Esattamente 50 anni fa, l’8 aprile 1973, Pablo Picasso morì all’età di 91 anni nella sua villa Notre-Dame-de-Vie (a Mougins). Prima di morire pronunciò le famose parole: «Brindate a me, alla mia salute, poiché sapete che io non posso più bere».
Dall’altra parte del mondo, in Giamaica, Paul McCartney fu a cena con Dustin Hoffman. L’attore chiese al musicista se fosse capace di comporre – per scommessa – una canzone in questo esatto momento, letteralmente dal nulla. McCartney accettò di fare un tentativo.
A quel punto Hoffman prese una rivista e lesse la notizia della morte di Picasso e delle sue ultime parole. McCartney prese immediatamente la chitarra e iniziò a comporre una canzone proprio con quelle parole:
The grand old painter died last night
His paintings on the wall
Before he went he bade us well
And said goodnight to us all.
Drink to me, drink to my health
You know I can’t drink any more
Drink to me, drink to my health
You know I can’t drink any more!
Così è nata la canzone «Picasso’s Last Words (Drink to Me)», poi entrata a far parte dell’album «Band on the Run» dei Wings (1973). Il grande pittore ispirò gli altri fino all’ultimo.
Cosa posso aggiungere a questa canzone? Posso aggiungere che Picasso continuò a ispirare gli altri anche dopo la propria morte. Per esempio, il gruppo The Modern Lovers registrò la canzone «Pablo Picasso» (inclusa nell’album «The Modern Lovers» pubblicato nel 1976):
È successo non solo nella musica, ma quello è un altro argomento…
L’archivio della rubrica «Cultura»
Più di sei mesi fa mi era capitato di postare, nella mia rubrica musicale, alcune sonate del compositore statunitense John Milton Cage. In quella occasione, però, non vi avevo proposto una delle composizioni più famose di Cage: «4′33»«, una pièce musicale in tre movimenti composta nel 1952 per una quantità variabile degli strumenti musicali. La durata di esecuzione corrisponde al nome della composizione: 4 minuti e 33 secondi.
Per la prima volta nella storia la «4′33»" è stata eseguita il 29 agosto 1952 dal pianista David Tudor (al concerto di beneficenza organizzato in sostegno alla creatività nell’ambito dell’arte moderna), ma a me piacciono di più alcune altre interpretazioni.
La mia versione preferita per una orchestra è quella eseguita nel 2022 dalla Berliner Philharmoniker (dirige Kirill Petrenko):
La versione per il solo pianoforte meglio riuscita è secondo me quella di Armin Fuchs (il video è del 1952):
La versione per la chitarra più interessante è quella suonata da Felix Salazar (con una chitarra del 1867):
E poi, una composizione musicale così moderna non poteva non essere apprezzata pure dai musicisti non classici. Concludo dunque il post musicale odierno con una interpretazione realmente moderna, anche se un po’ rumorosa: quella in stile metal dei Dead Territory:
Bene, ora lascio riposare le vostre orecchie.
Il sabato 4 marzo è morto Michael Rhodes, uno dei bassisti statunitensi più richiesti degli ultimi decenni…
Suppongo che il suo nome sia sconosciuto alla maggioranza degli ascoltatori «dilettanti» del rock: per esempio, perché Rhodes praticamente da sempre non aveva alcun legame fisso con alcun gruppo. Oppure, ancora più probabilmente, perché il basso è l’ultimo strumento al quale uno ascoltatore non professionale presta l’attenzione. In ogni caso, non mi sembra una situazione bella o giusta: i musicisti bravi vanno ricordati.
Io ci ho messo un po’ di tempo a capire in quale modo potrei ricordare Michael Rhodes nella mia rubrica musicale. Volevo postare qualcosa di rappresentativo e, allo stesso tempo, nuovo (mi era già capitato più di una volta di postare qualche canzone di Joe Bonamassa, con il quale Michael Rhodes aveva collaborato spesso negli ultimi anni).
Alla fine, ho pensato di selezionare i seguenti due brani…
Prima di tutto, la canzone «Redemption» di Joe Bonamassa (dall’album «Redemption» del 2018):
E poi aggiungo la «Through With The Past» dei The Cicadas (dall’album «The Cicadas» del 1997):
Molto probabilmente nell’ottica dell’argomento del basso esistono degli esempi non meno validi, ma non mi sono (ancora) venuti in mente.
Tra due settimane esatte, il 1° aprile, sarà il 150-esimo anniversario della nascita del compositore Sergej Rachmaninov, ma io ho pensato, per una serie di motivi, di dedicargli un post musicale già oggi: anche perché la bellezza dell’arte non dipende dalle date, esiste sempre…
Tra parentesi: (da oltre un anno osservo nella mia mente l’ombra di un blocco ogni qualvolta sto per pubblicizzare qualcosa di russo. E poi mi ricordo che esistono le personalità – e le loro opere – che si sono formate, affermate e creato non grazie a, ma nonostante l’attività dello Stato e si sono dunque guadagnate una posizione meritata nel patrimonio mondiale: quello culturale, scientifico, tecnico etc. Sergej Rachmaninov è una di quelle persone.).
Scegliere appena una o due composizioni tra tutte quelle lasciateci da Rachmaninov potrebbe sembrare una missione difficile, ma io, fortunatamente, sono riuscito a inventare un criterio.
Per il tradizionale post musicale del sabato ho scelto il concerto per pianoforte e orchestra n. 4 in sol minore (op. 40) composto nel 1926. Si tratta della prima composizione scritta da Sergej Rachmaninov dopo l’esilio volontario dalla Russia colpita dalla Rivoluzione d’ottobre. In un primo periodo tale concerto non ebbe un particolare successo tra il pubblico, ma fu una composizione importante per il compositore stesso: segnava l’uscita da un periodo psicologico difficile e il ritorno all’attività creativa adeguata alla sua portata. È una «piccola» vittoria della persona sulle circostanze.
Il concerto è stato revisionato dal compositore stesso due volte, io metto la versione definitiva del 1941:
Farò in tempo a postare, in futuro, anche le composizioni più apprezzate di Sergej Rachmaninov. Ma oggi ho voluto fare proprio come ho fatto.
Mi ero quasi dimenticato che la premiazione dell’Oscar 2023 dovesse avvenire proprio la notte passata… Ma è stato impossibile non essere informato dei risultati. Quindi oggi scrivo molto brevemente di quattro film coinvolti in questa edizione del premio.
Prima di tutto faccio i miei complimenti agli autori del documentario «Navalny»: la loro vittoria è la giusta premiazione di un lavoro fatto al momento giusto. È una vittoria molto importante anche per il protagonista del film: perché alimenta l’attenzione proprio nel momento storico in cui ne ha più bisogno. Non è stata sprecata l’occasione di fare una premiazione politicizzata che non infastidisce. N.B.: sul palco erano presenti la moglie e i figli di Alexey Navalny.
L’evento per me più incomprensibile è la pluri-premiazione del film Continuare la lettura di questo post »
Più o meno tutti gli interessati alla musica degli anni ’50/’60 del XX secolo conoscono il duo country-rock statunitense The Everly Brothers. Il periodo della massima popolarità dei fratelli Phil e Don Everly fu stato tra il 1956 (l’anno del debutto) e il 1963 (l’anno in cui i due furono chiamati alla marina militare). Proprio in quegli anni registrarono le loro canzoni più famose; a quel periodo è dedicato il mio primo post musicale sul duo.
Molti critici musicali, però, sostengono che i fratelli Everly avrebbero raggiunto l’apice della loro forma artistica nella seconda metà degli anni ’60, dopo il ritorno dal servizio alla marina. Provo dunque a pubblicare due canzoni appartenenti a questo loro periodo musicale.
La prima canzone di oggi è la «Love Is Strange» (dall’album «Beat & Soul» del 1965):
La seconda canzone scelta per oggi è la «The Price of Love» (dall’album «In Our Image» del 1966):
La popolarità e la rilevanza musicale del duo, comunque, è quasi completamente tramontata dopo il litigio del 1973 tra i due fratelli, sebbene se si siano riuniti negli anni ’80 per continuare a registrare delle canzoni fino al 2005.
Oggi il compositore e musicista Antonio Vivaldi «avrebbe» compiuto 345 anni: uso le virgolette perché, ovviamente, è riuscito a compiere quegli anni, ma solo grazie alla propria opera, delle composizioni musicali che ci ha lasciato. In una data del genere non potevo non postare nella mia rubrica musicale qualche sua composizione.
L’eredità musicale lasciataci da Antonio Vivaldi è immensa, ma nella memoria collettiva è rimasto – non del tutto senza ragione – prevalentemente come compositore della musica per violino. Ecco, oggi provo a correggere un po’ quella memoria…
La prima composizione di Antonio Vivaldi che ho selezionato per oggi è la Trio sonata per due oboi e basso continuo
La seconda composizione di Vivaldi di oggi è invece il Concerto per flauto, oboe, violino, fagotto e basso continuo
Benissimo, spero di avere contribuito almeno un po’ a una attenzione un po’ grande – tra i miei lettori – verso la ricchezza delle composizioni di Vivaldi.
Nel 1988 Sting aveva pubblicato il mini-album «…Nada como el sol», composto da alcune sue (e non solo) canzoni in spagnolo e portoghese. Sentire la «Frágil» era un po’ strano…
Dopo quel mini-album non mi era mai capitato di sentire Sting in spagnolo. Ma qualche giorno fa mi è capitato, a sorpresa, sentire la «Por Su Amor» di Sting e il musicista spagnolo (?) Kurt. Direi che questa sembra molto più interessante…
Per il post musicale oggi ho pensato di selezionare qualche altra composizione di Arcangelo Corelli: questa volta con il semplice pretesto formale del 370-esimo anniversario della sua nascita (l’anniversario che ha avuto luogo ieri, il 17 febbraio).
All’inizio dell’anno scorso avevo postato il concerto grosso «Fatto per la notte di Natale», il quale è l’ottava composizione di una serie di dodici concerti di Corelli scritti prima del 1709. Oggi riprendo la stessa serie.
Inizio dunque con il Primo concerto in re maggiore (versione eseguita dalla Harvard Baroque Chamber Orchestra nel 2015):
E poi aggiungo il Secondo concerto in fa maggiore (eseguito dalla Silesian Chamber Orchestra):
Purtroppo, quello di Arcangelo Corelli non tra i primi nomi che vengono in mente alla maggioranza delle persone quando si parla del barocco musicale. Si potrebbe tentare di correggere questa ingiustizia.
Ieri sera ho sentito, quasi per caso, la canzone «I’m Not Ashamed To Sing The Blues» di Salvo Rizzuto. Mi era sembrata di un livello sufficiente per essere condivisa con un pubblico largo e spesso esperto.
Ovviamente, avevo provato subito a informarmi sull’autore… E, a sorpresa, ho trovato pochissima sua musica su YouTube. Proverò a continuare le mie ricerche, mentre per ora metto, in qualità del secondo brano del post odierno, la sua canzone «Feel it» suonata e cantata in collaborazione con Reedom or not.
In ogni caso, è sempre bello scoprire qualcosa di nuovo e valido.