Il governo canadese ha deciso di inviare in Germania le restanti cinque turbine del «Nord Stream 1» che erano bloccate dopo i lavori di manutenzione iniziati prima dell’inizio della guerra. La motivazione della decisione: evitare che la propaganda putiniana spieghi la mancanza del gas in Europa con l’applicazione delle sanzioni contro la Russia.
Non so bene quanta differenza ci sia – ai fini della suddetta propaganda – tra le sanzioni e la decisione europea di liberarsi dalla dipendenza dal gas russo (entrambe mi sembrano logiche, giustificate e sensate). Infatti, negli ultimi mesi ho visto tantissimi articoli e meme creati dagli autori russi pro-governativi che deridevano la presunta decisione europea di stare al freddo d’inverno.
Ma allo stesso momento capisco che il cancelliere Scholz sta cercando di risolvere, senza troppo rumore, risolvere il problema temporaneo del gas. Tra i due governi – quello canadese e quello tedesco – il secondo sta facendo forse una figura un po’ meno brutta.
L’archivio della rubrica «Nel mondo»
Oggi, il 24 agosto, è il Giorno dell’indipendenza dell’Ucraina: una festa nazionale istituita nel 1992. Tale data è stata scelta perché il 24 agosto 1991 la Verchovna Rada della Repubblica Socialista Sovietica Ucraina adottò il decreto – con l’entrata in vigore immediata – che dichiarava l’indipendenza dell’Ucraina.
A questo punto, la prima cosa che posso fare è augurare a tutti gli ucraini la veloce vittoria contro gli orchi putiniani, il ritorno della pace e della integrità territoriale e tanta fortuna in tutte le altre cose.
In realtà, ho già pubblicato il suddetto augurio nei luoghi dove gli ucraini mi leggono con maggiore frequenza. A tutti gli altri, invece, posso ricordare di una brutta coincidenza: proprio oggi decorrono i primi sei mesi dall’inizio della guerra. Sei mesi fa in pochi avrebbero scommesso che la festa odierna verrebbe festeggiata ancora almeno una volta… Questa estate, invece, proprio per la data odierna in molti hanno prognosticato qualche azione simbolica da parte dell’esercito russo e del suo comandante supremo. Avendo ormai una certa idea dello stato mentale di quest’ultimo, non posso escludere che tenti di fare qualcosa di particolare. Ma, a eccezione dell’uso di un certo tipo di armamenti, tale azione non dovrebbe incidere in un modo particolare sull’andamento della guerra: le risorse belliche della Russia, per fortuna o purtroppo, sono quelle che sono.
Di conseguenza, l’unica cosa che possiamo fare ora è sperare che per il prossimo Giorno dell’indipendenza dell’Ucraina sia già tutto finito. Anche se il regime politico russo attuale farà di tutto per trasformare la guerra in un lunghissimo conflitto «di posizione».
Non posso proprio non ricordarvi dell’articolo epico uscito sul The Washington Post il martedì 16 agosto. È un articolo molto lungo, ma soprattutto è molto bello e molto interessante: tra qualche anno (o decennio?) potrà diventare – così come è ora – un capitolo del manuale di storia contemporanea… Ma la maggioranza dei miei ha già concluso gli studi e, in più, non è obbligata ad aspettare tanto.
Quindi andate pure a scoprire che la guerra putiniana in Ucraina era prevista dalle Istituzioni statunitensi già nell’ottobre 2021 e che, sulla base di molte notizie dell’epoca apparentemente strane, pure noi avremmo potuto considerarla altamente probabile (io – e non solo io, ma quasi tutti gli osservatori semplici – eravamo troppo convinti della razionalità di Putin e non sapevano interpretare i pochi indizi). Inoltre, l’articolo segnalato è interessantissimo nel descrivere i tentativi di alcuni Stati di scongiurare la guerra e, allo stesso tempo, di aiutare l’Ucraina a prepararsi per resistere almeno per qualche giorno…
Ma non mi metto certo a riassumervi tutto il testo. Concludo osservando che il presidente Zelensky si è rivelato, nei suoi preparativi alla guerra, uno stratega molto più saggio degli americani e di alcuni europei.
Come molti di voi sanno (forse) la Russia e la Bielorussia fanno parte (in teoria) di uno Stato unitario. Di conseguenza, dobbiamo ricordare che pure le innovazioni tecnologiche seguono – in Russia e in Bielorussia – una strada unica. Ieri ho scritto di uno robot cinese che è stato spacciato per uno robot «militare» «innovativo» «russo». Oggi, invece, vi racconto brevemente di una innovazione analoga bielorussa.
Lunedì si è svolta la presentazione di un nuovo modello della moto «Minsk» (del produttore bielorusso esistente dal 1951). In tale occasione, il direttore della azienda Nikolai Ladutko ha raccontato al presidente Aleksandr Lukashenko che il nuovo modello sarebbe realizzato con le componenti di produzione cinese, ma su progetto tecnico ideato e sviluppato all’interno della azienda.
Lukashenko ha rimproverato Ladutko per il fatto che le singole componenti della moto non vengano prodotte in Bielorussia ma, ovviamente, non si è accorto che si tratta della moto francese Mash X-Ride 650 Classic (la quale viene assemblata in Cina) con l’adesivo «Minsk» applicato sul serbatoio (non so dove sia stato stampato l’adesivo)..
Insomma, entrambi i presidenti possono essere facilmente ingannati allo stesso identico modo.
Secondo l’agenzia Bloomberg, le maggiori banche d’investimento statunitensi JPMorgan Chase & Co. e Bank of America Corp. avrebbero deciso di riprendere a negoziare le obbligazioni dello Stato russo. Tale scelta sarebbe stata presa a favore degli investitori che desiderano disfarsi dei titoli russi. Infatti, all’inizio di giugno il Ministero delle finanze statunitense ha vietato agli americani di acquistare le obbligazioni e azioni russe. Allo stesso tempo, gli americani continuare a possedere i titoli che già acquistati in precedenza o venderli agli stranieri.
Ecco, io evito di dare dei consigli finanziari a chiunque (almeno perché nel caso in questione immagino che lo Stato russo potrebbe incontrare molti problemi tecnici nel pagare). Ma non posso non farvi notare che sull’orizzonte è comparsa la possibilità di acquistare a dei prezzi abbastanza bassi alcuni «pezzi di carta» da collezione: tra qualche decennio potrebbero arrivare a valere tanto ahahaha… Raccontatelo al vostro zio miliardario!
Ieri a Berlino è morto il pittore russo Dmitry Vrubel, noto nell’Occidente prevalentemente per il graffiti «Mio Dio, aiutami a sopravvivere a questo amore mortale» (realizzato nel 1990 e restaurato sempre da egli nel 2009 dopo la distruzione):
Vrubel aveva il Covid-19 da circa due mesi… Per morire di Covid nella seconda metà del 2022 ci vuole una sfortuna enorme, ma in realtà non volevo commentare proprio questo aspetto.
Volevo solo osservare che nella morte di Dmitry Vrubel avvenuta proprio in questo periodo c’è qualcosa di infinitamente simbolico. Nel senso che si sta concludendo quel ciclo della storia, all’inizio del quale è diventato famoso come artista. Quindi a una nuova tappa della storia non sarà lui a realizzare un NFT sui resti del muro invisibile che si sta alzando ora. Vedremo chi sarà.
RIP Dmitry Vrubel
La lettura che vi consiglio per questo sabato è una inchiesta della «Novaya Gazeta» su chi, come, perché e tra quali elementi sociali conduce in Russia l’arruolamento nei battaglioni da spedire alla guerra contro l’Ucraina. Si potrebbe dire che si tratta di una mobilitazione di fatto (ma almeno per ora non di massa) che fa preoccupare, tra l’altro, anche per le sue conseguenze sociali future.
Capisco benissimo che gli organizzatori di questo arruolamento sperano tanto nella morte in guerra di tutti gli elementi ingaggiati. Proprio per questo i battaglioni dei «volontari» vengono utilizzati per «testare» con i loro corpi le direzioni degli attacchi da tentare. Ma, allo stesso tempo, capisco che diversi di quei criminali – armati ed esperti della guerra – un giorno vorranno e riusciranno a tornare in Russia. Dopo la sconfitta in guerra dovranno tornare. A quel punto si evidenzierà un problema serio che dovrà essere osservato e risolto ormai non da chi lo ha creato.
C’è chi continua a scrivere della proposta del presidente ucraino Zelensky di non rilasciare più ai russi dei visti di ingresso nell’UE (e in altri Stati occidentali). Lo avrebbe detto nel corso di una «lunga intervista» al giornale statunitense «Washington Post»…
Non ho ancora deciso se mi conviene commentare tale proposta palesemente stupida (probabilmente formulata in un momento di stanchezza o di esaurimento nervoso, sicuramente inserita in qualche contesto più o meno complesso), ma nel frattempo il problema si sta risolvendo da solo.
Infatti, a distanza di giorni dall’annuncio, non ho ancora visto tracce di quella intervista. È proprio questa assenza che mi sembra tanto strana. Mi sa che qualcuno sta rielaborando seriamente il testo, quindi anche gli altri non dovrebbero avere troppa fretta con i commenti. Ci sarà qualche sorpresa rispetto all’annuncio.
L’agenzia Bloomberg scrive – citando delle fonti del governo degli USA e dell’intelligence europea – che alla fine di luglio la nave mercantile russa «Sparta II» sarebbe arrivata a Novorossiysk da Tartus (Siria) trasportando delle attrezzature militari. E avrebbe portato in Russia almeno 11 pezzi di attrezzature militari.
Il dettaglio più interessante di questa notizia non sta nel fatto che una nave mercantile sarebbe stata utilizzata, furbamente, per il trasporto segreto di armi attraverso gli stretti pacifici. Il dettaglio più interessante della notizia è la comprensione del fatto che l’esercito russo sembra ormai essere costretto a raccogliere le armi serie dalle basi più lontane, e non solo dai vecchi depositi sovietici. È quindi su questo dettaglio che si possono basare alcune speranze di una fine relativamente rapida (o almeno in una diminuzione) della guerra tradizionale sul territorio dell’Ucraina.
Inoltre, si potrebbe capire molto sullo stato dell’industria degli armamenti russa, ma questo è un grande argomento tecnico a parte.
E, in più, si può presumere che sul «fronte Siriano» ci saranno ora meno opportunità di coprire l’Israele un tempo quasi alleato. Di conseguenza, anche se l’amico di qualcuno Netanyahu dovesse riuscire a tornare al potere, sarà comunque politicamente grato solo per il passato sempre più distante, ma non per gli aiuti di oggi. Ma questo è un altro grande argomento separato.
Alla fine di maggio l’Unione Europea aveva approvato un embargo parziale sulle importazioni del petrolio russo. Una eccezione era stata fatta solo per le forniture di petrolio attraverso il ramo meridionale dell’oleodotto «Druzhba» verso Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia (i tre Stati più dipendenti dalle forniture russe).
Il 10 agosto l’azienda ucraina Ukrtransnafta ha interrotto il pompaggio di petrolio dalla Russia all’Ungheria, alla Repubblica Ceca e alla Slovacchia attraverso il ramo meridionale dell’oleodotto «Druzhba». È successo perché l’azienda ucraina fornisce i servizi di trasporto del petrolio con pagamento anticipato al 100%, mentre l’azienda russa Transneft non è stata in grado di effettuare un nuovo pagamento a causa delle sanzioni contenute nel «settimo pacchetto» adottate dall’Unione Europea alla fine di luglio.
Capisco l’utilità e il senso delle sanzioni, ma allo stesso tempo spero che i dettagli come quello appena illustrato vengano inseriti sui manuali di storia dell’UE. Prima o poi qualcuno riuscirà imparare qualcosa dalla storia?