L’archivio della rubrica «Nel mondo»

Dimenticare von Clausewitz

I numerosi «esperti» della politica internazionale amano appellarsi alla famosa citazione del generale e teorico militare prussiano Carl von Clausewitz:

La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi. La guerra non è, dunque, solamente un atto politico, ma un vero strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi.

Molto probabilmente l’autore di queste parole soffriva di una specie di malformazione professionale e tendeva, dunque, a elevare la guerra – il proprio ambito di studio – al rango dello strumento più importante tra quelli a egli noti.
Tutti gli altri, però, non dovrebbero sentirsi obbligati ad attenersi alla opinione di una sola, concreta, personalità vissuta secoli fa. Alle persone dotate di una minima capacità di analisi basterebbe ripensare alla storia mondiale – anche a livello delle conoscenze scolastiche – per accorgersi che la situazione reale sia di segno opposto alle parole di von Clausewitz: in realtà la politica a essere la continuazione della guerra. Infatti, tutti i governanti (Principi) si sono serviti della politica dopo avere vinto o perso una guerra. Nel primo caso non ne avevamo momentaneamente più bisogno, nel secondo caso non avevano le forze per continuarla (o iniziarne una nuova). Ma ogni qualvolta ce ne fosse la possibilità, si faceva la guerra.
Tantissimi studiosi autorevoli non se ne sono però accorti. Si sono accorti solo di alcuni aspetti formali, quasi estetici: per esempio, del fatto che nel mondo contemporaneo le guerre inizino senza una dichiarazione. Oppure del fatto che sia mutato il concetto del campo di battaglia. In pochi si sono accorti del fatto che la guerra può manifestarsi senza uno diretto scontro armato tra le due parti. Di conseguenza, in pochi si sono accorti che la Terza guerra mondiale ci sia già stata: è durata approssimativamente dal giorno del discorso di Fulton fino al giorno di caduta dell’URSS. E, infine, in pochi hanno notato che la Quarta guerra mondiale sia iniziata anni fa con la cosiddetta guerra ibrida (l’inizio della Seconda era stato in un certo senso simile). Iniziata per il volere di un leader che mentalmente vive ancora in un mondo che a) spartito in aree di influenza decise in base ai risultati della Seconda guerra mondiale; b) non è più necessario fare lo sforzo di continuare la guerra con la politica (diversamente da quanto hanno deciso gli Stati contemporanei).
Da tutto quello che mi è capitato di leggere in questi giorni non sono riuscito a capire bene quanto sia larga la comprensione di un principio preoccupante. La guerra attualmente in corso sul territorio ucraino ha le potenzialità per trasformarsi in una guerra mondiale di aspetto tradizionale, facilmente comprensibile a tutti. È importante capire che la guerra in Ucraina non è iniziata per finire in Ucraina. È importante capire che la vittoria – indipendentemente dai suoi costi – in questa guerra sarà un chiaro segnale per chi l’ha iniziata: «è un modo di fare praticabile», «si può rifarlo ancora». Si può rifarlo come si può rifare tutte le altre imprese passate impunite: per esempio, la guerra in Georgia nel 2008 o l’annessione della Crimea nel 2008. Dove rifarlo? Da qualsiasi altra parte: per esempio, in Finlandia (la quale ha fatto parte dell’Impero russo, quindi ci sarebbe il solito pretesto «storico»).
La Finlandia vi sembra «più europea» della Ucraina? Quindi iniziate a sentire più vicino il pericolo? Bene, molto bene!
Certo, si potrebbe anche prendere l’esempio da Chamberlain e tentare di non infastidire troppo quel tipo pazzo… Ma ci ricordiamo bene come si era sviluppata la cosa.


La guerra in foto

Alex Lourie, un fotografo del National Geographic, si trova in Ucraina e quindi ha la possibilità (è un po’ strano usare questa parola) di postare sul Twitter le proprie testimonianze fotografiche di quanto sta accadendo.


La visione di tutte le foto non sarà un passatempo tanto allegro, ma viviamo in un mondo che è fatto così.


La guerra

So da tempo che Vladimir Putin è pazzo, sempre più pazzo. Ma non potevo immaginare che la situazione fosse così così grave. Anche la persona più malata ha, di solito, una propria logica e una certa dose di pragmatismo: due cose che possono essere molto strane e per nulla condivisibili, ma sono sempre presenti.
A questo punto devo aggiungere: quasi sempre. Perché nella mente di Putin sono assenti.
Era difficile (quasi impossibile) credere che anche la persona più malata potesse iniziare – nel pieno XXI secolo – una invasione militare in stile di quasi cento anni fa: con dei pretesti falsi e con gli obiettivi imperiali. Ma è successo, nonostante il fatto che apparisse poco probabile fino a ieri. Credere nella ragione è troppo facile e, allo stesso tempo, porta alle grandi delusioni.
Ora non so cosa fare e cosa scrivere.
Chiedere scusa agli ucraini? Ma loro non ne hanno bisogno anche perché conoscono la differenza tra i russi (e la Russia) e il regime di Putin.
Spiegare agli europei la stessa differenza tra i russi (e la Russia) e il regime di Putin? Coloro che non l’hanno capita fino a oggi, non la capiranno nemmeno leggendo i miei testi deboli.
Proporre soluzioni e sanzioni o fare previsioni sul futuro? Non ha alcun senso pratico: la situazione creatasi può (e molto probabilmente deve) essere risolta solo dall’interno, con e forze proprie. E ci vorrà moltissimo tempo.
L’unica cosa che posso fare ora è aggiungere la mia voce ad altre singole – ma, vi assicuro, numerose – voci dei miei connazionali. Io dico: disapprovo questa guerra, disapprovo la politica di Putin.

P.S.: non voglio sprecare il tempo dei miei lettori per spiegare delle grosse banalità, quindi non mi metto a raccontarvi, di nuovo, che nessuno conosce il reale grado di sostegno di Putin tra la popolazione russa. Tutte le elezioni e i sondaggi degli ultimi 23 anni sono stati truccati.


Qualcosa sul conflitto russo-ucraino

Dato che, come al solito, nessuno sta capendo un bel niente della situazione creatasi sul confine russo-ucraino, provo a regalarvi qualche altro principio utile per la comprensione.
Ho già scritto più volte che Vladimir Putin è più un tattico che uno stratega; ora possiamo osservare facilmente una grande dimostrazione di questo principio: negli ultimi due mesi ha fatto avvicinare le truppe al confine con l’Ucraina, ha fatto un ultimatum alla NATO e poi si è accorto (a sorpresa per lui, a quanto pare) che l’ultimatum non ha funzionato (in sostanza, la NATO si è rifiutata di ritirarsi dall’Europa). Di conseguenza, Putin si è improvvisamente accorto di non avere una uscita facile dalla situazione creatasi. Ritirando le truppe e l’ultimatum e facendo finta che non sia successo nulla si toglie ogni possibilità di organizzare altre minacce belliche e di porre altri ultimatum. Capisce – forse – che la prossima volta non sarà più credibile.
A questo punto, il prossimo passo più logico sarebbe, purtroppo, la vera invasione militare della Ucraina, ma io continuo a pensare (e raramente ho voluto/sperato di avere ragione tanto come questa volta) che per Putin sia una scelta troppo forte. Non gli piacciono le scelte che comportino delle responsabilità dirette, nette e forti.
Quindi la scelta, a quanto pare, sia stata quella di riformulare la provocazione. Ora non sarebbe più la Russia a minacciare l’invasione dell’Ucraina. Ora la Russia sarebbe minacciata dall’Ucraina. Se vi sembra una battuta, devo farvi auguri: siete più in contatto con la realtà di Putin. Egli, nel frattempo, sta cercando di invertire la situazione. Gli Stati stanno facendo rientrare i propri cittadini dall’Ucraina? No, ora sarebbe l’Occidente ad attaccare e la Russia starebbe evacuando la popolazione civile. La ragione concreta? I missili che arriverebbero dal territorio ucraino anche fino ai posti di controllo del confine. Tra parentesi: (non importa che arrivino dal territorio ucraino controllato dalla Russia; non importa che l’Ucraina è accusata delle provocazioni proprio in quel preciso momento quando le truppe russe sono concentrate vicino ai confini). Insomma, si sta cercando di imitare le reali azioni dell’Occidente, spacciandole per la propria iniziativa. Il problema sta nel fatto che l’unica azione della leadership americana – l’esempio più rilevante – è stata quella di spostare l’ambasciata americana da Kiev a Leopoli. Mentre la Russia sta spostando, senza preavviso, senza un piano e senza alcuna idea precisa della data di rientro, migliaia di donne, bambini e anziani verso le località russe quasi non attrezzate. Prelevati e spostati come se fossero degli schiavi. Boh…
In questo contesto, il riconoscimento della «indipendenza» delle due regioni ucraine è solo un logico passaggio, una legalizzazione della guerra non dichiarata che era in corso dal 2014. E, per ora, è l’unica alternativa (l’unica praticabile per Putin, ovviamente) a una nuova guerra vera. Voglio vedere se si accontenti di questa «conquista». Ma sono sicuro che ci saranno delle sanzioni da parte degli USA e dell’Europa, anche se la Russia non dovesse collocare le truppe sui territori riconosciuti indipendenti.


Tutti simulano la guerra

In Europa più o meno tutti continuano ad aspettare l’invasione russa dell’Ucraina. Aspettarla temendola; aspettarla sperando che si eviti una nuova guerra in Europa. Io continuo a considerare quella guerra poco probabile (ho già scritto più volte che non reputo Putin capace di prendere le decisioni di questa portata), ma forse oggi conviene aggiungere alcune altre considerazioni.
1) Inizierei dall’ipotizzare il punto di vista della NATO. In questi anni Putin ha dimostrato di essere uno stratega, pensatore e politico assolutamente mediocre: può fare dichiarazioni radicali e inattese, ma non ha la capacità di raggiungere obiettivi politici. Allo stesso modo, non si è dimostrato capace di calcolare le conseguenze a lungo termine delle proprie azioni (non è uno stratega ma solo un tattico). Qualsiasi cosa faccia, l’effetto è sempre dannoso per lo Stato. Così è successo anche questa volta, quando gli è stato chiesto di spiegare il senso della concentrazione delle truppe russe vicino al confine con l’Ucraina: Putin ha improvvisamente cominciato a dettare gli ultimatum geopolitici alla NATO. Ed è stata una auto-fregatura colossale: approfittando del suo tono aggressivo, la NATO ha intenzionalmente alimentato una isteria sull’argomento «la Russia sta per attaccare» per fare finalmente ciò che volava fare da tempo voleva. Mancava solo un pretesto formale e presentabile per pompare l’Ucraina con le armi moderne e rafforzare le forze della NATO in Europa orientale. Quindi la retorica stupida di Putin sul «necessario» ritiro della NATO dall’Europa ha avuto l’effetto opposto: una scusa legale per la NATO per espandersi e rafforzarsi. Putin si è messo a giocare una partita troppo difficile per lui e ha ottenuto lo scacco matto in tre mosse.
2) Inoltre, possiamo provare a ipotizzare il punto di vista dei politici europei e statunitensi (in quest’ultimo caso in realtà possiamo parlare al singolare). A differenza di quanto succede in Russia e negli altri ex membri dell’URSS ora totalitari, i politici europei e americani dipendono fortemente dai loro elettori e fanno il possibile per conquistare la loro simpatia. Quindi di recente hanno scoperto un nuovo modo di conquistare dei grandi benefit politici con il minimo sforzo. Il trucco si chiama «Convincere Putin a non fare la guerra» e consiste in tre passaggi. Il primo passaggio: si afferma che Putin sta per iniziare una guerra. Poiché l’immagine internazionale di Putin è – meritatamente – quella che è, l’affermazione sembra credibile. Da questo deriva il secondo passaggio: esprimere costantemente preoccupazione, chiamare Putin e/o andare da lui ogni giorno per dei negoziati. In questa fase ogni nuovo giorno senza la guerra è presentato (o, se preferite, percepito) come una vittoria personale di quel politico occidentale che è «riuscito temporaneamente a dissuadere Putin». (In questo gioco Putin viene usato, usato come uno spaventapasseri, ma non se ne rende conto ed è contento per l’attenzione da parte dei grandi di questo mondo e orgoglioso per la propria «importanza globale»). Il secondo passaggio consiste – per il politico occidentale – nel presentarsi come un salvatore del mondo e della pace, ottenendo quindi dei bonus politici nel proprio Paese. Di conseguenza, è normale chi in tanti si sono messi ora in fila per «negoziare» con Putin: Biden, Macron, Scholz…
3) Infine, possiamo ipotizzare il punto di vista di Putin. Probabilmente Putin sta sospettando che le sue residenze siano spiate: da qualche dispositivo tecnologico o da una talpa. Quindi per scoprire con esattezza il punto della fuga delle informazioni, sfruttando le poche abilità acquisite grazie alla prima professione, si sposta da una stanza all’altra e pronuncia delle frasi diverse. Nel cesso dice: «Ordino al ministro della difesa di attaccare Kiev domani!». Nella camera da letto dice: «Voglio creare un sito di test nucleari nell’Artico!». Nel salotto dice: «ho finalmente deciso a fare una proposta di matrimonio alla regina Elisabetta!» Etc. etc… Insomma, in base alla frase diventata di dominio pubblico tenta di individuare il punto di fuga delle informazioni. A quanto pare, la cimice è nascosta nel cesso.

Pur non essendo un grandissimo esperto nelle questioni militari, avrei potuto tentare un confronto tra le dotazioni tecniche-militari russe e quelle della NATO. Ma questo, in ogni caso, è un altro argomento.


Le notizie della biologia

Una nuova specie del verme piatto – appartenente ai Humbertium della sottofamiglia Bipalium («vermi-martello») – è probabilmente arrivata in Europa dall’Asia. Questi vermi si riconoscono dalla testa piatta, da una lunghezza ridotta (circa tre centimetri) e dal colore nero uniforme. Sono dei predatori (si nutrono di lombrichi e di molluschi) e sono già stati notati in diverse zone dell’Italia e della Francia.
Jean-Lou Justine – un professore al Museo Nazionale di Storia Naturale di Parigi – ha deciso di attribuire al suddetto verme il nome Humbertium covidum per ricordare le numerose vittime del Covid-19 in tutto il mondo.

Non so voi, ma io non invidio le vittime del Covid-19 nemmeno questa volta…


L’utilità dei lockdown

Presumo – o spero? sì, spero – che tutti abbiano già letto il rapporto dei ricercatori della Johns Hopkins University sugli effetti reali dei vari lockdown (e misure simili) adottati negli ultimi due anni in giro per il mondo con lo scopo di contrastare la diffusione del Covid-19. Il rapporto in questione non è particolarmente lungo, ma è molto interessante…
La Johns Hopkins University è una delle più antiche e rispettate istituzioni di ricerca del mondo. È il secondo appaltatore di progetti militari e governativi negli Stati Uniti dopo il MIT e uno dei più importanti think tank del mondo sul Covid-19. Il Coronavirus Resource Centre è stato aperto alla Johns Hopkins University già nel gennaio 2020, prima ancora che la pandemia fosse ufficialmente dichiarata dalla Organizzazione Mondiale della Salute (è accaduto solo il 10 marzo 2020). E come sappiamo bene tutti, è stato proprio questo Centro della Johns Hopkins a fornire la maggior parte di quei rapporti che abbiamo letto sui media mondiali sulle statistiche del coronavirus. Quindi di chi dovremmo fidarci se non di questa università?
Nel rapporto pubblicato – il 2 febbraio 2022 – troviamo diverse affermazioni interessanti, alcune delle quali erano già state ipotizzate tempo fa dalle persone dotate di una buona logica e capaci di analizzare il mondo circostante. Ma ora, nelle migliori tradizioni del mondo accademico, ripetiamo alcuni concetti fondamentali traendoli da una fonte scientifica pubblicata, quindi dal suddetto rapporto della Johns Hopkins University. In particolare, i ricercatori hanno formulato quanto segue:
1) La meta-analisi ha portato alla conclusione che i lockdown (o restrizioni sostanzialmente simili) hanno avuto poco o nessun impatto sulla salute pubblica, ma hanno causato enormi costi economici e sociali negli Stati dove sono state adottati.
2) Di conseguenza, le politiche di quarantena / isolamento / chiusure sono ingiustificate e dovrebbero essere respinte come strumento di politica pandemica.
3) I lockdown hanno ridotto la mortalità per il Covid-19 del 2,9%. Ma in alcuni casi l’autoisolamento delle persone può avere causato danni e aumentato la mortalità. Infatti, l’autoisolamento forzato può lasciare una persona malata circondata dalla sua famiglia, dove il malato rischia di trasmettere una carica virale più alta ai suoi familiari, causando una malattia più grave.
4) La limitazione delle riunioni può avere di fatto aumentato la mortalità per il Covid-19: l’accesso limitato delle persone alle aree aperte sicure – come le spiagge e i parchi – così come le restrizioni alle riunioni, ha spinto le persone a incontrarsi in ambienti chiusi molto meno sicuri.
5) Una misura sanitaria positiva, secondo gli autori del rapporto, è stata la chiusura delle attività sociali secondarie e non essenziali. Questa ha ridotto la mortalità del 10,6%. Tuttavia, questo effetto sarebbe dovuto principalmente alla chiusura dei bar.
6) I ricercatori hanno anche sottolineato i danni delle conseguenze non volute dell’isolamento delle persone, come l’aumento della disoccupazione, la riduzione della qualità della istruzione, l’aumento della incidenza della violenza domestica e l’aumento delle morti per overdose delle droghe e dell’alcol.
Questi sono i punti che attirano più attenzione nel corso della prima lettura. Ma voi leggete tutto il rapporto: sicuramente scoprirete dei dettagli e argomentazioni approfondite che potrebbero interessarvi.
A questo punto io, il sottoscritto, posso fare una domanda retorica: qualche politico riconoscerà mai di avere sbagliato, per esempio, a introdurre i lockdown e le varie zone colorate? La risposta non retorica: ovviamente no. Allo stesso modo, nessuno riconoscerà di avere criticato ingiustamente il modo svedese di affrontare la pandemia del Covid. Il Governo svedese si era infatti sempre comportato come se avesse previsto il rapporto della JHU con due anni di anticipo: e la Svezia si trova ora alla 57-esima posizione della «classifica» per la mortalità per il Covid-19.
Ma almeno possiamo sperare nella istituzione – o in una proclamazione informale? – della Giornata mondiale di liberazione dal lockdown. La data è ovvia: il 2 febbraio.


Il lunedì 7 febbraio a Mosca si erano incontrati Vladimir Putin e Emmanuel Macron. L’obbiettivo dell’incontro era quello di discutere dello stato attuale nei rapporti tra la Russia e l’Ucraina (in molti parlano di una possibile invasione, mentre a me quest’ultima continua a non sembrare particolarmente probabile). Apparentemente, non ci sarebbero [ancora] dei risultati visibili di quell’incontro, anche se coinvolgere Putin in una conversazione seria di quasi sei ore è in realtà un grande successo.
Quindi per ora possiamo commentare solo la modalità con la quale si è svolto l’incontro «in presenza»:

Dal punto di vista diplomatico è tutto semplicissimo. Prima di tutto bisogna ricordare che ormai da quasi due anni a tutti coloro che vogliono incontrare Putin dal vivo viene imposta una quarantena di due settimane (le uniche, rarissime, eccezioni sono fatte per gli incontri con dei leader stranieri: per esempio, si potrebbe ricordare l’incontro con Xi Jinping del 4 febbraio). Allo stesso tempo, bisogna ricordare che Putin vuole fortemente essere riconosciuto come un attore della grande politica internazionale, mentre Macron vuole da tempo diventare il principale leader europeo (dato che Angela Merkel ha «finalmente» liberato tale posizione). Di conseguenza, Macron è andato serenamente a Mosca per affrontare un incontro difficile, mentre Putin lo ha «autorizzato» a non fare la quarantena. Il mega-tavolo della foto riportata è, in sostanza, un compromesso.
A me sono piaciute tanto alcune reazioni popolari a tale compromesso. La migliore, secondo me, è questa:
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Le nuove frontiere della ecodiozia

Quando una forza suprema vuole fare impazzire una persona, la fa pensare alla ecologia: è una nuova legge che ho dedotto da alcune notizie lette.
Per esempio: la ministra delle finanze indiana Nirmala Sitharaman ha «inventato» un modo molto particolare di ridurre le emissioni del CO2 del 35% in tutta l’India entro il 2030 e di rispettare dunque almeno una parte degli impegni presi nell’ambito dell’Accordo di Parigi sul clima. In particolare, ha inventato un modo di stimolare la produzione e l’uso delle automobili elettriche…
A questo punto conviene ricordarsi del contesto nazionale nel quale deve essere «inquadrato» il progetto della ministra. In primo luogo, bisogna ricordare che le città indiane sono molto compatte e non hanno quindi abbastanza spazi per le stazioni di ricarica delle auto elettriche (attualmente in India ci sono quasi 975 auto elettriche e solo poco più di mille stazioni). In secondo luogo, bisogna ricordare che le batterie delle auto elettriche costano tanto (non solo in India, ma in tutto il mondo): questo dettaglio determina non solo il prezzo delle auto, ma rende anche molto simili i costi per la sostituzione di una batteria rotta/invecchiata e l’acquisto di una auto elettrica nuova.
E ora torniamo all’idea della ministra: ha proposto di creare un sistema di sostituzione delle batterie scariche con quelle cariche come se fossero delle pile di un telecomando. E, soprattutto, offrire un supporto statale per l’affermazione di tale sistema: complessivamente per una somma di 6 miliardi di dollari americani. In questo modo verrebbero eliminati entrambi i problemi di cui sopra. L’obiettivo prefissato dal governo indiano è quello di arrivare alla soglia del 30% delle auto elettriche private vendute nuove entro il 2030.
Ebbene, dal punto di vista ecologico – ma non quello tecnico – il sistema proposto mi sembra di una utilità molto dubbia (per non dire che sembra una grossa m…chiata). Infatti, per combattere le emissioni del CO2 delle auto si propone di produrre il doppio (come minimo) delle batterie: quindi aumentare tutte le conseguenze ecologiche legate alla fabbricazione e al futuro smaltimento (inevitabile) delle batterie invecchiate. Questa si chiama «la genialità alternativa».
Oppure è solo l’ennesima manifestazione del trucco infantile «nascondiamo il problema da un’altra parte e facciamo finta che non esista più»?
In ogni caso, avrebbero fatto meglio a ridurre i dazi di importazione delle auto elettriche: attualmente in India sono pari al 100% del prezzo dell’auto importata.


Un nome rarissimo

All’inizio del secolo (ahahaha, suona bene) la polizia irlandese aveva intensamente cercato, per alcuni anni, uno dei trasgressori peggiori del Codice della strada locale: un automobilista polacco che avrebbe violato le regole per oltre cinquanta volte. A tutti i poliziotti irlandesi era stato comunicato il nome del ricercato: Prawo Jazdy…
Questa storia curiosa dimostra quanto è utile conoscere le lingue appartenenti alle famiglie linguistiche (o, spesso, zone geografiche) diverse. Perché cercare un Prawo Jazdy in Irlanda è un po’ come cercare un Driving License in Italia. Stupendosi, in entrambi i casi, per il fatto di non riuscire a trovare il tipo misterioso.
Quindi studiate di più e meglio per lavorare con più efficacia e per evitare le figure di emme internazionali.

Io, da russo che non ha mai studiato il polacco, interpreto subito l’espressione «Prawo Jazdy» letteralmente come «Diritto a viaggiare». Ed è una espressione concettualmente simile a quella che si usa in Russia per indicare quel documento che attesta il diritto di una persona a guidare un mezzo motorizzato.