Ho letto che il Comitato dei Rappresentanti Permanenti dell’UE (Coreper) ha approvato il settimo pacchetto di sanzioni contro la Russia. Tali sanzioni dovrebbero entrare in vigore oggi, il 21 luglio.
Da quello che ho letto fino a questo momento, le uniche sanzioni in qualche modo per me interessanti sono quelle contro 48 persone fisiche e istituzioni. Tra le persone fisiche ci sarebbero politici, militari, imprenditori e propagandisti… In particolare, ci sarebbero anche i membri del club di motociclisti «Nochnye Volki» («Lupi notturni»).
Ecco, quest’ultimo dettaglio è veramente ridicolo. Infatti, da una parte è vero che il club in questione è un gruppo di buffoni pro-putiniani (ma i bikers come caz*o possono essere pro-governativi?! è un classico esempio di ossimoro!), guidati da un famosissimo idiota completamente dislessico (Aleksandr Zaldastanov). Ma, dall’altra parte, non posso non constatare che negli ultimi anni questo club è stato un po’ dimenticato dagli abitanti del Cremlino: le sue iniziative non vengono più finanziate come una volta e non vengono pubblicizzate dalla televisione di Stato. In sostanza, i «Nochnye Volki» sono stati «scaricati» addirittura ben prima della pandemia, ma gli autori delle sanzioni europee non se ne sono proprio accorti e hanno quindi fatto ridere un po’ anche quei russi che non hanno mai appoggiato la politica di Putin. Perché con tutto quello che sta succedendo in Russia e nel mondo negli ultimi anni il club «Nochnye Volki» era stato quasi dimenticato dalla gente. Mentre l’UE dimostra di essere a) poco aggiornata e b) ormai incapace di inventare delle sanzioni più serie.
L’archivio della rubrica «Nel mondo»
Sabato mi era già capitato di consigliarvi un articolo sull’anonimato di fatto imposto agli alti ufficiali russi che partecipano alla guerra in Ucraina. Da oggi la descrizione di tale situazione può essere integrata da un nuovo elemento curioso.
Il Ministero della «Difesa» russo ha diffuso la notizia sulla ispezione, fatta dal ministro Sergey Shoygu, del raggruppamento militare russo «Zapad» («Occidente» in italiano), che sta combattendo in Ucraina. Il ministro avrebbe visitato il posto di comando e avrebbe ascoltato il rapporto del comandante del raggruppamento, il tenente generale Andrey Sychevoy. Uno degli aspetti più interessanti della notizia consiste nel fatto che non è stato precisato dove e come combatte il raggruppamento «Zapad» (e nemmeno da quando viene comandato da Andrey Sychevoy).
Più o meno tutte le persone che hanno fatto degli studi — accademici o personali — delle materie militari si ricordano uno dei principi-base: ogni militare che partecipa a una guerra inizia a sentire, prima o poi, la necessità di essere riconosciuto come eroe. La mia osservazione potrebbe sembrare un po’ preoccupante, ma non posso non farla: nel termine medio-breve il suddetto principio potrebbe costituire una fonte di speranza.
Il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky nel suo discorso al termine del 141-esimo giorno di guerra si è rivolto, contrariamente alla prassi, non ai cittadini del proprio Stato, ma al «mondo democratico». E ha chiesto che dopo il bombardamento della città di Vinnytsya la Russia venga finalmente riconosciuta come «Stato terrorista».
In tale richiesta – in una certa misura emotiva – c’è anche un po’ di logica. Ma il vero lavoro diplomatico (quello non del tutto pubblico) della Ucraina dovrebbe oggi concentrarsi sullo scioglimento dell’ONU: perché, purtroppo, nemmeno gli Stati-terroristi possono essere cacciati dal Consiglio di sicurezza. Ma finché un terrorista continua ad avere un incarico tra le forze dell’ordine, qualsiasi definizione più o meno pesante assegnatagli non ha molto senso pratico.
È bello confrontare due mappe: quella a sinistra che illustra i bombardamenti dell’8 luglio (da dove provenivano i bombardamenti), e quella destra che illustra la situazione dopo la distruzione dei depositi russi il 12 luglio. Il numero di bombardamenti è diminuito di dieci volte. Non ci sono più munizioni e non si sa quando verranno portati quelli nuovi.
Potrebbe essere la migliore spiegazione del perché fornire gli armamenti all’Ucraina.
Quando il viceministro delle finanze tedesco Jörg Kukis annuncia – nel corso di una conferenza a Sydney – che la Germania smetterà di acquistare il carbone russo dall’1 agosto 2022 e il petrolio russo dal 31 dicembre 2022, fa solo una semplice cosa. Ricorda solo che la Germania rispetterà le sanzioni europee prese nell’ambito dell’acquisto delle materie prime russe. Ma io, purtroppo, continuo a non vedere una tendenza «di massa» tra gli Stati europei verso l’obiettivo prefissato.
Se qualcuno avesse l’impressione che le sanzioni contro la Russia non funzionino, bisogna evidenziare almeno due cosa. La prima è banalissima: le sanzioni economiche tecnicamente non possono funzionare come un interruttore della corrente. La seconda cosa si osserva quasi altrettanto facilmente: a volte sembra che l’adozione e la messa in pratica delle sanzioni sia troppo timidi, ma in realtà tra i Governi europei non si hanno delle idee chiare su come convincere i produttori alternativi (alternativi alla Russia) di produrre e vendere di più.
Dicono che la Germania sta bloccando da oltre un mese un pacchetto da nove miliardi di aiuti destinati dall’UE all’Ucraina. Allo stesso tempo, sembra che la Germania sia intenzionata a restituire alla Gazprom la turbina della Siemens riparata ma bloccata in Canada a causa delle sanzioni.
A questo punto si potrebbe pensare che nell’ottica della guerra in Ucraina il comportamento della Germania, come pure di diversi altri Stati europei, sia abbastanza strano. Più uno Stato è lontano dalle zone dei combattimenti e più è strano il suo comportamento (anche sulla questione della fornitura degli armamenti). È strano anche perché dopo il comprensibile entusiasmo iniziale nell’adottare le sanzioni contro la Russia, l’Europa sta lentamente passando alla necessità di «salvare la faccia» (© Macron) propria e non di Putin: azzerando, appunto, ogni forma di partecipazione politica-economica al conflitto incorso ma continuando a stare dalla parte del bene.
E quindi spero che si trovi almeno il modo di adottare l’idea alternativa (l’ho già sentita da più economisti) che consiste nell’acquistare più risorse naturali possibile dalla Russia, far precipitare i prezzi e applicare una sorta di tassa o dazio su tale prezzo (per esempio il 30%) a beneficio del bilancio ucraino. In tal modo verrebbero raggiunti almeno tre obiettivi:
1) lo Stato russo incasserà molto meno, anche rispetto ai tempi pre-bellici;
2) gli aiuti all’Ucraina non costeranno alcunché ai contribuenti europei;
3) in Europa non ci sarà la crisi del gas e del petrolio.
Tutto questo non aiuta molto a fermare la guerra, ma almeno potrebbe aiutare a raggiungere dei risultati positivi più visibili e immediati.
Dire che «nella politica nessuno è indispensabile» è forse il modo migliore di uscire per scelta degli altri dalla battaglia contro il principale rogue state dei giorni nostri: perché il presidente di quello Stato non riesce proprio a trovare il coraggio di staccarsi dal proprio incarico. Boris Johnson, a modo suo, è anche egli un politico molto, molto particolare (almeno perché spesso ci ha fatti divertire un po’), ma negli ultimi mesi mi è sembrato il leader mondiale con le idee più chiare e sensate sulla situazione internazionale. Quindi in seguito all’annuncio delle sue dimissioni lo vorrei salutare bene.
Per esempio, posso pubblicare questa raccolta video dei discorsi sulle dimissioni degli ultimi premier del Regno Unito:
Dal momento dell’inizio della guerra Charkiv è rimasta una delle città più colpite dell’Ucraina. A causa dei regolari attacchi aerei e della sua vicinanza alla linea del fronte, a Charkiv vige il regime perenne del blackout e del coprifuoco. Le autorità hanno chiesto ai residenti di accendere le luci nei loro appartamenti il meno possibile e pure l’illuminazione stradale è stata lasciata spenta in tutto il periodo della guerra. Di conseguenza, nelle condizioni del cielo sereno di notte è possibile vedere non solo migliaia di stelle sopra la città, ma pure la Via Lattea. Il residente di Charkiv Pavlo Pakhomenko, un fotografo e appassionato di astronomia, ha deciso di approfittare di questa opportunità per fotografare la città notturna senza l’inquinamento luminoso.
Sul proprio instagram Pavlo Pakhomenko ha scritto:
Per anni ho sognato di fare le foto del genere, sperando in una interruzione programmata della energia elettrica o di una azione educativa pianificata. Purtroppo, il «genio del male» ha esaudito il mio desiderio nel modo più sgradevole: attraverso la guerra. Il mio nuovo sogno è che dopo la Vittoria, ogni anno alla fine di febbraio, in una notte limpida e senza luna, le luci vengano spente per un’ora e tutti escano per le strade a guardare le stelle e a ricordare tutti coloro che la guerra ci ha portato via.
E ora posto alcune di quelle foto:
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Ogni volta che vedo arrivare, in un periodo di tempo breve, due notizie così complementari, mi diverto tantissimo.
La prima notizia è molto diplomatica. I ministri degli Esteri del G20 riuniti a Bali hanno rinunciato alla tradizionale foto di gruppo per evitare di comparire sulla stessa immagine con il Ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov. Il Ministero degli Esteri russo non ha commentato la notizia. Allo stesso tempo, i rappresentanti degli Stati del G7 presenti a Bali si sono rifiutati di partecipare pure alla cena di benvenuto (tenutasi il 7 luglio) a causa della presenza di Lavrov. Maria Zakharova, la portavoce del Ministero degli Esteri russo, ha dichiarato che Lavrov «non si era accorto della assenza di boicottatori».
La seconda notizia è, invece, molto «umana».
Il Ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha deciso di lasciare la riunione ministeriale del G20 a Bali prima del previsto: non parteciperà al pranzo ufficiale e alla sessione di lavoro pomeridiana. Ha lasciato la sala della sessione subito dopo il proprio discorso e ha evitato di rispondere alle domande del ministro degli Esteri tedesco Annalena Berbock.
Come potete facilmente notare, la seconda notizia costituisce un bellissimo commento alla prima. Infatti, si vede subito che Lavrov non si era proprio accorto di essere evitato dai rappresentanti di tutti gli Stati più seri, ahahahaha
Beh, tanti anni fa era un diplomatico vero e serio, quindi forse qualcosa capisce ancora…
Non so se tutti abbiano già letto di una nuova grande vittoria del «tattico geniale» (ahahaha, ormai posso iniziare a pubblicare una serie di post specifici sull’argomento). Questa volta mi riferisco all’uso del gas naturale in qualità di una arma economica contro l’Occidente.
Ebbene, il giugno è stato il primo mese nella storia – praticamente dagli anni ’70 del secolo scorso – in cui l’UE ha importato più gas sotto forma di GNL dagli Stati Uniti che attraverso i gasdotti dalla Russia.
Ma dato che quasi sicuramente ve ne siete già accorti tutti, posso aggiungere qualche altra piccola osservazione utile, anche se non tanto sconosciuta. In sostanza, in questo periodo la Gazprom si sta autocancellando dal mercato europeo. In parte questo fenomeno è dovuto alla volontà di Putin di ricevere i pagamenti in rubli, in parte a causa delle sanzioni occidentali e in parte a causa delle «sanzioni di risposta» russe. Il risultato di tutto questo è molto curioso:
1) gli Stati europei hanno deciso – logicamente – di porre fine alla dipendenza dalle risorse naturali russe, ma si sono rese conto di realizzare tale progetto in pochi mesi: di conseguenza, i prezzi sono cresciuti bruscamente;
2) la Gazprom (tradotto in italiano parlato significa Putin) ha deciso di non sfruttare la situazione: anzi, insiste nel ridimensionare la propria posizione sul mercato europeo per non incassare troppo.
Ed ecco che è arrivato il momento della domanda di fine capitolo: contro chi viene utilizzata la famosa arma economica?
Proviamo a rispondere senza ridere.