L’archivio della rubrica «Arte»

Cortometraggio russo №4

Ieri, il 26 maggio, in Georgia si è celebrata la Giornata di indipendenza (proclamata nel 1918, purtroppo prematuramente). Quindi ho deciso di farvi vedere un cortometraggio georgiano girato ai tempi dell’URSS, nel 1977: «La farfalla» del regista Gheno Tsulaja. Non penso che necessiti di una spiegazione introduttiva.

Per ora non conosco dei lungometraggi di Tsulaja meritevoli di attenzione, quindi ne consiglio uno in cui partecipa uno degli attori-protagonisti, Kakhi Kavsadze (quello più alto con i baffi). Guardatevi pure «Il bianco sole del deserto» (1970, regista Vladimir Motyl): è un buon eastern. O, se preferite, è un red western.


Cortometraggio russo №3

Uno dei registi russi più conosciuti in Occidente, da quanto ho avuto modo di osservare, è Nikita Michalkov. La notorietà è meritata: in effetti, fino alla fine degli anni ’80 del secolo scorso Michalkov poteva essere considerato un grande regista e attore. Poi, col tempo, è diventato sempre più «strano», strano fino a trasformarsi in uno dei personaggi pubblici russi più ripugnanti. Per fortuna abbiamo la possibilità di ricordarlo come era stato, per quasi due decenni, ai suoi tempi migliori. Eppure l’inizio non era tanto promettente.

Ecco, per esempio, un suo cortometraggio studentesco, «La bambina e le cose» del 1967, su una bambina svegliatasi per prima la mattina dopo una festa. Un lavoro mediocre soprannominato «La bambina in un negozio» dal curatore artistico della classe di Michalkov.

Dei lungometraggi di Nikita Michalkov vi consiglio fortemente «Partitura incompiuta per pianola meccanica» del 1977. Se cercate bene, sicuramente riuscite a trovarlo anche in italiano.


Cortometraggio russo №2

Per la seconda puntata della mia rubrica cinematografica ho pensato di scegliere qualcosa di vecchio e popolare in (ex-) URSS. Beh, per esempio, posso farvi vedere «Cane Barbos e la corsa straordinaria» (1961, regista Leonid Gajdaj).

Si tratta di un cortometraggio su tre bracconieri che tentano di far stordire il pesce con una esplosione. Un film di facilissima comprensione, direi.

La lista dei lungometraggi di Leonid Gajdaj è composta quasi esclusivamente da commedie non del tutto comprensibili al pubblico al di fuori dall’ex URSS. «Quasi» perché ce n’è una che posso consigliarvi senza problemi: «Ivan Vasil’evic cambia lavoro» del 1973. Se non riuscita a trovarlo in italiano, provate in inglese: «Ivan Vasilievich: Back to the Future».

Alla prossima.


Il concerto a Palmira

Mi ero promesso di scrivere del concerto che il 5 maggio l’orchestra del Teatro Mariinskij aveva dato all’anfiteatro di Palmira. Per me non si tratta di un semplice fatto di cronaca, quindi il ritardo di alcuni giorni è tollerabile.

Valery Gergiev (il direttore artistico e direttore generale del suddetto teatro) è uno dei più grandi direttori d’orchestra russi e un grandissimo showman. E’ un personaggio strano, ma le sue qualità professionali sono realmente di altissimo livello. Quindi penso che l’idea di portare una bella orchestra in un bel posto e suonare della bella musica in un concerto simbolico sia stata una idea sua.

Una idea del genere non poteva però essere realizzata senza una partecipazione diretta dello Stato. Come al solito, lo Stato non si è trattenuto dall’aggiungere qualche nota negativa (che gioco di parole che mi è venuto!).

L’aspetto più fastidioso è sicuramente la presenza nell’orchestra del violoncellista Sergey Raldugin. Chi si è informato anche in modo superficiale del cosiddetto caso «Panama Papers» dovrebbe ricordarsi questo nome. Si tratta di un amico di vecchia data di Vladimir Putin, un musicista mediocre e imprenditore nullo. E’ stato utilizzato, però (anzi, probabilmente proprio per questo motivo), come prestanome per nascondere almeno 20 miliardi di dollari negli offshores gestiti da Mossack Fonseca. Si tratta da soldi appartenenti, almeno in parte, non solo alle persone comunemente definibili «amici di Putin».

Non voglio sostenere che Sergey Raldugin abbia delle colpe. Anzi, dal giorno in cui era scoppiato lo scandalo, Raldugin si è sempre dimostrato totalmente disorientato e ingnaro della parola stessa offshore. Lo Stato, da parte sua, si è però sentito in dovere di sprecare una bellissima manifestazione culturale per salvare la reputazione internazionale di un amico delle persone giuste.

Lo salvataggio del patrimonio storico-culturale, la lotta contro il male e la banale geopolitica contano, per lo Stato, meno della immagine di un amico sfigatello di Putin. Bisogna constatare che si tratta di un tentativo inutile. Chi si ricorderà di (o andrà a sentire suonare) Sergey Raldugin per un motivo diverso dal suo legame con «Panama Papers»?

P.S. Pubblico pure il relativo video:
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Cortometraggio russo

Ci ho pensato a lungo, ma alla fine mi sono deciso: apro una nuova rubrica settimanale sul mio blog. Essa sarà dedicata al cinema russo e organizzata in modo seguente: ogni venerdì sera (alle 21:00) pubblicherò un cortometraggio russo (o sovietico) e consiglierò un lungometraggio del relativo regista o attore-protagonista.

La realizzazione di questo progetto è fortemente ostacolata dal fattore linguistico. Infatti, è quasi impossibile trovare un cortometraggio russo doppiato in italiano. Inoltre, non tutti i lungometraggi che vorrei consigliarvi si trovano almeno con i sottotitoli. Per ora risolvo il primo problema pubblicando quei cortometraggi in cui i personaggi non parlano, poi si vedrà. Non so nemmeno, per ora, quanto possa essere interessante il cinema russo per i miei lettori italiani…

Basta con l’introduzione, passiamo ai film. L’onore di inaugurare la rubrica cinematografica è concesso al cortometraggio «Carne» (2002) di Vyacheslav Ross (spesso chiamato anche Slava Ross). Perché proprio questo film? Perché è ambientato nell’URSS dell’immediato «dopo la Seconda guerra mondiale», mentre tra pochi giorni – il 9 maggio – in Russia si celebra la Giornata della Vittoria. Non mi va di utilizzare l’espressione «il secondo dopoguerra» perché la Russia è quasi sempre in guerra con qualcuno. Quindi per tante famiglie russe la qualità della vita dipende poco dal cambiare del numero periodico dell’anno in corso.

Dei lungometraggi di Slava Ross consiglio fortemente «Siberia. Monamour» del 2011. Spero che riusciate a trovare la versione in italiano.

PS: da oltre un anno una rubrica analoga è presente anche sul mio blog russo.


Alexander Petrosyan

Come saprete, lunedì 18 aprile il fotografo russo Sergey Ponomarev ha ricevuto il premio Pulitzer (nella categoria Breaking News Photography) per i suoi reportage sugli immigrati siriani. E’ il secondo fotografo russo a ottenere il riconoscimento così importante (il primo è stato Alexander Zemlianichenko, premiato due volte).

Tutti gli interessati avranno già visto le loro foto, quindi oggi vi consiglio un altro grande fotografo russo contemporaneo.

Si chiama Alexander Petrosyan, ha 50 anni, vive e lavora a San Pietroburgo. Se oggi, grazie alla festività, avete un po’ più tempo libero del solito, fate pure un giro sul suo sito. Le sue foto meritano la vostra attenzione.


L’artista del trattore

Quando uno non si ricorda più dove ha messo il pennello ma ha a disposizione un trattore, può comunque dedicarsi sin da subito all’arte. L’esempio dell’americano Stan Herd (ecco il suo sito) insegna, però, che il trattore non è sufficiente: ci vuole anche un aereo dal quale fotografare e opere realizzate.

Se non sapete guidare un aereo, chiedete in famiglia.

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Arte per tutti

Il Museum of Modern Art ha pubblicato in Rete una parte della propria collezione: 65.317 opere.

Se in questi giorni avete più tempo libero del solito, provate a vederne qualcuna anche voi.


Disegni sulla neve

Nella città russa di Izhevsk (a poco più di mille chilometri a Est di Mosca) lo spazzino Semion Viktorovich ogni giorno crea un nuovo disegno di neve.

Eccolo:


Razzismo da Oscar

Ho letto una curiosa notizia sul premio Oscar.

Che dire… Qualcuno deve spiegare agli organizzatori degli Oscar che la valutazione (selezione, distinzione etc) degli attori in base al colore della pelle ha un nome preciso: razzismo. Candidare o addirittura premiare un attore (o un regista) solo perché è nero, indipendentemente dai suoi risultati artistici dell’ultimo anno o dal parere della Giuria (nella quale sono presenti tanti neri), è una manifestazione di razzismo.

Purtroppo le minoranze, non solo quelle razziali, faticano a comprendere il concetto.