Comunque, in tutti i video dell’attentato al premier slovacco Rober Fico pi di tutte mi ha impressionato una cosa particolare…
La «prontezza» delle guardie del corpo, che si sono «svegliate» quando tutto era già avvenuto… Anzi, alcuni si sono svegliati quando il premier ferito era già stato caricato sulla macchina.
In base a quali criteri saranno stati assunti? Boh…
L’archivio della rubrica «Nel mondo»
Nei giorni scorsi ho notato che in Italia si scrive e si parla delle proteste georgiane contro l’approvazione di una legge di fatto copiata da una analoga legge russa, ma, allo stesso tempo, non si comprende del tutto la portata del problema (non la comprendono nemmeno alcuni politici più o meno noti che a sorpresa hanno deciso di candidarsi alle elezioni europee, qualcuno di voi sa chi intendo).
Quella nuova legge georgiana permette non di «identificare gli agenti che perseguono gli interessi di potenze straniere» (come sostiene il partito filo-russo), ma di etichettare le organizzazioni sgradite con un nome dispregiativo e, di conseguenza, di ostacolare il loro normale funzionamento. L’identificazione, infatti, si poteva fare anche prima: attraverso l’analisi del loro operato pubblico o della documentazione che da decenni sono tenute per legge a redigere e pubblicare con una certa periodicità (come in tutti gli Stati normali). Per il semplice motivo finanziario – come si fa a ricevere, in mondo globale, i soldi dal territorio di uno solo Stato? – la legge propone di assegnare a molte organizzazioni una etichetta «agente estero» che nella mentalità sovietica e post-sovietica equivale a «spia». In Russia, ormai da anni, quella etichetta viene applicata non per i semplici motivi finanziari, ma quelli puramente politici. La Georgia si trova ora all’inizio di un percorso che ha la stessa destinazione…
Per iniziare a capire qualcosa delle proteste georgiane contro la nuova legge che avvicina la Georgia più al modello russo che a quello europeo, potete leggere, per esempio, l’articolo che ho selezionato per questo vostro sabato.
P.S.: il fatto che i georgiani giovani, istruiti e informati hanno paura della Russia mi rattrista e rallegra allo stesso tempo…
Molto probabilmente in questi giorni avete già letto che per la propria prima visita all’estero il nuovo Presidente russo ha scelto la Cina: è partito il mercoledì 15 maggio – appena otto giorni dopo l’insediamento ufficiale – per fare due giorni di incontri (il 16 e il 17 maggio). Si è fatto accompagnare da alcuni ministri, la presidente della Banca centrale russa e alcuni imprenditori più ricchi. Non conosco i motivi reali di tale visita, ma immagino facilmente che abbia rispettato la vecchia (e di portata mondiale) tradizione di fare la prima visita ufficiale in uno degli Stati più importanti per la propria politica internazionale.
Ufficialmente la Cina viene ancora presentata dalla propaganda russa come il «partner principale della Russia», ma solo una persona che non sa un cazius della Cina può credere alle dichiarazioni del genere. La Cina fa gli interessi propri (come ogni altro Stato del nostro pianeta), è caratterizzata da una mentalità molto «isolazionista» (secondo la quale esisterebbe essa e poi il resto del mondo considerato come una periferia irrilevante) e non è particolarmente interessata al piccolo mercato russo (molto più piccolo di quello europeo o americano). Gli unici due aspetti che potrebbero interessare la Cina in Russia sono le risorse naturali (che ora si possono comprare a prezzi più bassi perché la Russia non sa in che modo farli arrivare sul mercato globale) e la via di passaggio per le merci verso i mercati occidentali.
Lo Stato russo, da parte sua, spera di ottenere dalla Cina, per esempio, le tecnologie (di fabbricazione cinese o quelle occidentali in contrabbando) necessarie per l’industria, non solo quella strettamente bellica.
Di conseguenza, il «nuovo» presidente russo è andato in Cina con tutta la sua corte per dimostrare di continuare a essere un partner commerciale seriamente interessato e strappare qualche nuovo accordo. In sostanza, ci è andato per chiedere qualcosa in cambio di quello che la Cina sa già di poter ottenere. In realtà, non è proprio la posizione di un partner…
Ma la cosa più divertente del primo giorno della visita è una dichiarazione congiunta di Russia e Cina, in base alla quale la Russia e la Cina «si oppongono al „prolungamento“ della guerra in Ucraina e ritengono che non debba entrare in una „fase incontrollata“». È divertente perché tecnicamente Putin può finire la guerra con la sola decisione propria in qualsiasi momento, mentre politicamente non sa come farlo: perderebbe la possibilità di fare o non fare qualsiasi cosa in Russia con la giustificazione della guerra in corso; avrebbe anche la necessità di fare qualcosa con centinaia di migliaia di persone tornate (con le armi e le abitudini poco vivili) dalla guerra verso una vita quotidiana monotona e gli stipendi bassi. È divertente anche perché la fine della guerra potrebbe essere fortemente voluta dalla Cina, alla quale conviene un mondo prevedibile con l’economia crescente.
Di conseguenza, possiamo ipotizzare da chi dei due sia stata voluta quella «dichiarazione comune».
I possibili motivi dell’attentato di ieri al premier slovacco Robert Fico sono infiniti, ma, data la sua vicinanza ideologia al «putinismo», mi è venuto spontaneo pensare prima di tutto all’azione di una persona particolarmente infastidita dalla prospettiva di vivere in uno Stato-sponsor della guerra. Perché, infatti, più si è territorialmente vicini alla Russia, e più si percepiscono i pericoli della guerra (con tutte le possibili emozioni e/o i ricordi del passato).
I motivi dell’attentato potrebbero essere quelli, ma potrebbero anche essere diversi; Robert Fico è un personaggio che mi è per nulla simpatico (almeno, in base quelle informazioni non particolarmente approfondite che ho su di lui). Ma, nonostante tutte questo, auguro la morte (anche a causa di un attentato) solo a un politico di questo mondo (e so che non è una cosa bellissima). A tutti gli altri politici auguro di essere affrontati e sconfitti in un modo pacifico; ai cittadini dei loro Stati auguro di evitare i sentimenti e il clima dell’oddio. Quell’oddio che, per esempio, determina e rende possibili le azioni di Putin.
Leggendo le notizie di cronaca – in generale o negli ultimi giorni – sull’andamento della guerra in Ucraina, si potrebbe avere l’impressione che l’esercito russo stia avanzando o, addirittura, lentamente vincendo. Effettivamente, la propaganda putiniana riporta costantemente nuove «vittorie» sul fronte: quanto è stato distrutto, bruciato, o catturato… La parte ucraina, da parte sua, comunica costantemente dei problemi sul fronte: ci manca questo e quello, non abbiamo abbastanza di quella cosa, siamo costretti a rispondere a dieci lanci con uno solo… I due tipi di comunicati letti insieme fanno pensare, appunto, che all’esercito russo stia andando meglio. Mentre in realtà bisognerebbe rendersi conto del fatto che le ragioni di quei due comunicati sono opposte.
I vertici militari putiniani sono costretti a mentire costantemente e a decuplicare le perdite ucraine. Mandano migliaia e migliaia di soldati russi a morte certa solo per avanzare di qualche centinaio di metri (come faceva l’Armata rossa durante la Seconda guerra mondiale). Ma le «conquiste» del genere non fanno altro che creare un’apparenza. Procedendo in questo modo, l’esercito russo sta perdendo la guerra perché consuma tutte le sue forze contro la difesa ucraina. Ma i generali russi non lo possono ammettere perché devono mostrare dei risultati a Putin.
Allo stesso tempo, le continue dichiarazioni della parte ucraina sulla mancanza di tutto il materiale bellico sul fronte sono veritiere, ma anche dirette prima di tutto all’Occidente: dateci armi al più presto, stiamo resistendo con le nostre ultime forze. E questa è una strategia molto corretta: niente è troppo per un Paese in guerra. Dateci di più: abbiamo bisogno di milioni di proiettili, abbiamo bisogno di milioni di droni, dove sono i Patriot, gli ATACMS e gli F-16?
Dal punto di vista strategico, si può dire con sempre più certezza la Russia sta perdendo questa guerra. L’Ucraina è riuscita a sopravvivere anche con forniture minime di armi occidentali. E ora lo Stato putiniano non ha alcuna possibilità di vincere.
Il consiglio del 16° arrondissement di Parigi ha votato all’unanimità a favore della iniziativa dal senatore Francis Spiner (capo del 16° distretto fino al 2023) di intitolare una via a Alexey Navalny (lʼavenue Alexeï Navalny).
Si dice che si tratterrebbe dell’avenue Chantemesse, vicino alla quale si trova l’Ambasciata russa. Si vede chiaramente manifestarsi e diffondersi una tradizione nata quasi nove anni fa, quando in varie capitali occidentali, vicino alle ambasciate russe hanno iniziato a dedicare diverse piazze e vie a un altro oppositore russo ucciso da Putin: Boris Nemtsov. Per me non solo è una tradizione bella, ma è anche un modo giusto di prendere un po’ in giro Putin… Ma, allo stesso tempo, spero che non ci siano altre occasioni per continuarla!
Lo avrete letto anche voi: secondo La Repubblica, la NATO avrebbe fissato almeno due «linee rosse» al superamento delle quali l’Alleanza potrebbe intervenire direttamente nella guerra in Ucraina. La prima «linea rossa» sarà superata se la Russia dovesse sfondare la linea di difesa dell’Ucraina a nord-ovest e uno terzo Stato (la Bielorussia) dovesse unirsi alla guerra. La seconda «linea rossa» è una possibile provocazione militare russa contro gli Stati baltici, la Polonia o un attacco alla Moldavia: questo potrebbe includere un attacco militare per testare la reazione dell’Occidente, ma non una vera e propria invasione di questi Paesi.
Non so quanto corrisponda alla realtà la suddetta «notizia», ma proviamo a immaginare che sia totalmente reale. Allora ne possiamo dedurre almeno due cose che sono in linea con gli eventi degli ultimi 26 mesi:
1) per ora la NATO non intende fare alcunché e spera di continuare ad andare avanti in questo modo (di conseguenza, Zelensky deve continuare a fare il «mendicante» di aiuti militari in giro per il mondo);
2) le suddette due linee rosse sono formulate in un modo da non sembrare delle leggi della natura (possono essere considerate superate in base a dei criteri non molto precisi).
Insomma: nulla di nuovo, nulla di sconvolgente. «Putin vai piano, altrimenti mi alzo»…
L’argomento dell’articolo che vi segnalo questo sabato sembra appartenere a una epoca finita ormai decenni fa. Probabilmente, lo potrebbe sembrare non solo l’argomento, ma pure diversi dettagli della storia concreta descritta. Mentre in realtà si tratta degli eventi a noi contemporanei, verificatisi proprio negli ultimi anni.
In sostanza, una coppia di russi si trasferisce, negli anni conclusivi dell’URSS, nell’est dell’Europa (ma ormai quasi più l’Europa che la parte occidentale dell’URSS), si legalizza, si inventa una biografia «pulita», inizia a fingere di essere una coppia di imprenditori/manager e, di fatto, lavora a favore della Russia… Insomma, sembra una classica storia di spie di una volta. Ma, invece, succede tutto nel XIX secolo (e un po’ alla fine del XX).
Come potete ben immaginare, si tratta di una storia descritta dai giornalisti solo perché scoperta e studiata da loro. Ma quante altre storie analoghe non conosciamo ancora?
Il Bild scrive che in Germania gli attivisti radicali di sinistra hanno bruciato, nella notte del 30 aprile, la casa estiva (se ho capito bene si tratta di una casetta di quel tipo) di Armin Papperger, capo dell’azienda di armi Rheinmetall. L’edificio si trovava a Hermannsburg, nella Bassa Sassonia, nel nord della Germania. I personaggi che hanno rivendicato la responsabilità dell’incendio hanno pubblicato un messaggio in cui si afferma che «Rheinmetall è uno di quelli che traggono profitto dalla modernizzazione degli armamenti dell’esercito tedesco e dalla fornitura delle armi alla Ucraina».
In sostanza, si tratta di uno di quei fenomeni grazie ai quali vediamo chiaramente: alcune persone (in realtà, purtroppo, tante) hanno in testa solo tanta merda fossilizzata al posto dei cosiddetti «principi». Tanti anni fa hanno sentito o letto da qualche parte che la guerra è un a brutta cosa e va evitata a tutti i costi. Ne hanno fatto un principio di vita senza ragionarci sopra, senza nemmeno tentare di vedere o immaginare tutta la complessità e varietà del mondo in cui vivono. E, di conseguenza, danno del mostro / capitalista pronto a tutto / qualsiasi altra stronzata a chi contribuisce (non importa con quali intenzioni personali) alla difesa del debole da una aggressione barbarica. Pensano che il barbaro possa essere fermato con una bandiera della pace? O che si ferma se accontentiamo qualche sua richiesta? Che l’esistenza stessa del barbaro sia una cosa normale? Boh…
Il fatto che tanti anni di pace in Europa hanno prodotto anche dei fenomeni negativi: per esempio, molte persone non comprendono l’importanza e la necessità della difesa attiva dal male, pensano che il non contrasto del male sia la pace.
La polizia ceca ha dichiarato di avere completato le indagini sulle esplosioni nei depositi di munizioni nel villaggio di Vrbětice che, secondo le indagini, sono state effettuate da agenti della Agenzia di spionaggio militare russa (GRU) alla fine del 2014. Lo hanno comunicato la polizia ceca e il Centro nazionale per la lotta alla criminalità organizzata (NCOZ) in una dichiarazione congiunta (potete utilizzare qualche traduttore online per riuscire a leggere tutto il comunicato ufficiale).
Secondo la versione degli investigatori, gli ufficiali del GRU dell’"unità 29155, progettata per effettuare operazioni di sabotaggio all’estero" (probabilmente si fa riferimento all’unità militare del GRU n. 29155) sono stati coinvolti nelle esplosioni ai magazzini militari. I loro nomi non sono stati resi noti nella dichiarazione, ma in precedenza la Repubblica Ceca aveva accusato i presunti ufficiali russi del GRU Alexander Mishkin e Anatoly Chepiga (gli stessi dell’avvelenamento di Salisbury, se ve ne ricordate qualcosa) di essere coinvolti nelle esplosioni di Vrbětice. Le agenzie ritengono che il movente del GRU fosse quello di «impedire la fornitura di armi e munizioni alle regioni in cui l’’esercito russo conduceva le sue operazioni». È stato riferito che le armi immagazzinate nei depositi di Vrbětice dovevano essere inviate in Ucraina.
Cosa possiamo apprendere da questa notizia di livello apparentemente locale? Possiamo apprendere da quanto tempo lo Stato russo preparava una invasione militare seria della Ucraina: immaginava che ci sarebbe stato un sostegno degli Stati europei alla vittima della aggressione e, di conseguenza, cercava di minimizzarne i mezzi. Però, in pratica, in quasi otto anni i lavori di preparazione sono stati abbastanza ridotti in termini quantitativi e, in ogni caso, non hanno permesso di sconfiggere l’Ucraina in pochi giorni.
Ma tutto questo non rende la situazione attuale sul fronte meno difficile.