando come previsto, le truppe russe combattono coraggiosamente, tutti gli attacchi dell’esercito ucraino vengono respinti senza problemi e, considerato quanto detto, l’esercito russo deve lasciare la parte della città di Kherson situata sulla riva destra del fiume Dnepr e ritirarsi dietro alle strutture difensive sulla riva opposta.
Il ministro Shoigu ha ringraziato il comandante ha sottolineato che si tratta di una scelta saggia.
Io, tentando di essere diplomatico, ipotizzo che i militari russi hanno – nel contenitore organico inserito sotto il berretto – una loro logica poco comprensibile agli umani. Ma per essere obiettivo devo aggiungere che non sono capaci di avere una logica propria, quindi in molti casi traducono in messaggi sonori la logica ricevuta dall’alto.
P.S.: ovviamente sono contentissimo per la messa in pratica di tale logica e spero che si continui velocemente allo stesso modo. Nonostante i «suggerimenti» di Biden, il presidente Zelensky non ha un particolare bisogno di «trattare».
Mi era già capitato di scrivere della spia russa – arrestata il 25 ottobre in Norvegia – che si fingeva un «ricercatore brasiliano». Ebbene, ieri ho letto dei risultati di una curiosa indagine condotta da The Insider e Bellingcat: in base a essa si tratterrebbe di una ennesima spia russa caratterizzata da un livello altissimo di preparazione, un po’ come quei due «geni» che a marzo del 2018 avevano effettuato l’avvelenamento di Salisbury.
Ecco l’estremo riassunto di quella indagine:
I fatti rivelati dalla biografia della spia hanno dimostrato ancora una volta che l’agenzia russa GRU ha dei problemi seri con la cospirazione. Non ci sono volute molte ricerche per scoprire che il «professore» dell’università norvegese non era il brasiliano José Assis Giammaria, ma Mikhail Mikushin di Ekaterinburg.
Per esempio, ha registrato il proprio account universitario utilizzando le caselle di posta elettronica mail.ru e rambler.ru. E il suo indirizzo e-mail si traduce letteralmente dal portoghese come «Misha l’invasore». In qualità della password il «007» utilizzava il proprio vero cognome.
A 26 anni Mikushin si era trasferito a Mosca, dove aveva vissuto in un dormitorio per gli ufficiali dell’Accademia diplomatica militare GRU e aveva compiuto gli studi di intelligence.
Nel 2011, Mikushin era andato a studiare in una università canadese sotto il falso nome di un cittadino brasiliano, ma aveva continuato a visitare regolarmente la Russia. Nel 2015, per esempio, era tornato per rinnovare la patente di guida.
In Canada, Mikushin ha svolto un lavoro di «ricerca» e ha addirittura fatto delle pubblicazioni su riviste scientifiche. Per esempio, nel 2019 è stato pubblicato un suo articolo sulla necessità di nuove basi militari nell’Artico. Oltre alla attività dello studio, è stato anche impegnato in campagne politiche sui social per il New Democratic Party.
Nel 2021, Mikushin si è recato in Norvegia per studiare, tra le altre cose, le «minacce ibride» presso l’Università di Tromsø. Solo un mese fa ha partecipato a un corso di formazione sulla «guerra ibrida» a Vilnius. Tra gli altri argomenti, durante il corso è stato discusso un argomento di grande attualità: come reagire in caso di sabotaggio del gasdotto Nord Stream.
Mikhail Mikushin è stato arrestato dalle autorità norvegesi il 25 ottobre. La questione della sua espulsione ancora essere risolta. Infatti, la deportazione in Russia è improbabile se Mosca non dovesse riconoscere Mikushin come cittadino russo.
Non so se classificare questa storia come un aneddoto o come una specie di apocrifo dei giorni nostri, ma…
Il 29 ottobre a Volgograd le forze dell’ordine (che da oltre due decenni servono prevalentemente a difendere il regime politico vigente) hanno reagito alla segnalazione degli attivisti religiosi ortodossi (i quali, seguendo l’esempio del Patriarcato di Mosca, appoggiano la guerra in Ucraina) e hanno interrotto il concerto dei rapper ALEXMERSER e INQUEENSITION (favorevoli alla invasione russa della Ucraina).
So benissimo che molte persone sono tanto idealisti e sognatori da pensare che certi regimi non democratici cadano per il merito delle rivoluzioni. Mentre io vedo che in realtà quei regimi cadono quasi sempre (in Russia proprio sempre) a causa dei conflitti interni al sistema. Il problema sta nel fatto che il grado critico del conflitto – al raggiungimento del quale il regime putiniano crollerà – sarà infinitamente meno divertente di quello appena descritto.
Per ora possiamo osservare solo alcuni primi, singoli e piccoli, segnali del conflitto crescente.
Non so se vi sia capitato di leggere, nei giorni scorsi, che le cosiddette «truppe di difesa territoriale» della regione di Kherson occupata dall’esercito russo sono state armate con i fucili di Mosin: quelli adottati per la prima volta dall’esercito dell’Impero russo nel 1891 e poi utilizzati fino al 1959 pure dall’esercito sovietico.
Molto probabilmente si tratta proprio di una di quelle armi che – secondo le parole preferite da Vladimir Putin – «non ha degli analoghi nel mondo». A questo punto mi aspetto che l’esercito russo e tutte le truppe che combattono assieme a esso vengano presto armate con un’altra arma modernissima e non utilizzata da alcun altro esercito: Continuare la lettura di questo post »
Nella guerra putiniana in Ucraina sta progressivamente aumentando l’importanza dei droni di vario tipo. Certo, quella importanza non è mai stata nulla e nemmeno bassa, ma negli ultimi mesi sempre più spesso costituisce l’argomento prevalente quando si parla degli armamenti utilizzati dalle due parti. Molto probabilmente vi vengono subito in mente i droni utilizzati da qualche settimana dalla Russia e quelli famosi utilizzati da qualche mese dalla Ucraina.
Ma in realtà la situazione con i droni utilizzati da entrambe le parti è molto più complessa e interessante. Di conseguenza, le persone interessate alle questioni militari e agli armamenti (e, ovviamente, alla guerra in corso) possono provare a leggere un bel riassunto – riccamente illustrato – della «guerra dei droni» osservata in Ucraina fino a questo momento.