Cari tutti!
Sta per finire un anno che è stato un po’ meno brutto di quello precedente in generale per tutti e, spero, in particolare per ognuno di voi. Sta per finire un anno al quale erano legate delle speranze (forse non tutte avverate) e, forse, qualche preoccupazione (anche quelle non tutte avverate). La fine di un anno del genere potrebbe essere un motivo sufficiente per festeggiare, ma noi viviamo per guardare al futuro. E per trasformare in strumenti tutto ciò che abbiamo acquisto nel passato.
Di conseguenza, potrei scrivere nel modo seguente. Allo stesso tempo, è stato un anno nel corso del quale nelle teste di molte persone si sono sviluppati e affermati dei nuovi processi cognitivi un po’ strani. Io, per esempio, ho iniziato a scomporre la parte visuale del nostro mondo in delle componenti non immaginabili fino a qualche tempo fa… Tra le altre cose, ho avuto la visione dei tradizionali fuochi d’artificio che nascono nel cielo come delle famose sfere cornute del coronavirus, ma poi si trasformano velocemente in qualcosa di bello e poi spariscono…
No, prima di mettermi a scrivere questo testo non avevo ancora bevuto nulla, e nemmeno assunto altre sostanze.
Volevo solo farvi un augurio: che anche ogni apparenza di problema manifestatosi davanti ai vostri occhi si trasformi in qualcosa di grande ma bello. Spero che presto succeda così anche con questa pandemia.
Buon 2022.
Andrà tutto bene.
P.S.: e ricordatevi che i desideri migliori per l’anno nuovo sono quelli la cui realizzazione dipende, almeno in parte, da noi.
L’archivio della rubrica «Feste»
A tutte le persone poco esperte della lingua inglese ricordo che il 2022 – l’anno che sta per arrivare – si pronuncia come «2020 too».
Siete felici di apprendere questa informazione, vero?
Allora colgo l’occasione per farvi gli auguri in anticipo, ahahaha
Riprendendo, in un certo modo, l’argomento del Babbo Natale, potrei finalmente scrivere di quel fenomeno che ormai da diversi anni commento nelle conversazioni tematiche con gli amici e conoscenti italiani. Si tratta delle date diverse del Natale cattolico e quello ortodosso.
Più o meno tutti sanno che il Natale ortodosso si festeggia il 7 di gennaio perché la Chiesa ortodossa segue [ancora] il calendario giuliano. Non tutti però sanno che per la Chiesa ortodossa la data della suddetta festività è fissa: infatti, nel corso dei secoli si è progressivamente spostata dal 23 dicembre al 7 gennaio dell’anno solare successivo. E, soprattutto, il processo dello spostamento della data non si dovrebbe fermare fino al momento della scomparsa del nostro sistema solare. Così, per esempio, a partire dal 2101 il Natale ortodosso si festeggerà l’8 di gennaio.
Il fenomeno dello spostamento della data è dovuto al fatto che il calendario giuliano — che è elevato al rango di un dogma e non può essere cambiato — considererà, a differenza del calendario gregoriano (quello seguito dalla Chiesa cattolica), l’anno 2100 come bisestile perché il suo numero si divide per 4. Secondo il calendario gregoriano, invece, l’anno 2100 non è bisestile perché il suo numero non si divide perfettamente per 400. Di conseguenza, nel calendario giuliano (quello ortodosso) compare un giorno «di troppo»: il 29 febbraio 2100 (che non può essere buttato via per una serie di motivi, la commemorazione di alcuni santi compresa). Questo comporta lo spostamento della data del primo Natale seguente al 29/II 2100 dal 7 all’8 di gennaio 2101. Sempre dalla data del 29 febbraio 2100 la differenza tra i calendari delle due Chiese sarà di 14 giorni e non più di 13.
Naturalmente, non è la prima volta che una cosa del genere si verifica in oltre due mila anni di storia. Quindi vi propongo una tabella che mostra come è cambiata la differenza in giorni tra il calendario giuliano e quello gregoriano. In sostanza, questa tabella mostra, secolo per secolo, quanti giorni vanno aggiunti al 25 dicembre per stabilire la data del Natale ortodosso in vigore per il secolo scelto.
Il secolo | I periodi (in anni) del calendario giuliano | La differenza in giorni | Il secolo | I periodi (in anni) del calendario giuliano | La differenza in giorni | ||
dal 1/III | al 29/II | dal 1/III | al 29/II | ||||
I | 1 | 100 | –2 | XII | 1100 | 1200 | 7 |
II | 100 | 200 | –1 | XIII | 1200 | 1300 | 7 |
III | 200 | 300 | 0 | XIV | 1300 | 1400 | 8 |
IV | 300 | 400 | 1 | XV | 1400 | 1500 | 9 |
V | 400 | 500 | 1 | XVI | 1500 | 1600 | 10 |
VI | 500 | 600 | 2 | XVII | 1600 | 1700 | 10 |
VII | 600 | 700 | 3 | XVIII | 1700 | 1800 | 11 |
VIII | 700 | 800 | 4 | XIX | 1800 | 1900 | 12 |
IX | 800 | 900 | 4 | XX | 1900 | 2000 | 13 |
X | 900 | 1000 | 5 | XXI | 2000 | 2100 | 13 |
XI | 1000 | 1100 | 6 | XXII | 2100 | 2200 | 14 |
Ovviamente, il cambiamento della differenza tra i due calendari comporterà — come ha comportato anche nel passato — lo spostamento anche di tutte le altre festività ortodosse.
La differenza tra i due calendari appare spesso una cosa bizzarra, scomoda, poco sensata etc. Entrambi i calendari, però, sono accumunati da un medesimo problema di logica: se nell’Occidente gli anni si contano dalla nascita di Gesù, perché la data della sua nascita è sempre diversa dalla data dell’inizio dell’anno? Perché secondo il calendario gregoriano l’anno inizia sei giorni più tardi e secondo quello giuliano sette (per ora) giorni prima?
Certo, nemmeno i teologi sono d’accordo tra loro sulla data precisa della nascita di Gesù: sanno solo che sarebbe nato verso la metà dell’inverno. Ma tale incertezza sarebbe un bel motivo aggiuntivo per abbandonare entrambi i calendari (gregoriano e giuliano) e passare a un calendario comune, nel quale la data del Natale sarà fissata per il 31 dicembre. Sarebbe una grande vittoria della logica.
Ma, purtroppo, l’eventualità di un largo consenso tra i rappresentanti dei gruppi concorrenti è un sogno tanto idillico quanto l’attesa delle azioni logiche intraprese da una qualsiasi Chiesa.
All’inizio di dicembre il vescovo siciliano Antonio Staglianò ha ingannato un gruppo di bambini in un modo particolarmente disgustoso… No, non ha raccontato a loro una di quelle frottole che è tenuto a raccontare quotidianamente in virtù della propria professione (anche se avrebbe potuto fare qualcosa di più utile nella vita). No, nemmeno l’affermazione «Babbo Natale non esiste» è così grave (anche se avrebbe fatto meglio ad ammettere qualche altra inesistenza).
Purtroppo, ha diffuso una affermazione sbagliata che rimarrà nelle teste dei suoi ascoltatori anche quando smetteranno di credere nella esistenza di tutte le creature fantastiche. Ebbene, non è vero che «il rosso del vestito che indossa [il Babbo Natale] è stato scelto dalla Coca-Cola esclusivamente per fini pubblicitari» (cit.). In realtà il Santa Claus, il Babbo Natale e tanti loro colleghi avevano i vestiti rossi anche prima della invenzione della suddetta pubblicità. Anzi, molti di loro li avevano anche prima della invenzione della bevanda stessa. La Coca-Cola ha solo preso una figura già ben riconoscibile e, grazie alla propria popolarità mondiale, ha trasformato in uno standard mondiale alcuni aspetti estetici dell’immagine del personaggio. L’unica caratteristica distintiva del Santa Claus inventato dalla Coca-Cola sono le sopracciglia nere: nessun altro grafico (o rappresentante di qualche altra professione), raffigurando il personaggio, ha voluto copiare quel dettaglio.
Se non volete fare una figuraccia da vescovo, rileggete pure la mia breve «Storia dei Babbi»: diventerete molto più informati sull’aspetto fisico, sulle abitudini e sui doveri professionali del Babbo Natale e dei suoi colleghi esteri che si impegnano onestamente per il bene di tutti: bambini ed ex-bambini.
Buon Natale a tutti coloro che ci credono.
Tanti regali a tutti coloro che non ci credono ma approfittano comunque delle utili tradizioni.
Ma, comunque sia la vostra categoria di appartenenza, siate moderati durante queste giornate intense (e che vi rimangano solo dei ricordi positivi di questo periodo di festeggiamenti).
E spero che almeno per alcuni questo Natale sia più allegro di quello precedente:)
Il sito russo Habr (specializzato nell’offrire lo spazio per le discussioni in materia delle tecnologie dell’informazione e dell’internet) ormai da dieci anni organizza, ogni dicembre, un evento curioso: il «Ded Moroz anonimo». Tale evento consiste nello scambio di regali di Capodanno tra gli utenti del sito registrati. Ogni utente interessato a partecipare all’evento indica in una apposita form i propri nome reale e indirizzo postale, riceve i dati analoghi di un altro utente partecipante scelto a caso dal sistema (per inviare un regalo), sceglie e invia un regalo, e poi aspetta di ricevere un regalo da qualche altro utente (per il quale è stato scelto dal sistema). In questo modo tutti i partecipanti diventano degli autori di regali anonimi: infatti, non sanno da chi arriverà il regalo e, nella schiacciante maggioranza dei casi, non conoscono personalmente la persona alla quale hanno inviato il proprio regalo (e viceversa). Ogni autore di un regalo può sperare di indovinare il regalo o provare, furbamente, a cercare su internet il nome del destinatario assegnatogli per scoprire, eventualmente, i suoi interessi.
[A questo punto ricordo che in Russia i regali si fanno per il Capodanno invece che per il Natale; il personaggio folcloristico che porta i regali si chiama Ded Moroz (Babbo Gelo).]
L’idea di Ded Moroz anonimo mi sembra bella e simpatica, quindi mi dispiace un po’ che non esista anche in Italia: ricevere qualche regalo in più (ma pure farlo) è sempre positivo. Ma allo stesso tempo capisco che non tutti sarebbero disposti ad affrontare le difficoltà legali in materia di privacy, le quali sorgono ogni qualvolta ci si trova davanti alla necessità di raccogliere e gestire le informazioni personali (in questo caso indirizzi e nomi).
Spero che prima o poi gli amministratori di qualche sito famoso a livello occidentale trovino il modo di organizzare una cosa del genere.
Sul mio telefono si sono accumulate un po’ di foto del centro di Milano che viene preparato per il periodo natalizio del 2021. Quindi è giunta l’ora di pubblicarne qualcuna assieme alle rispettive osservazioni: prima che queste ultime diventino obsolete.
In primo luogo, non posso non esprimere la mia soddisfazione per il fatto che si sia finalmente tornati a un albero tradizionale. Complimenti al Comun e allo sponsor per avere compreso che il limite massimo delle anomalie durante le festività invernali sia già stato ampiamente superato l’anno scorso.
Altrettanto bello è rivedere, al solito lato della piazza Duomo, il tradizionale Tempio del distanziamento sociale: Continuare la lettura di questo post »
Suppongo che pochi miei lettori abbiano un motivo valido per saperlo o ricordarlo, ma il primo sabato di settembre di ogni anno si celebra la Giornata mondiale della barba. L’opportunità e il modo di festeggiare saranno sicuramente descritti dai proprietari e dipendenti dei vari barber shop sparsi per il mondo, mentre io ho una missione ancora più nobile.
Oggi vi informo di alcuni fatti da sapere necessariamente sulla pelosità facciale.
Comincerei dalla questione fondamentale: è normale portare la barba? Beh, direi di sì: la testa – tutta! – è una delle poche zone del corpo dove l’evoluzione millenaria per qualche motivo ci ha lasciato il pelo. Negli anni che rientrano nel periodo della vita di un essere umano o della memoria di una civiltà cambia solo la moda, mentre la presenza della barba sulla faccia di un uomo rimane normale quanto la quantità degli occhi pari a due.
N.B.: nei primi mesi dell’anno scorso mi è capitato più volte di sentire e leggere dei dubbi circa la pericolosità della barba in qualità di un vivaio (o, se preferite, raccoglitore) del coronavirus. Ebbene, ora, come all’epoca, penso che quei dubbi abbiano una fondatezza infinitamente bassa. Se la barba fosse un luogo di residenza delle malattie, la già citata evoluzione non avrebbe permesso ai barbuti di sopravvivere fino ai giorni nostri. In sostanza, la selezione naturale ha già risposto meglio di tutti i testi del mondo.
In secondo luogo, farei notare a tutti i lettori che la presenza della barba sulla faccia fa risparmiare al suo proprietario un sacco di tempo ogni mattina: pettinarla è molto più semplice e veloce che rasarla (ma anche di accorciarla).
In terzo luogo, dovrei sfatare un vecchio mito: la capacità della barba e dei baffi di tenere il caldo è leggermente sopravalutata. La barba tiene il caldo non più dei capelli presenti sulla parte superiore della testa umana. Chi si taglia la barba e/o i baffi dopo averli portati per più anni, sente un po’ di freschezza sulla faccia nelle ore immediatamente successive, ma poi si abitua a essere parzialmente «nudo» e non ci pensa più.
La quarta cosa che vorrei scrivere proprio oggi è un avviso importantissimo: temete le persone che attribuiscono le forme strane (non naturali) alla barba e ai baffi. Nel migliore dei casi si tratta delle persone che soffrono una pluralità di complessi. Nel peggiore dei casi si tratta di pazzi. Ora siete mezzo salvati.
P.S.: un paio di volte nella vita ho dovuto affrontare la strana domanda «posso toccarti la barba?» Ecco, con delle rarissime eccezioni è domanda che fa pensare/sospettare male.
L’assegnazione dello status di una festa federale al Juneteenth National Independence Day è, probabilmente, la prima mossa completamente sensata sulla strada imposta dal tristemente noto BLM. Perché in una certa misura riguarda entrambe le parti interessate, e non esalta, come in certi altri Stati che forse conoscete, la vittoria di una parte della popolazione sui propri co-cittadini. Assieme alla libertà personale concessa a molti, infatti, l’abolizione della schiavitù aveva anche liberato molte persone dall’esercizio di un potere poco compatibile con la società moderna.
Quindi gli interessati possono dedicare il sabato allo studio del buon esempio statunitense e tentare di diventare altrettanto intelligenti.
Un giorno diventerò il Capo di uno Stato, ma non so ancora di quale (non escludo l’opzione di fondarne uno appositamente per me). So di certo, però, che una delle mie prime azioni sarà quella di imporre una importantissima modifica costituzionale. Addirittura, ho già preparato il testo:
La Repubblica X è fondata sul lavoro, quindi ognuno è libero di lavorare 24 ore su 24, 7 giorni su 7, senza ferie, festivi, ponti e mezzegiornate.
Quando la maggioranza dei miei sudditi comprenderà il vero senso della sopracitata legge costituzionale, lo Stato da me diretto diventerà l’economia più forte del mondo. Ma, considerando la quantità di scarafaggi colorati che abitano i cervelli degli occidentali, suppongo che mi tocca a diventare il Presidente della Cina o del Singapore: da quelle parti hanno già capito tutto.
In più, insisto sulla mia vecchia idea che il 1° maggio debba essere sempre una giornata lavorativa, anche quando cade di domenica. E, magari, pure con dei carichi lavorativi più pesanti del solito. Altrimenti che Festa del Lavoro è? Il 1° maggio festivo è un ossimoro, non una festa.
La sera del 1° maggio, poi, usciti stanchi morti dal lavoro, tutti i lavoratori propensi a manifestare in piazza per i propri diritti dovrebbero sostenere ad alta voce la mia proposta di legge esposta poco sopra. Perché il riposo obbligatorio non sarà mai tanto bello quanto quello fatto per scelta propria. E penso che nel corso dell’ultimo anno lo abbiano già capito in molti.
Buon 1° maggio a tutti.