Dopo avere pubblicato dei post sulla recente visita di Putin in Corea del Nord, mi sono ricordato – in realtà, con un piccolo aiuto esterno – di non avervi mai segnalato un bel documentario su quello Stato estremamente chiuso: anche se ci vai da turista, riesci a vedere solo le cose che ti mostrano le guide facenti parte di chissà quali servizi.
In realtà, una cosa del genere poteva capitare al regista documentarista russo Vitaly Mansky…
Un disclaimer importante. Mansky è un grande rappresentante della sua professione e una persona normale da tutti i punti di vista, quindi non temete di beccarvi un servo dello Stato russo nella sua versione attuale: si tratta proprio del caso opposto.
Ecco: nel 2015 è uscito il documentario di Vitaly Mansky «Under the Sun». Il film è stato realizzato con l’assistenza e sotto il controllo delle autorità nordcoreane, che si aspettavano che il film presentasse l’immagine propagandistica di una famiglia nordcoreana felice. La parte nordcoreana ha preparato in anticipo un copione di propaganda, che comprendeva una storia fittizia sulla famiglia da filmare. Il materiale girato è stato esaminato quotidianamente dalle autorità di censura per garantire che non ci fossero delle scene indesiderate; alla famiglia ripresa è stato severamente vietato di parlare con la troupe. Tuttavia, il regista continuò a filmare segretamente le scene tra una ripresa ufficiale e l’altra, registrando ciò che accadeva su una seconda scheda di memoria di cui le autorità di censura non erano a conoscenza. Inoltre, Mansky riuscì a filmare segretamente qualcosa al di fuori dei set ufficiali del film. Nella versione finale del film, con 26 minuti in più rispetto al concordato, il regista inserì i suoi commenti critici.
Il risultato è stato dunque l’esatto opposto di quanto sperato dalle autorità nordcoreane.
Non so perché il tipo che ha caricato il film su YouTube abbia dato quel titolo al video. Ma a noi interessa il film stesso.
L’archivio della rubrica «Nel mondo»
Come vi ricordate, il 15 e il 16 giugno nella località alpina di Bürgenstock, vicino a Lucerna, si era tenuto il summit di pace [in Ucraina], al quale avevano partecipato quasi cento Stati. Ovviamente, l’obbiettivo (e il risultato) di tale summit non poteva essere il raggiungimento della pace: anche se la Russia fosse stata invitata (e avesse partecipato), nel migliore dei casi sarebbe stato firmato un documento bilaterale che avrebbe richiesto un lunghissimo lavoro/tempo di preparazione fuori dal summit.
L’obiettivo del summit era evidentemente quello di «fare il punto della situazione» corrente: da dove siamo partiti, dove ci troviamo ora e cosa serve per raggiungere il risultato sperato. È una cosa che periodicamente va fatta anche nelle situazioni infinitamente meno drammatiche.
Ecco, l’articolo segnalato per questo sabato racconta come le autorità ucraine valutano ciò che Kyiv è riuscita a ottenere nel corso del suddetto summit nel contesto degli obiettivi realistici del summit stesso. Perché molto probabilmente, la loro valutazione è non meno importante di tutte le analisi che possiamo fare noi o gli esperti occidentali di cui ci fediamo.
Come ho scritto pure io, il 18 giugno Putin si era recato a Pyongyang con una visita ufficiale. Il 19 giugno ha firmato con Kim Jong-un un patto di reciproca difesa. In tal senso, è possibile sottolineare due cose curiose.
In primo luogo, l’articolo 4 del patto ripete quasi completamente l’articolo 1 del Trattato di amicizia e mutua assistenza del 1961 tra l’URSS e la RPDC. Esso così recita:
Nel caso in cui una delle Parti subisca un attacco armato da parte di uno o più Stati e si trovi quindi in stato di guerra, l’altra Parte fornirà immediatamente assistenza militare e di altro tipo con tutti i mezzi a sua disposizione, in conformità con l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite e in conformità con la legislazione della Repubblica Popolare Democratica di Corea e della Federazione Russa.
La differenza più grande tra le due situazioni – quella del 1961 e quella odierna – consiste nel fatto che la Corea del Nord non è più uno Stato che ha bisogno di essere difeso dalla Russia. Questa volta è una alleanza di due rogue States di qualità molto simile.
La seconda cosa curiosa, invece, è il primo risultato già raggiunto grazie alla visita di Putin e, in una certa misura, grazie alla firma del patto: il Governo sudcoreano ha deciso di riconsiderare il divieto di trasferimenti diretti di armi alla Ucraina e di imporre sanzioni contro quattro navi, cinque organizzazioni e otto persone coinvolte nel trasporto di armi e petrolio tra la Russia e la Corea del Nord.
Ora, sicuramente, ci sarà la Cina a trattare con gli USA e l’Europa per ottenere chissà quali favori in cambio al contenimento della Russia sul campo nordcoreano, ma questo è un problema che Putin ha creato per il mondo e non per sé stesso. Lasciamo preoccuparsi dei problemi che si sta creando da solo.
Il ricercato internazionale Putin è riuscito a compiere un’altra visita all’estero sicura e, allo stesso tempo, importante: il 18 giugno si è recato in Corea del Nord, per la prima volta dal 2000…
Possiamo ridere all’infinito del solo fatto, come possiamo ridere, per esempio, del corteo del ricercato che viaggia per le strade vuote di Pyongyang…
…oppure dei grandi striscioni con il suo ritratto… Continuare la lettura di questo post »
I giornalisti de The Times hanno parlato con Volodymyr Pikuzo, l’ex capo del dipartimento marketing di Ukrspetseksport (il più grande esportatore di armi dell’Ucraina) e l’attuale capo dell’Agenzia per gli acquisti della difesa dell’Ucraina. Nella intervista Pikuzo racconta, con diversi esempi, che dall’’inizio della grande guerra in Ucraina il prezzo di alcuni tipi di armi e munizioni corrispondenti allo standard sovietico sul mercato mondiale è aumentato più volte e continua a crescere. Perché, appunto, quelle munizioni sono fortemente ricercate sia dall’esercito ucraino che da quello russo.
Tutti gli interessati saranno sicuramente capaci di leggere l’intera intervista (se non lo hanno ancora fatto), mentre sto ancora cercando una spiegazione a un suo passaggio.
Nel contesto dei prezzi aumentati grazie alla domanda alta, alla corruzione e agli schemi difficilmente classificabili, Pikuzo dice pure che alcuni produttori europei degli armamenti si rifiutano di avviare nuove linee di produzione, adducendo i costi elevati e la non-redditività. Ehm… in che senso? Hanno «paura» che la guerra duri poco? O che finiscano presto gli aiuti finanziari alla Ucraina? O che l’esercito ucraino passi interamente all’utilizzo degli armamenti della NATO? (vendere legalmente alla Russia non è possibile, quindi non la prendiamo in considerazione) Oppure sanno qualcosa che non so io?
So solo che in tutti i casi avrebbero potuto chiedere delle garanzie agli Stati europei per garantire, per esempio, i prezzi «bassi o bloccati» che permetterebbero risparmiare gli aiuti europei alla Ucraina…
Ah, no, mi dimenticavo: l’efficienza non è un vizio della burocrazia.
In queste cose non esiste il «troppo tardi»: questa settimana «Mediazona» ha finalmente pubblicato un’inchiesta sulla tanto sbandierata (da parte di sapete chi) «efficacia» della PMC Wagner. Utilizzando l’esempio concreto dello studio delle perdite subite durante i tentativi di conquistare il Bakhmut ucraino, l’articolo mostra ciò che prima si sapeva, in generale, solo da voci e dati sparsi: Prigozhin ha semplicemente (e secondo la vecchia tradizione russa) ammassato il fronte di carne da macello.
Come spesso accade in questi casi, la procedura di indagine in sé non è meno interessante del suo risultato.
Nel contesto di tutto quello che sta succedendo da quasi due anni e mezzo tra la Russia e l’Ucraina, sembra una notizia abbastanza piccola, un dettaglio quasi invisibile: i giornalisti del quotidiano Financial Times hanno identificato e localizzato quattro bambini che sono stati portati via dall’Ucraina dalle autorità russe durante i primi mesi della grande guerra e poi dati in adozione. Si tratta di bambini di età compresa tra gli 8 e i 15 anni, la cui identità è stata confermata alle autorità ucraine dalle loro famiglie. Il FT non fornisce i loro nomi, ma sostiene che quei bambini vivevano nelle regioni meridionali e orientali dell’Ucraina quando è iniziata la guerra, e che dopo l’invasione russa sono stati «rapiti» dagli orfanotrofi ucraini e «separati dai loro tutori e parenti». Ora tre di loro si trovano nelle regioni di Tula e Orenburg, mentre uno è stato portato in Crimea annessa. I giornalisti hanno trovato le schede con le foto dei quattro minori sul sito web del progetto russo «Adopt.ru» (legato allo Stato russo), che ospita una banca dati di orfani. Un bambino è stato presentato nel modulo con un nuovo nome russo e la sua età è stata cambiata. Il nome di un altro minore è stato tradotto in russo. Allo stesso tempo, nessuna scheda menziona l’origine ucraina dei minori.
Sembra una notizia minuscola, volendo potete leggere facilmente il resto. Mentre io aggiungo solo il motivo per il quale me ne sono interessato: perché nonostante il fatto che mi sembra infinitamente difficile che Putin arriva, in qualità di imputato, almeno al primo giorno del processo all’Aja, ogni prova concreta contro di lui mi fornisce una piccola speranza. Una speranza nella possibilità di veri problemi personali anche per lui. (Infatti, per ora l’ordine di cattura nei suoi confronti si basa proprio sulla accusa di rapimento dei minori ucraini.)
Lo scioglimento del Parlamento, deciso dopo la pubblicazione dei primi risultati delle elezioni al Parlamento europeo, è una mossa molto rischiosa per Macron. Egli cercherà di preparare e attuare una vendetta ultra-rapida nel corso di questi venti giorni e di sottrarre ai «lepenisti» la loro vittoria. Ma il suo calcolo sembra evidente me e non – stranamente – a diverse persone con le quali ho parlato in questi giorni.
L’idea di Macron sembra essere questa: che gli elettori francesi, spaventati dall’improvviso successo del Rassemblement National, si mobiliteranno e voteranno in massa contro di loro. Perché le elezioni del Parlamento europeo sono importanti, ma non sono elezioni nazionali. E le elezioni, che si terranno a fine mese, decideranno chi governerà il Paese. E, se tutto va come si spera, permetteranno a Macron di essere un promotore ancora più attivo della sua visione della politica internazionale. Quella politica molto meno neutra, rispetto alla politica della maggioranza dei suoi colleghi europei, nei confronti dei principali problemi internazionali di oggi.
Nella città polacca di Skarzysko-Kamienna, nella provincia di Świętokrzyskie, si è verificata un’esplosione nella fabbrica di armi Mesko, che produce, tra l’altro, armi per le Forze armate ucraine. La capa dello stabilimento, Elżbieta Sreniawska, ha dichiarato che l’esplosione si è verificata nel centro di combustibile per razzi messo in funzione alcuni anni fa. Un dipendente di 59 anni dell’impianto è rimasto ucciso e un altro è rimasto ferito. La causa dell’esplosione non è ancora stata resa nota.
Il giornale Wyborcza fa notare che ci sono già state due esplosioni nell’impianto, entrambe nel 2021. Nell’aprile 2021 è rimasta uccisa una dipendente di 48 anni e a settembre una dipendente di 41 anni. In entrambi i casi, le esplosioni sono state causate dalla violazione delle norme di sicurezza.
Il primo ministro polacco Donald Tusk, da parte sua, ha dichiarato in una conferenza stampa che «non c’è motivo di supporre» che dietro l’esplosione di ieri ci sia «qualche forza esterna».
Mentre noi ci ricordiamo che «a pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca» ©. Anche perché ormai sappiamo quasi con certezza che proprio a partire dal 2021 sono iniziati, di fatto, dei sabotaggi nei siti della industria bellica esteuropea (e i sabotaggi, come immaginate, andrebbero mascherati).
Tutto questo significa che non andrebbero prodotti e forniti dei materiali bellici per l’Ucraina? No, proprio al contrario! Infatti, certi incidenti mostrano, ancora una volta, come è il nemico.
Il canale televisivo britannico Sky News comunica che ieri un aereo militare ucraino ha per la prima volta colpito, in un modo mirato, un obiettivo in territorio russo. Secondo la fonte di Sky News, sarebbe stato colpito un posto di comando nella regione di Belgorod. Non è ancora chiaro che tipo di munizioni siano state utilizzate nell’attacco, né se si tratti di armi occidentali (l’uso delle quali è stato finalmente in parte autorizzato).
Ma, dato che l’analisi dei danni sarà eseguita dalle autorità russe – quelle capaci di trovare sul posto qualsiasi cosa, anche le impronte digitali di Zeus –, per noi sarà un po’ difficile sapere con certezza (per ora, solo per ora!) quali armi siano realmente usate. Di conseguenza, possiamo compiere un passaggio logico accessibile anche alla mente di un non-esperto militare. Possiamo constatare un effetto positivo inatteso della autorizzazione di colpire il territorio russo con le armi di produzione occidentali: l’esercito ucraino, evidentemente, si sente meno costretto a risparmiare «le altre» armi precedentemente utilizzate solo sul suo territorio. Perché, evidentemente, le armi sono a volte «interscambiabili».
Boh, vedremo…