Alla fine di dicembre dell’anno scorso avevo provato a elencare i principi fondamentali che potrebbero aiutare a scegliere i regali da fare agli altri. Ma a tutti, più o meno di frequente, capita di dover rispondere anche alla domanda «cosa ti regalo per [inserite voi il nome di una qualsiasi festa]?»
Per affrontare una domanda del genere potremmo farci aiutare da almeno due principi utilissimi. Entrambi funzionano solo in presenza della vostra «lista dei desideri» contenente più di una voce.
Il principio № 1. Provate a individuare, tra i vostri desideri, quella cosa che non vi sareste mai decisi di comprare con i soldi propri. Non è necessario che sia una cosa super costosa in termini assoluti. L’importante è che l’idea del suo acquisto faccia venire una paralisi alla mano addetta al portafoglio.
Il principio № 2. Provate a pensare alla persona che vuole farvi un regalo. La psicologia ci insegna che regalando un oggetto costoso le persone sono convinte di fare un regalo di alte qualità, bellezza e, spesso, utilità. Quindi oltre a fare un bel gesto nei vostri confronti, si danno pure una bella soddisfazione a loro stessi. Mentre voi chiedete e ottenete una cosa desiderata. Insomma, è un vantaggio reciproco.
Naturalmente, è possibile tentare di combinare tra loro i due principi. E, sempre naturalmente, bisogna tenere conto delle capacità finanziarie di chi si propone di farvi un regalo.
Qualcuno mi regala il 51% dell’Alphabet Inc.?
L’archivio della rubrica «Feste»
Devo constatare che l’articolo del «Corriere della Sera» sulle festività russe, segnalatomi qualche giorno fa, è un po’ caotico e impreciso. Così, non ho mai incontrato (ma nemmeno sentito nominare) un russo intenzionato a festeggiare il Natale cattolico o l’Epifania del 19 gennaio. Probabilmente perché, nonostante tutte le particolarità che mi sono contraddistinguono, le mie amicizie/conoscenze e le mie letture sono limitate alle persone mentalmente regolari.
Allo stesso tempo, l’articolo solleva due argomenti inerenti alla quotidianità russa che, da una parte, non mi sarebbe mai venuto in mente di raccontare e, dall’altra parte, spesso risultano inconcepibili per i non russi.
Il primo argomento è, effettivamente, il recupero di tutte le festività che per la colpa del calendario nell’anno x coincidono con il fine settimana. Si tratta di una tradizione secondo me un po’ stupida, ma il fatto rimane: se, per esempio, la festa y capita di domenica, il lunedì seguente diventa non lavorativo.
Il secondo argomento, invece, andrebbe a essere precisato ancora meglio. Perché, oltre alle normali ferie di un mese, i lavoratori russi hanno per legge due periodi di vacanze pagate: i primi sette giorni di gennaio (con l’eventuale recupero delle festività) e i primi nove giorni di maggio (fino ai primi 2000, oltre alla Giornata della Vittoria del 9 maggio, per qualche motivo incomprensibile si festeggiava pure il 10 maggio). Ogni periodo delle vacanze, poi, può allungarsi grazie ai finesettimana capitati bene. Si tratta del riposo in aggiunta alle ferie (le quali possono essere prese come e quando ci si mette d’accordo con il proprio datore di lavoro).
Alcuni miei amici e conoscenti italiani, per esempio, non riescono proprio a concepire questo secondo aspetto appena descritto. Eppure provate a immaginare una ipotetica analogia italiana: per esempio, che le chiusure forzate delle aziende italiane ad agosto e poi tra il Natale e l’Epifania andassero ad aggiungersi al mese di ferie da prendere quando si vuole.
In sostanza, in Russia si lavora dieci mesi scarsi all’anno. Ne sono particolarmente scontenti i proprietari e i dirigenti delle aziende private. In sostanza, per due mesi all’anno sono costretti a pagare le persone che non producono e, spesso, rientrano fisicamente affaticate dopo le vacanze altamente alcoliche invernali.
Si dice che negli Stati Uniti aumenta la quantità delle persone che si rifiutano di festeggiare il Columbus Day (il secondo lunedì di ottobre di ogni anno) per protesta contro il genocidio della popolazione locale che accompagnò la colonizzazione del continente. In alcuni Stati, addirittura, lo stesso giorno si festeggia la Giornata delle popolazioni aborigene.
Io continuo a non capire come si possa valutare i fatti accaduti secoli fa con gli standard morali del XXI secolo (molto diversi, se qualcuno non lo sapesse). Ancora meno mi è chiaro il ruolo di Cristoforo Colombo nel genocidio – chiamiamolo pure con questo termine moderno – degli indigeni. Eppure…
Il monumento a Providence:
Il monumento a San Francisco:
Il monumento a Detroit:
Con questa moda di rivalutare tutto, comprese le cose emotivamente ormai nulle per il 99,99% della popolazione terrestre, tra qualche anno sentiremo che Eva è stata violentata da Adamo… Ma per un agnostico come sarà una bella notizia: migliorerà molte teste.
Oggi, il 22 agosto, in Russia si festeggia la Giornata della bandiera russa (ma è comunque un giorno lavorativo). Per l’occasione, il Centro dello studio della opinione pubblica ha condotto una ricerca da risultati curiosi:
solo il 50% degli intervistati ha saputo indicare la sequenza corretta dei colori sulla bandiera russa;
il 73% degli intervistati sa come è fatto lo stemma russo;
solo il 17% degli intervistati conosce la prima riga dell’inno russo.
Il fatto più curioso non è tanto l’alta somiglianza della bandiera russa con quelle del Ducato di Carniola, degli sloveni e della Slovacchia (fino al 1945 e dal 1990 al 1992). La grande curiosità è la mancanza di una definizione chiara precisa della tonalità dei colori della bandiera russa nella rispettiva legge. Di conseguenza, nella vita reale l’aspetto cromatico della bandiera russa varia in base al suo produttore.
L’unica accezione sono le tonalità della bandiera russa sulle targhe automobilistiche: sono definite da uno standard statale. Anche le targhe, però, sono di produzione esclusivamente statale.
Molto probabilmente l’anno in corso è il più adatto per augurare a tutti i miei lettori europei una buona Festa dell’Europa.
Di quella Europa che attualmente viene criticata per ogni genere di male tranne quelli realmente imputabili. Di quella Europa i cui difetti sono accompagnati dai non meno evidenti vantaggi.
Quindi auguro a tutti i lettori con diritto di voto di riuscire a eleggere – il 26 maggio – dei candidati consci del fatto che la popolarità e l’efficienza dell’Europa dipendono, in una buona misura, da due cose:
1) non è necessario regolamentare le cose che non hanno bisogno di essere regolamentate;
2) le tendenze socialiste nel diritto e nell’economia non rappresentano lo sviluppo ma lo bloccano.
Conosco personalmente (anche se poco) un candidato, ma mi sono imposto la regola di non pubblicizzare i politici (anche quelli aspiranti).
P.S.: gli interessati alla Festa della Vittoria russa possono rileggere il mio post sull’argomento del 2017.
Non so come, ma all’epoca mi ero perso la notizia: nel novembre del 2016 il Parlamento del Tagikistan escluse il 1° maggio dalla lista delle giornate festive non lavorative. Si tratta di un caso incredibile e unico nel quale tutto il mondo dovrebbe prendere l’esempio da uno Stato non particolarmente distinto per il benessere dei lavoratori (Tagikistan è una delle fonti principali della manodopera non qualificata a bassissimo costo per la Russia).
Secondo l’ideologia grazie alla diffusione della quale divenne possibile l’esistenza stessa della Festa del lavoro, è proprio nel lavoro che un essere umano si realizza, si forma, si guadagna il proprio posto nella comunità. È una visione della realtà parziale, ma condivisibile. Proprio per questo trovo assolutamente illogico privare le persone del lavoro esattamente nella data in cui esso si festeggia.
Il 1° maggio deve essere sempre e per tutti una giornata lavorativa. Anche quando cade di domenica. Per cazzeggiare (o sognare di poterlo fare) ci sono tutti gli altri giorni dell’anno.
P.S.: in Kazakistan a partire dal 1996 ogni 1° maggio si festeggia non la Festa del lavoro, ma la Festa della unità del popolo di Kazakistan. Il nome della nuova festa è una pesantissima presa in giro politico-sociale, ma ne parlerò, prima o poi, in un testo apposito.
Non so se i miei sentimenti antireligiosi siano più offesi dagli auguri di buona Pasqua ricevuti la settimana scorsa da molti amici e conoscenti europei, l’augurio di buona preparazione alla «Pasqua vera» ricevuto da una conoscente russa sempre la settimana scorsa o gli auguri di buona Pasqua ortodossa ricevuti la settimana in corso da alcuni altri. In ogni caso, è abbastanza curioso che non tutti si siano ancora accorti del mio agnosticismo.
Allo stesso tempo, so che in questo ambito non tutti, purtroppo, sono come me.
Sì, quest’anno la Pasqua ortodossa è capitata una settimana più tardi di quella cattolica: il 28 aprile. Quindi sfrutto l’ultima occasione utile per fare gli auguri a tutti coloro che, appartenendo a una delle due correnti del cristianesimo, attribuiscono anche una importanza minima a tale festa.
Infine, ammetto che di tutte le feste religiose mi piace solo una cosa: il cibo buono e raro. Anzi, due cose: il cibo e la possibilità di mangiarne più del normale.
Nel passato, il digiuno durante i periodi particolari dell’anno e la possibilità di mangiare bene durante feste religiose erano due metodi primitivi (ma proprio per questo comprensibili e convincenti per le masse) di illustrare l’"importanza" della religione alla gente analfabeta, ma oggi noi, per fortuna, siamo messi infinitamente meglio. Mangiamo per mantenere viva la mente razionale.
Il testo del presente post è uno scherzo del 1° aprile molto divertente.
Ora che non ho più questo debito nei confronti della data e della comunità, posso continuare a vivere serenamente per un anno.
Trovo veramente angosciante l’obbligo imposto si essere felici e contenti nelle date prestabilite. La vita è bella quando è spontanea.
P.S.: quando diventerò il Presidente del mondo, autorizzerò tutti a festeggiare qualsiasi cosa in qualsiasi data solo in base alla disponibilità dell’umore adatto.
Care lettrici, auguri a tutte voi.
La felicità brillante che ci date ha l’origine molto più in alto rispetto a quanto vorrebbero farci pensare alcuni…
P.S.: potrei iniziare a fare una collezione delle rappresentazioni «strane» delle donne.