Evan Gershkovich

(31 marzo 2023)

Ovviamente avete già letto dell’arresto del giornalista statunitense Evan Gershkovich (da gennaio scriveva per «The Wall Street Journal») a Ekaterinburg. Era in Russia per raccogliere i materiali / le testimonianze su come è vista la compagnia militare «Wagner» dalla popolazione russa. Secondo la FSB, invece, avrebbe «svolto l’attività di spionaggio per conto del Governo statunitense sul funzionamento di una delle fabbriche dell’industria militare russa». L’articolo del Codice panale russo che tratta tale tipo di reato prevede dai 10 ai 20 anni di reclusione.

Non importa se ci crediamo o meno alle accuse (qualcuno ci crede?). Non importa che il «The Wall Street Journal» si è già espresso in difesa del proprio giornalista e che la «Reporters Sans Frontières» ha espresso una «preoccupazione».
Capire i principi basilari è molto più importante di cercare l’interpretazione dei singoli casi appena accaduti. Il principio è: la Russia ha una lunga tradizione di prendere gli ostaggi occidentali per scambiarli con qualche russo più o meno rilevante per lo Stato trattenuto all’estero. La tradizione viene mantenuta viva sempre con lo stesso metodo: arrestare qualcuno con una accusa palesemente esagerata e promettere una condanna a una reclusione lunga (in Russia, in realtà sono quasi tutte lunghe; quella per l’omicidio è una delle più brevi). Di conseguenza, il caso diventa famoso più velocemente e provoca delle pressioni sul Governo dello Stato allo quale appartiene l’arrestato. In un certo senso, vengono sfruttati gli Istituti democratici occidentali (in una situazione meno triste avrei messo uno smile). All’Occidente viene proposta / imposta questa sfida, che ora potete anche chiamare guerra.

Rubriche: Russia

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