A giudicare da quello che ho letto, la parata militare svoltasi ieri a Mosca – nell’occasione del «Giorno della Vittoria» – è stato un evento noiosissimo in tutti i sensi.
Vladimir Putin ha pronunciato il solito discorso senza senso in base al quale l’URSS avrebbe salvato da sola l’intera umanità nella Seconda guerra mondiale, ora la Russia si troverebbe a difendersi dai nemici che vorrebbero smembrarla, l’Occidente starebbe diffondendo il nazionalismo aggressivo etc. etc..
A Mosca si sono presentati i leader di sette Stati che attualmente dipendono ancora dalla Russia economicamente e, in alcuni casi, in termini della sicurezza fisica.
La componente militare della parata è stata molto ridotta: meno uomini (i giornalisti dicono che la tendenza alla riduzione si osserva dal 2020), niente aerei (pare, a causa del famoso «attacco» dei droni contro il Cremino) e appena tre carri armati (tutti T-34-85 prodotti negli anni ’50).
Beh, i carri armati si possono anche spiegare: durante le parate di solito viene mostrata l’attuale potenza militare dello Stato, mentre noi sappiamo che la Russia sta attualmente mandando a combattere in Ucraina proprio i carri armati degli anni ’50 e ’60. Di conseguenza, la comparsa di quei rottami sulla Piazza Rossa è assolutamente logica.
Mentre l’unico aspetto interessante – anche se piccolo – è il passaggio dei 530 militari che hanno combattuto in Ucraina nel corso della guerra attuale. Per me è una nuova conferma del fatto che festeggiare la guerra è per Putin più importante di festeggiare la fine della Seconda guerra mondiale, ma lo avevo già scritto ieri.
Insomma, niente di interessante.
L’archivio della rubrica «Feste»
Ieri Vladimir Zelensky ha presentato al Parlamento ucraino un progetto di legge che stabilisce la celebrazione della Giornata della memoria e della vittoria sul nazismo nella Seconda guerra mondiale l’8 maggio (invece del 9 maggio sovietico/russo). Ha inoltre dichiarato – con un decreto presidenziale – il 9 maggio Giornata dell’Europa in Ucraina (come nell’UE).
Almeno la prima delle due azioni sarebbe stata molto logica anche senza la guerra che stiamo osservando ora: una data festiva comparsa sul calendario solo per la mania di grandezza di Stalin già in partenza c’entrava poco con la vittoria sul nazismo e con la memoria di tutte le vittime della Seconda guerra mondiale. Nell’epoca putiniana, poi, il 9 maggio si è progressivamente trasformato in una festa del militarismo e della riscrittura della storia del XX secolo. L’aspetto del militarismo si manifesta non solo nella esibizione faraonica degli armamenti sulla Piazza Rossa, ma anche nella imposizione del culto della guerra tra la popolazione russa. Quel culto che all’inizio di maggio di ogni anno assume le sue forme visive peggiori: a volte un po’ imbarazzanti…
… e a volte decisamente ripugnanti…
… mentre nel resto dell’anno si infiltra nella cultura e nella quotidianità (ok, non sono sempre due cose separate) con il continuo parlare dei soli aspetti militari della data. A me sembra una primitivizzazione un po’ brutta della storia.
La riscrittura della storia – il secondo aspetto che caratterizza il 9 maggio putiniano – si manifesta, fondamentalmente, in due concetti pubblicamente trasmessi: 1) l’URSS avrebbe vinto la Seconda guerra mondiale da sola, senza alcun aiuto; 2) l’URSS non avrebbe avuto degli alleati nella Seconda guerra mondiale (questo secondo concetto è relativamente nuovo, ancora in fase di formazione/formulazione, che sta parzialmente sostituendo il primo).
Tale trasformazione della festa del 9 maggio è in una buona misura dovuta al progressivo isolamento di Vladimir Putin nella politica internazionale e, a un certo punto, si è trasformata in una delle cause dell’isolamento stesso. Partendo dall’idea di non avere degli alleati nell’Occidente, è arrivato alla convinzione di avere solo (o quasi) nemici. Girandosi a 180°, ha trasformato la festa della fine della guerra in una festa dell’inizio della guerra. Ma non ha ancora cambiato il nome della festa: non ha fatto in tempo oppure si è dimenticato.
Vladimir Zelensky, che vede e capisce queste cose meglio della maggioranza di noi, ha dunque fatto benissimo a cambiare le date.
Essendo un apateista, non riesco a capire se l’autore del testo riportato di seguito stia cercando di convincere una divinità della sua esistenza oppure praticando una forma di autoterapia psicologica…
In entrambi i casi sarebbe troppo facile ipotizzare che si tratti di una forma della schizofrenia: la logica mi suggerisce che si tratta invece di una evidente debolezza della fede. Ma forse è meglio così: la fede è, a sua volta, una forma di debolezza di fronte a un mondo complesso (la cui comprensione richiede un certo sforzo mentale), quindi andrebbe indebolita fino a essere eliminata.
Che passaggio quasi filosofico…
P.S.: la targa della foto si trova sulla facciata della chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta a Camerata Cornello.
Nel 1973 gli Stati arabi annunciarono l’interruzione delle forniture di petrolio all’Occidente in risposta al sostegno di quest’ultimo all’Israele nella guerra dello Yom Kippur… No, non volevo cercare o inventare delle analogie storiche recenti più o meno deboli. Volevo solo scrivere dei fatti del 1973: in conseguenza alla decisione araba il prezzo del petrolio quadruplicò, passando dai tre ai dodici dollari al barile. La «crisi del petrolio» ebbe una serie di conseguenze inattese: le piccole auto giapponesi iniziarono a vendere bene negli USA, l’URSS aumentò drasticamente le forniture del petrolio all’Europa (questa fortuna economica è stata buttata nel cesso quasi cinquant’anni dopo), gli americani crearono la Strategie Petrolium Reserve, la Francia iniziò a costruire rapidamente le centrali nucleari etc….
Nella Casa Bianca fino a quel momento vigeva il divieto per le donne lavoratrici di indossare i pantaloni: erano ammesse solo le gonne. Ma dato che a causa della crisi energetica la temperatura nell’edificio era stata abbassata di qualche grado, il divieto era stato cancellato. Proprio grazie agli arabi!
Approfittando della data odierna, auguro a tutte le lettrici di trovare tanta fortuna anche nelle situazioni quotidiane più difficili.
Non so se anche in Italia sia mai esistita una credenza del genere, ma in Russia è largamente diffusa la convinzione che non si debba festeggiare il compimento dei 40 anni.
Perché? Nessuno lo sa dire di preciso, ma in tantissimi sono convinti che non si debba fare.
Alcuni danno una risposta laconica: «è una tradizione» («del cazzo», aggiungo io).
Alcuni danno una risposta altrettanto stupida: «porta sfiga» (perché? a chi? boh…).
Ma i più malati mentalmente sostengono che alla base della usanza di non festeggiare i 40 anni ci siano dei motivi religiosi. Infatti, il numero 40 avrebbe un valore particolare per i cristiani (solo ortodossi? boh…):
– il diluvio universale sarebbe durato 40 giorni;
– il popolo ebraico sarebbe vagato nel deserto del Sinai per 40 anni;
– il cosiddetto Gesù avrebbe digiunato nel deserto per 40 giorni dopo il battesimo;
– sempre il cosiddetto Gesù sarebbe decollato definitivamente 40 giorni dopo la morte.
In conseguenza a questi eventi fiabeschi, alcune persone si sono convinte che il numero 40 sarebbe fortemente legato alla morte e alla sofferenza. Non sarebbe dunque opportuno festeggiare tale quantità dei propri anni.
Come posso reagire io, uno apateista eterno, a tutte le stronzate elencate? Pur essendo totalmente indifferente al concetto stesso dei compleanni, posso provare a festeggiare il primo quarantennio.
La ragione vincerà.
Non è mai tardi ricordare: ieri c’è stato un anniversario bellissimo, un giorno di gioia per milioni di persone… Ieri, secondo la cronologia ufficiale, c’è stato il settantesimo anniversario della morte di Stalin. Io, personalmente, non smetterò di considerare il 5 marzo un giorno festivo.
Allo stesso tempo, però, capisco che attualmente per milioni di persone in tutto il mondo è molto più importante, interessante e attesa una morte futura. La morte di un personaggio che, per uno «scherzo della storia», si trova torturare lo stesso territorio del nostro pianeta. Lo capisco e, tra le innumerevoli altre cose, mi chiedo: ci saranno delle manifestazioni simili a quella della famosa foto riportata sotto a sinistra?
Da una parte, il borsht è formalmente una zuppa ucraina (molto popolare anche in Russia, a me è sempre piaciuta tanto) e più o meno tutti hanno ormai imparato a distinguere la Russia e l’Ucraina (ne avevo scritto pure venerdì). Dall’altra parte, utilizzare il borsht per i festeggiamenti nell’occasione della inevitabile – lo dice la biologia! – morte del nuovo dittatore sarà una scelta ancora più simbolica e bella.
Dunque, vi consiglierei di prepararvi. Proporvi di imparare a prepararla è una cosa un po’ estrema: per farla bene ci vuole abbastanza impegno. Ma potete cercare il modo assaggiarla da qualche parte. Molto probabilmente vi sembrerà abbastanza particolare, molto probabilmente non piacerà a tutti… Ma almeno vi preparate al grande evento, ahahahaha
Per alcuni anni sul mio blog italiano c’è stata anche la tradizione di postare, in qualità di uno dei primi video domenicali dell’anno, il messaggio di auguri per il nuovo anno di Vladimir Putin: quel breve discorso che viene trasmesso pochi minuti prima del Capodanno. L’ho sempre fatto perché ho sempre pensato che non è possibile analizzare (e criticare) un personaggio senza sapere (e far sapere) cosa fa e cosa dice.
Per questa volta, però, ho pensato di interrompere la tradizione… Interromperla non solo perché è abbastanza difficile immaginare le parole che possano aggiungere qualcosa di rilevante ai fatti compiuti. Ho pensato di interrompere la tradizione anche perché io stesso – un tipo dotato di buoni filtri mentali – ho dovuto fare uno sforzo morale enorme per provare ad ascoltare il messaggio per il 2023. Chi ha lo stesso coraggio, può provare a leggere la traduzione di quel discorso e apprezzare l’inquadratura: il discorso è il più politico di sempre (e in linea con le cose dette negli ultimi dieci mesi), mentre l’inquadratura è nettamente militarista (anziché il tradizionale Cremlino sullo sfondo). In più, il personaggio mi è sembrato visibilmente nervoso, quasi isterico, il che è abbastanza strano per un discorso tradizionalmente registrato in condizioni più confortevoli possibile…
Ma mi sono dilungato un po’ troppo…
Oggi è la domenica, quindi è il giorno del video. Oggi posto solo il video del messaggio per il Capodanno 2023 del presidente più cool del momento: Vladimir Zelensky. È un po’ lungo, ma di contenuti importanti; sono presenti i sottotitoli in inglese.
Nell’anno passato è sicuramente stato il politico che mi ha sorpreso di più.
Buon Natale a tutti coloro che lo festeggiano oggi. Speriamo che Egli vi conceda tante possibilità di riposare dai pesantissimi impegni quotidiani di questa vita.
Cari tutti!
Ovunque vi troviate, anche dalle vostre parti sta per finire il 2022. Sta per finire un anno che potrei definire solo con delle parole poco adatte alla pubblicazione anche su un sito personale come il mio. Sta per finire un anno che — penso di capirlo — è stato vissuto dalla maggioranza dei miei lettori con dei sentimenti molto diversi dai miei. Per me è stato un anno pessimo: un anno di disperazione, disorientamento, terrore psicologico etc. etc. È stato anche un anno di odio verso delle persone concrete e di augurio di morte a una persona ben precisa… Insomma, è stato un anno che avrei preferito di non avere nella mia vita. Anche se capisco benissimo che c’è chi da oltre dieci mesi sta molto peggio di me e ha molti più motivi per ricordare male l’anno uscente. Allo stesso tempo spero — e in una certa misura so — che voi stiate molto meglio, che la vostra immagine del 2022 non vada oltre una sana preoccupazione.
Di conseguenza, per il nuovo 2023 auguro a tutti la pace e la serenità. Per la prima volta nella vita vedo un senso in un augurio del genere.
Buon 2023.
Andrà tutto bene.
P.S.: a me auguro di riuscire a tornare a uno dei principi della vita preferiti: non far passare oltre il male.
Nel mondo ci sono tantissime cose apparentemente prive di contenuti particolari, le cose alle quali non pensiamo perdendoci, senza rendercene conto, delle scoperte interessantissime. Per esempio: pensiamo al mezzo di trasporto tradizionale di Babbo Natale.
Sappiamo tutti che la slitta di Babbo Natale (e di alcuni suoi colleghi) viene trainata dalle renne. Se qualcuno dovesse chiederci, per qualche strano motivo, che tipo di renne siano, potremmo logicamente presumere che siano della sottospecie rangifer tarandus (quella più nordica), quindi gli esponenti della larghissima famiglia dei cervidi diffusi in Canada, la parte nord degli USA e una parte della Russia. Nella vita reale tali renne hanno questo aspetto:
E ora andiamo a scoprire un dettaglio interessante: Continuare la lettura di questo post »