Purtroppo, per la mentalità collettiva europea — molto meno abituata alla innovazione tecnologica rispetto a quella statunitense — alcuni concetti risultano quasi impossibili da comprendere. Quindi a volte si rischia di fare delle pessime figure di fronte a un grande pubblico. Succede, per esempio, quando si tenta di presentare (o si presenta inconsciamente, sempre a causa della suddetta mentalità) Elizabeth Holmes, la fondatrice della Theranos, come una truffatrice malintenzionata sin dall’inizio.
Ma nella realtà americana in generale e quella californiana in particolare il venture investment è un fenomeno infinitamente meno primitivo. Serve per finanziare la realizzazione delle idee che spesso si trovano anche in uno stato molto lontano dalla loro applicazione pratica. Elizabeth Holmes si trova ora nella situazione abbastanza difficile per due motivi. Da una parte, ha palesemente esagerato con l’applicazione pratica del principio «fake it until you make it»: ha continuato a raccogliere dei fondi per un progetto teoricamente interessante, ma bloccato nel suo sviluppo tecnico-scientifico (nonostante essere riuscita ad attirare dei professionisti altamente qualificati). Dall’altra parte, gli investitori hanno le loro responsabilità nella valutazione dei rischi: non solo all’inizio, ma anche negli anni successivi (e non abbiamo dei motivi per dubitare della loro qualifica).
Insomma, si è creata una classica bolla. Una bolla che sulla pratica non è mai l’opera di una sola persona.
Nonostante tutto, Elizabeth Holmes non va demonizzata. Ha solo fatto due errori imprenditoriali banalissimi: non ha pianificato bene in partenza e non ha trovato il modo (o il coraggio?) di mollare quando le cose hanno iniziato ad andare palesemente male.
L’archivio della rubrica «Nel mondo»
Molto probabilmente a qualcuno è già capitato di leggere dell’ambasciatore britannico Laurie Bristow, il quale non ha lasciato l’Afghanistan per poter controllare personalmente l’evacuazione dei connazionali e dei collaboratori afghani.
In merito a questa sua decisione, l’aspetto che in un certo senso mi preoccupa è la tendenza di definire eroe una perona che non molla tutto e non scappa dal proprio lavoro alla prima difficoltà seria riscontrata. Nelle condizioni ideali, la presenza fisica costante di un ambasciatore sul territorio è sempre meno necessaria: serve solo per alcune (poche) conversazioni tecniche che gli umani, nonostante tutto, sono ancora abituati a fare di persona. Laurie Bristow, invece, ha deciso di essere presente nel posto giusto al momento giusto: in un luogo di emergenza, dove la gestione non poteva essere effettuata «a distanza» o rinviata ai tempi migliori.
Il confine tra l’eroismo (da una parte) e le pure professionalità e serietà (dall’altra) è sempre stato, nella mia logica, molto più lontano. In un mondo sano quel confine non dovrebbe essere tracciato esageratamente vicino alla normalità.
Sul nostro pianeta un po’ sfortunato c’è un male che non può essere oscurato nemmeno dal f…ssimo covid: la moda del «riscaldamento globale». È un fenomeno ciclico che, a differenza della ecologia, non ha mai mostrato una correlazione con l’attività umana (anche perché i fenomeni ciclici sono iniziati miliardi di anni fa). Però fornisce un lavoro sicuro a una notevole quantità di «esperti» e «attivisti».
Avendo passato molto tempo a casa negli ultimi mesi, sono pure riusciti a scrivere un rapporto di circa mille trecento pagine sul loro argomento preferito.
Ma io, intanto, sto valutando l’opzione di scommettere dei soldi su un evento secondo me inevitabile: entro dieci anni il tema del riscaldamento globale farà la stessa fine dei famosi «buchi nell’ozono». Ve li ricordate? Quando ne avete sentito parlare l’ultima volta? È passata la moda…
Ma, purtroppo, al posto della moda dimenticata ne arriva sempre una nuova.
Chiedo anticipatamente scusa per la fonte della notizia, ma il fatto di cronaca in questione merita di essere ricordato. Una signora inglese di Weymouth non è uscita di casa per 9 mesi a causa della paura per il Covid-19; terminato l’isolamento volontario, è stata travolta da un camion all’inizio della prima uscita di casa, mentre stava cercando la mascherina nella borsa.
Ecco, questa non è una semplice notizia di cronaca. Non è nemmeno una ennesima notizia sul Covid. È una notizia sulla pandemia del panico. Sulla pandemia alimentata da oltre un anno e mezzo dai giornalisti, dai governi e dai vari isterici da Facebook. Sulla pandemia che ha fatto dimenticare a moltissime persone in giro per il mondo la differenza tra l’esistenza biologica e la vita. La crescente preoccupazione per la prima ha indotto molte persone a dimenticare come si vive nel mondo reale. Ha fatto dimenticare anche le cose banalissime: per esempio, la necessità di prestare una minima attenzione a dove si cammina in un mondo popolato anche da altri esseri viventi.
Io non capisco – e forse non capirò mai – a cosa possa servire l’esistenza biologica senza la vita. Che senso può avere?
Però capisco che il Covid è solo uno degli elementi negativi della vita di cui tenere conto: come delle tegole che possono cadere dai tetti, dei coperchi dei tombini fissati male o delle macchine che veloci. E tanti altri pericoli di questo mondo imperfetto. Questa comprensione mi permette di vivere serenamente una vita normale. Nonostante l’impegno di tutti coloro che continuano ad alimentare la pandemia del panico.
Non per fare delle battute in «stile Trump» sulle condizioni di salute e sulla preparazione di Joe Biden, ma devo ammettere che questa recente dichiarazione mi preoccupa un po’:
When I was with Mr. Putin, who has a real problem – he is – he’s sitting on top of an economy that has nuclear weapons and oil wells and nothing else. Nothing else. Their economy is – what? – the eighth smallest in the world now – largest in the world? He knows – he knows he’s in real trouble, which makes him even more dangerous, in my view.
La dichiarazione appena citata, infatti, testimonia una certa incomprensione della mentalità di Putin. Perché in base a quello che vedo da oltre vent’anni, si possono evidenziare almeno tre punti caratterizzanti le «preoccupazioni» del presidente russo:
1) è totalmente disinteressato alla politica interna (compresa quella economica) ed è poco informato su di essa;
2) ragiona per induzione: secondo egli, se un sistema funzionava ieri e funziona oggi, funzionerà anche domani. Quindi i sistemi funzionanti non si toccano finché non crolla il mondo;
3) il suo unico grande interesse è la politica estera, nella quale servono le armi di ogni genere. L’arma delle risorse naturali, in particolare, serve per comprare o ricattare gli stati esteri; le armi nucleari, invece, danno una certa sensazione di impunità militare.
Di conseguenza, potete facilmente intuire anche voi che la situazione descritta da Biden non è assolutamente vista da Putin come un problema. Resta da capire perché si sia espresso proprio in quel modo…
In oltre dieci anni mi è capitato di leggere e sentire tanti commenti esaltati sulla cosiddetta «primavera araba». In tutti questi anni i giornalisti di quasi tutto il mondo occidentale hanno fatto una strana gara di chi ingrandisce di più le cause, i modi e gli effetti prognosticati della suddetta «primavera». Di fatto, però, solo in uno Stato si era osservato un certo – fragile – miglioramento della situazione politica: in Tunisia.
Me come succede in tutti gli Stati che hanno appena intrapreso la strada della democratizzazione, pure in Tunisia si sono osservati due fenomeni semplici e, allo stesso tempo, difficilmente immaginabili per un europeo medio contemporaneo (io, invece, li ho visti bene in un caso concreto, ahahaha). Prima di tutto, negli Stati di quel tipo la popolazione si delude presto per non vedere il miglioramento radicale e immediato della propria vita. È una sorta del misticismo sociale: molte persone sono convinte che basta chiamarsi democrazia per stare bene come un europeo o un americano. In secondo luogo, la classe dirigente di tutti i livelli non cambia in un colpo con il cambio del regime: la mentalità generale e la maggioranza dei componenti concreti rimane sempre quella di prima.
Di conseguenza, non sono assolutamente stupito del fatto che anche in Tunisia gli effetti positivi della «primavera araba» stiano venendo meno senza provocare, almeno per ora, una protesta popolare.
La città di Liverpool è stata esclusa dalla lista del Patrimonio dell’umanità della UNESCO perché la sua amministrazione si sarebbe «permessa» di programmare la riqualificazione e la modernizzazione della sua zona portuale…
Capisco che è importante tutelare l’aspetto storico di certe zone del nostro pianeta, ma, in qualità del futuro Presidente del mondo (sarò io a nominarmi), non posso non anticipare anche un altro principio importantissimo. Sotto la mia presidenza, non saranno escluse dal Patrimonio dell’umanità tutte le città capaci di crescere e svilupparsi con una giusta continuità stilistica. Perché la tutela della storia non deve trasformare il nostro habitat in una forma architettonica della lingua latina. Questa ultima, non a caso, è considerata morta da secoli.
Ho dato dell’assassino alla UNESCO? Si potrebbe dire anche così.
Apparentemente la concorrenza può assumere delle forme ridicole. Come, per esempio, quella tra Richard Branson e Jeff Bezos.
Branson aveva talmente tanta fretta di andare per primo nello spazio, che non ci è arrivato e si «limitato» a raggiungere una quota suborbitale.
Bezos, a sua volta, aveva quindi tutte le possibilità di vincere la concorrenza dal punto di vista qualitativo, ma alla fine nemmeno lui ha superato la quota suborbitale.
In compenso, i due ora discutono sulla Terra dive inizi realmente lo Spazio.
Ma in realtà entrambi hanno raggiunto un risultato importantissimo (un piccolo salto per l’uomo, un grande passo per l’umanità). Con i loro voli sono riusciti a dimostrare che la concorrenza tra i privati nel raggiungimento dello Spazio è realmente possibile. E visto che è possibile quella, sarà possibile anche la concorrenza nel suo sfruttamento economico e tecnologico dello Spazio: con la conseguente riduzione dei costi e delle tempistiche. Possiamo quindi vederne i primi risultati già nei prossimi anni (per esempio, la diffusione dell’internet satellitare).
Quindi tifiamo per loro due, per Musk e per tutti gli altri.
Il Washington Post ha pubblicato un frammento di un nuovo libro dedicato a Donald Trump: «I Alone Can Fix It». Questa volta, in particolare, si tratta dell’ultimo, «disastroso» anno della presidenza di Trump e, tra le altre cose, del piano del generale Mark Milley contro l’eventuale rifiuto del 45-esimo presidente di lasciare il potere nel caso di una probabile – ai tempi – sconfitta elettorale.
Non so quanto senso possa avere la lettura di un libro del genere (almeno per i non cittadini americani), ma sono comunque contento che Donald Trump contribuisca alla crescita economica – attraverso la generazione delle opere intellettuali ben vendibili – anche ora, nel periodo in cui può essere dimenticato come un incubo della notte passata. Ma in base del pezzo pubblicato avete comunque la possibilità di prendere una vostra decisione.
P.S.: sul libro si parlerebbe anche del fatto che Trump ha sottovalutato il tristemente noto coronavirus. Per fortuna, è vero solo in parte: nonostante tutto, è stato proprio Trump ad acquistare diverse centinaia di milioni di dosi dei vaccini quando questi ultimi erano ancora in fase di sviluppo. È dunque riuscito a risparmiare tempo e soldi preziosi per i propri cittadini. La verità storica rimane una cosa abbastanza importante.
I cubani che protestano contro il regime hanno cambiato il vecchio slogan «Patria o muerte» (Patria o morte) in «Patria y vida» (Patria e vita). Presumo che non intendano solo la vita biologica, anche se, purtroppo, spesso la questione è pure quella.
Per fortuna, hanno delle buone possibilità di vincere la loro lotta in un periodo non particolarmente lungo. Per esempio, perché a differenza del Venezuela, Cuba non ha la cocaina o il petrolio per sostenere economicamente il regime esistente. Oppure, sempre per esempio, a differenza della Bielorussia, Cuba non ha un vicino generoso sempre pronto a finanziare il regime esistente (e lo sponsor storico di tutti i comunisti del mondo è schiattato oltre trent’anni fa).
Spero che un altro slogan storico – «hasta la vista» – assuma presto dei nuovi significati, ahahaha