L’archivio della rubrica «Nel mondo»

Il territorio occupato

Il 29 maggio l’ucraino Oleksiy Bokoch ha pubblicato sulla propria pagina Facebook una mappa sulla quale è selezionato il territorio dell’Ucraina occupato dalla Russia nel periodo dal 2014 a oggi. La legenda della mappa indica che la superficie dei territori occupati è di 123.229 chilometri quadrati (il che equivale al poco più del 20% della superficie dell’Ucraina nei suoi confini internazionalmente riconosciuti, quindi dei 603.549 chilometri quadrati).
Bokoč ha anche aggiunto alla stessa pubblicazione le mappe di alcuni Stati europei, sui territori dei quali sono state selezionate le aree della stessa superficie dei 123.229 km2. Quindi possiamo vedere facilmente che il territorio ucraino occupato dalla Russia è pari a quasi la metà della Germania, a circa la metà dell’Italia o alla Svizzera e all’Austria messe insieme.
Bokoč ha commentato tutte queste mappe in inglese: «Per i miei amici europei! Tenete a mente questa zona dell’Ucraina occupata dalla Russia quando ascoltate le dichiarazioni dei vostri politici».
La mappa del territorio ucraino occupato è questa:

Mentre le mappe seguenti riportano il paragone di cui sopra:
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Il sostegno “popolare”

A volte le notizie diventano interessanti perché arrivano in coppia. Faccio subito un nuovo esempio.
La notizia N 1. In Estonia un uomo – con la cittadinanza estone e russa – ha cercato di inviare dei droni all’esercito russo. Nel testo della notizia non viene specificato quale tipo di droni e a quale indirizzo abbia cercato di inviarli. Ma è stato specificato che in Estonia il sostegno alla aggressione russa in Ucraina è punibile per legge, quindi il tipo è già stato arrestato: probabilmente resterà in prigione per un po’ di tempo. Anche se avrebbe avuto molto più senso estradarlo in Russia: per permettergli di vivere tra le creature mentalmente simili.

La notizia N 2. In Lituania gli spettatori del canale televisivo LaisvėsTV in quattro giorni hanno raccolto quasi sei milioni di euro per l’acquisto di un Bayraktar da donare all’Esercito ucraino. Andrius Tapinas – un giornalista del canale – dopo avere raggiunto un facile successo con la raccolta di una somma minore sempre a favore dell’Esercito ucraino, aveva pensato di poter riuscire a fare di più. Ha quindi contattato il ministro della Difesa lituano Arvydas Anušauskas: gli armamenti di certe tipologie non vengono vendute ai privati, mentre il ministro aveva accettato di avviare delle trattative con l’ambasciatore turco, il ministero della Difesa turco e il produttore di Bayraktars. Le trattative hanno avuto l’esito positivo e il 25 maggio il giornalista ha avuto il permesso del ministro ad avviare la raccolta dei fondi (alla quale hanno partecipato pure una casa di riposo lituana e alcuni cittadini russi).
Cosa apprendiamo dalla lettura di queste due notizie? Vediamo una nuova conferma del fatto che con l’inizio di questa guerra i sostenitori dei due mondi hanno iniziato a combattere tra loro anche fuori dai commenti su Facebook. Non è detto che sia un fenomeno nettamente negativo o positivo.


La medaglia di Muratov

Probabilmente alcuni dei lettori si ricordano che Dmitry Muratov – il caporedattore del giornale russo «Novaya gazeta» – è uno dei due vincitori del Nobel per la pace 2021. Detesto questo premio (e ne avevo già scritto più volte), ma almeno posso constatare ancora una volta che almeno l’anno scorso è finito nelle mani di una brava persona.
Infatti, all’inizio della guerra putiniana in Ucraina Muratov aveva dichiarato di voler mettere all’asta la medaglia d’oro consegnatagli nell’occasione della premiazione con il Nobel. Farlo per destinare tutti i proventi della vendita ai programmi dell’UNICEF finalizzati all’aiutare i bambini colpiti dalla guerra in Ucraina e nei Paesi limitrofi.
Da ieri possiamo dire che la dichiarazione è stata messa in pratica: come da progetto iniziale (e con il consenso della casa d’aste statunitense Heritage Auctions), l’asta è partita l’1 giugno, il giorno della Festa internazionale dei bambini. Le offerte saranno prima accettate online, mentre l’asta finale avrà luogo il 20 giugno – la data della Giornata mondiale dei profughi – presso il Times Center di Manhattan.
Potete provare a seguire l’andamento dell’asta direttamente sul sito. Purtroppo, non so proprio se qualcuno dei miei lettori sia in grado di parteciparvi attivamente…

Posso solo sperare che prima o poi, in una epoca migliore, la medaglia torni al suo vincitore. Nella storia ci sono già stati dei precedenti.


L’Ucraina e l’UE

In merito all’eventuale futuro ingresso della Ucraina nell’UE, l’ANSA cita queste parole di Mario Draghi di ieri:

«Lo status di candidato trova l’obiezione di quasi tutti i grandi Stati dell’Ue, tutti direi, esclusa l’Italia. Lo status di candidato al momento non è prevedibile per l’opposizione di questi Paesi ma immaginare un percorso rapido» per l’Ucraina «sì. E mi sembra che anche la Commissione sia d’accordo»…

Mi sa che ancora una volta Draghi ha tentato di essere più diplomatico di Macron: ha sostituito «l’ingresso per il quale ci vorranno anni» con un «percorso rapido» di durata non definita e indefinibile.
Noi, invece, non siamo costretti a essere diplomatici, quindi possiamo dire apertamente che al giorno d’oggi l’ingresso nell’UE è una delle ultime cose che interessano l’Ucraina. Per esempio, perché aggiunge poco in termini di sicurezza militare. Di conseguenza, almeno io spero che l’Europa trovi qualche altro modo più efficace (in alternativa alla membership nella Unione), di offrire sostegno alla «Polonia 2.0». Non riuscirci per la seconda volta in meno di cento anni sarebbe un po’ brutto.


Le risorse naturali russe

Leggendo delle discussioni all’interno della Commissione europea circa l’embargo del petrolio russo, ho pensato che possa essere interessante pubblicare due cose relativamente curiose: una osservazione e una notizia.
1. Uno degli aspetti più strani (per non dire assurdi) della guerra in Ucraina è il fatto che per fornire il gas all’Europa la Russia continua a utilizzare il gasdotto che passa proprio sul territorio ucraino. Certo, tecnicamente non ci sono molte vie alternative, ma tutti — quando ci pensano — si stupiscono. E si stupiscono ancora di più quando si ricordano che in base agli accordi non disdetti la Russia deve pagare l’Ucraina per il transito del gas.
È logico tentare di evitare a finanziare l’autore della aggressione militare, ma — nonostante l’assurdità della situazione creatasi — bisogna anche ricordare delle entrate finanziarie della vittima.
2. La notizia poco ovvia, invece, riguarda la dipendenza di alcuni Stati dalle risorse naturali russe. Il giovedì 26 maggio le Ferrovie Ucraine hanno pubblicato sul proprio sito una notizia ottimistica (traduzione mia):

Al momento dell’inizio della guerra, la ferrovia aveva un avanzo record del diesel: sufficiente per 47 giorni. Dopo un calo dei volumi di traffico con l’inizio della guerra, il consumo giornaliero si è quasi dimezzato. Così, le riserve della ferrovia formate prima della guerra sono bastati per tutti e tre i mesi di guerra praticamente senza acquisti aggiuntivi.
Inoltre, le ferrovie hanno tenuto in deposito 10 mila tonnellate di gasolio provenienti dalla gestione del Ministero della Difesa. Poiché le Forze di Difesa ucraine dispongono ora di una riserva di carburante, il Governo ha permesso di utilizzare quello depositato per garantire il funzionamento stabile delle Ferrovie ucraine. Il relativo decreto n. 624 è stato adottato il 25 maggio 2022.
Questa decisione ridurrà anche la pressione sul mercato ucraino del riscaldamento, che attualmente sta vivendo una carenza di risorse.

Ecco, in Europa, purtroppo, non tutti sono così «fortunati». Per esempio, se l’embargo del petrolio russo dovesse essere introdotto, allo stato di cose attuale l’Ungheria resterebbe con zero petrolio (in sostanza dipende totalmente da quello russo): di conseguenza, la sua opposizione all’embargo non è una manifestazione di amicizia con Putin, ma una banale questione di sopravvivenza. Contrariamente a quanto pensano più o meno tutti europei comuni.


La lettura del sabato

Per questo finesettimana ho da consigliarvi un’altra lettura «curiosa»: la ricerca della «Mediazona» su quanto, da dove, verso dove e, a volte, cosa inviano i militari-saccheggiatori russi impegnati nella guerra putiniana sul territorio ucraino.
Vedendo certe immagini – negli ultimi tre mesi – sicuramente vi eravate chiesti sulla opportunità di rubare degli oggetti così banali, quotidiani, più o meno visibilmente usati. Ebbene, molti militari russi mandati a questa guerra non hanno mai visto degli oggetti di qualità simile (o, al massimo, li hanno visti in televisione). Perché quelle persone provengono dalla provincia povera, isolata e in una buona misura disperata. Di conseguenza, anche un martello usato, ma prodotto in Germania 20 o 30 anni fa a loro sembra un elemento della vita ricca. Ma sto rischiando di intraprendere la strada di un argomento molto ampio… E non vorrei distrarvi dalla lettura dell’articolo consigliato.


Una delle tante somiglianze – certamente relative – tra Vladimir Zelensky e Winston Churchill è il futuro inevitabile crollo di popolarità alla fine di questa guerra o nel caso di un temporaneo armistizio (quando la condizione bellica diventerà abituale ma priva delle difficoltà comuni da affrontare). Succederà perché le persone più categoriche criticheranno le scelte non abbastanza forti / radicali o la disponibilità a trattare su alcune questioni. Succederà perché le persone che non si sono mai trovate nelle condizioni di dover governare nemmeno un condominio criticheranno i preparativi insufficienti alla invasione russa. Nel migliore dei casi succederà perché contrariamente alle attese di certi geni alternativi – dei quali il nostro mondo è pieno – dopo la fine della guerra l’Ucraina non tornerà di colpo alla vita normale di prima.
Di conseguenza, sono inevitabili anche le critiche per la resa (la «vendita», il «tradimento» etc. etc.) dei soldati del battaglione «Azov» dopo due mesi di difesa della acciaieria Azovstal di Mariupol. La posizione attuale in merito di Vladimir Zelensky – «gli eroi ci servono vivi» – è però molto più vicina alla realtà di ogni possibile critica. Infatti, durante le settimane di resistenza all’assedio i militari dell’"Azov" sono diventati uno dei simboli più importanti per entrambe le parti della guerra. Per l’Ucraina sono, appunto, degli eroi, mentre per la propaganda russa sono un simbolo unico del «nazismo ucraino» (avete letto tanto dei famosi tatuaggi? ahahaha, prendete un qualsiasi esercito del mondo e provate a contare quanti grandi intellettuali con il passato radioso ne fanno parte!). Lo status del simbolo – indipendentemente dal segno che potremmo mettere davanti a tale termine – è per me la migliore garanzia della salvezza di tutti i militari dell’«Azov». Certo, qualcuno dei feriti gravi potrebbe anche non sopravvivere per dei motivi puramente medici, ma, in ogni caso, tutti i militari che si sono consegnati all’esercito russo costituiscono ora una preziosissima «merce di scambio». Saranno utilizzati nelle diverse trattative dove il governo russo vorrà ottenere qualcosa più o meno importante.
Quanto appena scritto non significa che non venga fatto un cosiddetto «processo» ad alcuni militari dell’«Azov» (nei territori del Donbass controllati dalla Russia è tecnicamente possibile praticare di tutto), ma quella sarà solo una questione di propaganda. Che precluderà lo status di «merce» dei militari ucraini.


Aggiungiamo una domanda

La rivista Time ha pubblicato l’ormai tradizionale elenco delle 100 persone più influenti del 2022. Sempre per tradizione, l’elenco è suddiviso in diverse categorie: «Artisti», «Innovatori», «Titani», «Icone», «Pionieri» e «Leader». In particolare, tra i «leader» sono stati citati anche i leader statunitense e cinese Joe Biden e Xi Jinping, ma pure i presidenti ucraino e russo Vladimir Zelensky e Vladimir Putin. Ogni personaggio dell’elenco è brevemente commentato da qualche altro personaggio famoso. Quindi Joe Biden ha scritto di Vladimir Zelensky, mentre il politico Aleksey Navalny ha scritto un breve articolo su Vladimir Putin. Leggetelo: è brevissimo e facile da comprendere.
Le parole scelte da Navalny sono giuste, ma io avrei aggiunto un altro concetto. Oltre a chiederci «come fermare un pazzo terribile con un esercito, una bomba nucleare e la membership al Consiglio di Sicurezza all’ONU», dobbiamo chiederci anche come esercitare una influenza su tutta la (o la maggioranza della) sua cerchia più stretta. Perché, infatti, Putin non è un mago capace di fare tutto con le proprie mani: ci sono le persone che mettono in atto le sue idee, eseguono i suoi ordini, cercano di anticipare i suoi sogni. Da solo Putin conterebbe zero; non è detto che dopo la sua morte tutta la politica russa torni di colpo alla normalità. Sembra logico supporre che per molti suoi collaboratori e semplici dipendenti statali la normalità sia proprio la situazione attuale.
Come possiamo influire su quelle persone? Le sanzioni occidentali – almeno per ora – fanno cambiare idea solo a poche singole persone: non si tratta certo di una tendenza.


Il piano della pace putiniana

Se io non conoscessi il partito di appartenenza del ministro di Maio, avrei pensato che il suo «piano per la pace in Ucraina» fosse la manifestazione di un improvviso colpo di pazzia (probabilmente dovuta al caldo di questi giorni). Infatti, è riuscito a esprimere – in soli quattro punti – un curioso mix tra gli «accordi di Minsk» (i quali sembravano essere scritti apposta per rimanere impossibili da rispettare) e le iniziali «proposte» della Russia per le trattative bilaterali Russia – Ucraina (proposte/richieste poi fortemente ridimensionate con l’emergere delle difficoltà dell’esercito russo nell’avanzare sul territorio ucraino).
Il «piano» presentato da di Maio sembra dunque molto più favorevole alla Russia che alla Ucraina. La prima avrà la possibilità di sostenere di avere raggiunto l’obbiettivo di scongiurare l’ingresso della Ucraina nella NATO… Ora trascuriamo pure due semplici fatti: 1) la NATO non voleva l’Ucraina prima del 24 febbraio; 2) non si capisce perché qualcuno debba decidere per uno Stato sovrano terzo sulla sua eventuale adesione alle alleanze varie.
L’Ucraina, invece, dovrebbe perdere – in base al «piano» italiano – il controllo su altri territori e la speranza di riavere il controllo sulla Crimea.
Io, in questo momento, non posso fare delle previsioni sulla reazione di Zelensky e di Putin di fronte a quei quattro punti. Ma posso prevedere altre due cose: 1) per una notevole parte del popolo ucraino l’accettazione di quel piano sarà una forma di resa; 2) il tentativo di fare contento Putin è una soluzione molto temporanea del problema. Infatti, accumulare le forze in uno Stato non democratico per una nuova guerra è molto più facile che ricostruire uno Stato di qualsiasi tipo distrutto dalla invasione militare già avvenuta.
E la nuova invasione chissà dove e quando inizia. Ma sicuramente inizia. Perché, per esempio, non è stato raggiunto l’obiettivo minimo putiniano di conquistare il passaggio via terra verso la Crimea «russa».
P.S.: capisco benissimo che di Maio non poteva proporre un qualsiasi piano in piena autonomia dal Governo. Mi stupisce quindi la grande ingenuità con la quale è stato accettato.


Trasferire i soldi dalla Russia

Ne avevo già scritto qualche tempo fa sul blog russo, ma ieri mi sono reso conto del fatto che l’argomento merita di essere pubblicizzato anche tra i miei lettori italiani.
Se anche voi – come me e alcuni miei amici, conoscenti e colleghi italiani – conoscete dei russi che non riescono a farsi inviare dei soldi dalla Russia (trovandosi dunque in una difficoltà economica più o meno sensibile), consigliate a loro la bella guida pratica che io ho scoperto grazie a una persona seria (dal suo autore:).
Qualcuno/a potrebbe esservi molto grato/a!