Ieri, il 4 dicembre, è stato interrato ciò che restava di Fidel Castro.
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Quando sento (o leggo) le persone parlare della politica estera, spesso giungo alla conclusione che «nessuno è dittatore fuori dalla patria». Succede un po’ perché la gente non conosce i fatti, un po’ perché non è costretta a subirli sulla propria pelle. Ciò vale anche per la valutazione popolare di Fidel Castro che è schiattato ieri.
Fidel Castro è stato un fenomeno unico: dopo essere stato proclamato il simbolo della rivoluzione, è stato capace di superare i successi di quasi tutti gli altri famosi leader politici del XX secolo. Ha superato Roosevelt, impoverendo i propri cittadini con più tenacia ed efficienza. Ha superato Hitler e Stalin messi insieme, mandando nelle carceri e nei lager il triplo (in termini di percentuali) degli avversari politici. Ha superato tutti (o quasi) i dittatori del mondo per la durata della permanenza al potere. Ha superato lo stesso Che, avendo compreso in tempo che non si resta al potere mantenendo la fedeltà agli ideali…
Solitamente, quando muore un personaggio del genere, si usa dire che «è finita una epoca». L’epoca di Fidel, però, è finita con la fine della guerra fredda: quasi trent’anni fa. Come tutti i regimi comunisti, anche quello cubano fu finanziato dall’URSS. Il suo vantaggio rispetto ad altri pretendenti si basò però su una posizione strategicamente importantissima nella competizione nucleare tra gli USA e l’URSS. La cessazione di ogni forma di competizione tra le due potenze (e la dissoluzione di una delle due) determinò la fine dei generosi finanziamenti. Proprio in quel momento — casualmente? — finì l’epoca fortunata di Fidel. L’ultimo colpo della fortuna è stato il notevole peggioramento della salute fisica e mentale di Fidel, il quale lasciò dunque felicemente le sorti della Isola in mano al fratello Raúl.
Il progressivo passaggio formale del potere portò alla possibilità di cercare un nuovo sponsor ricco. Raúl è stato politicamente bravo a ristabilire i rapporti amichevoli con gli USA: non solo bravo, ma pure costretto, vista l’indisponibilità di tutti gli altri a mantenere l’economia cubana. Si tratta, molto probabilmente, del più grande successo di Barack Obama nella politica estera, visto che Cuba è stato l’unico Stato (ri)entrato nella sfera di influenza americana per propria volontà. Triplo ahahaha: è successo proprio a uno Stato comunista.
Ieri, il 19 agosto, tanti russi hanno festeggiato i 25 anni di vittoria su quegli otto vecchi gerarchi comunisti che tentarono, tra il 18 e il 21 agosto del 1991, un colpo di Stato in URSS.
Gli autori del colpo di Stato vollero tentare il ritorno a una versione abbastanza antiquata e repugnante dell’URSS, il ritorno a quella realtà in cui si affermarono — decenni prima — dal punto di vista partitico e nel quale avrebbero continuato ad avere il loro grande peso politico, basato sulle sole fedeltà di facciata alla ideologia e il clima di paura nel Paese. Tanti ormai quasi ex cittadini sovietici, invece, capirono di non voler proprio tornare in quella epoca grigia. Anzi, decisero di manifestare la propria volontà di andare nella direzione esattamente opposta.
Non posso dire che la «rivoluzione anti-comunista» sia stata fatta dal popolo: tutti gli scontri di piazza accaddero in una area di pochi chilometri quadrati del centro di Mosca, lungo l’asse che collega il Cremlino e la Casa Bianca (all’epoca era la sede del Governo centrale). La maggioranza dei cittadini residenti in altre zone (addirittura fuori dal centro di Mosca) seppe dei fatti accaduti solo dopo la ripresa del funzionamento della TV centrale e la ricomparsa dei giornali nelle edicole. Dirò di più: in nessun caso un regime cadde in Russia per mano del popolo (ma questa è un’altra storia). Il popolo comprese però il senso e l’importanza delle varie libertà negategli nei decenni dell’URSS. Non ebbe la possibilità fisica di conquistarle, ma almeno la forza morale per uscire di casa e iniziare a lottare.
Quella comprensione, a quanto pare, è diminuita un po’ negli ultimi anni.
I tentativi di costruire un’altra Unione sul territorio dell’ex URSS che stiamo osservando con chiarezza dal 2011 dovrebbero mostrarci, entro un tempo relativamente breve, quanto sono ancora richieste quelle libertà.
P.S.: gli otto vecchi golpisti si dimostrarono dei puzzoni senza coglioni e non seppero andare fino in fondo nella loro impresa. La loro buffonata di agosto fu in un certo senso da permesso per abbandonare la nave: la dissoluzione dell’URSS accelerò.
Oggi, 2 marzo 2016, Mikhail Gorbachev ha compiuto 85 anni. Non ne avrei mai scritto se non lo ammirassi.
Lo ammiro perché è stato uno dei pochissimi politici che, trovandosi a capo di uno Stato non democratico, non si è aggrappato al potere a tutti i costi. Aveva i mezzi per farlo, ma ha evitato. Ha constato il decesso dell’URSS e non ha cercato di rianimarlo per evitare una crisi molto più grave di quella che si è verificata nei primi anni ’90.
La chiusura di una parentesi nella storia russa, verificatasi negli anni 2000, non è una colpa (o merito) sua. Non lo è almeno perché il ruolo della personalità nella storia è nullo. E’ possibile fingere di guidare una tendenza storica, ma non si può crearla. Si può cavalcare l’onda, ma è impossibile crearla.
Non ha «distrutto» l’URSS, sapeva di non poterlo salvare. E meno male che quello schifo è sparito dalle mappe.
E’ relativamente facile immaginare che la situazione in Ucraina non è ora bella. E gli occidentali comuni, a quanto pare, non sempre possono immaginare quanto tale situazione fosse poco bella. Il governo nato dopo la deposizione dell’ex presidente Viktor Yanukovich non ha fatto nemmeno una riforma seria, da oltre un anno è in corso una guerra non dichiarata, l’economia è in crescente difficoltà, la propaganda interna supera quella russa nel dividere la società e nell’imporre dei valori morali fittizi.
Su questo sfondo succedono solamente due cose belle in Ucraina. La prima è la demolizione di massa dei monumenti dedicati a Lenin. Secondo me i numerosi Lenin in giro per l’ex URSS vadano demoliti tutti, mentre il suo corpicino sepolto in modo tradizionale in qualche cimitero di Mosca. (Ci sono dei motivi per odiarlo e, allo stesso tempo, ammirarlo ma ne scriverò un’altra volta.)
La seconda cosa positiva in Ucraina contemporanea è accaduta giovedì 10 aprile: il Parlamento ucraino ha approvato una legge che condanna i regimi totalitari comunista e nazista. La legge, tra le altre cose, vieta l’esposizione nei luoghi pubblici della simbologia e dei monumenti ai leader dell’epoca sovietica e, ovviamente, impone la sostituzione di tutti i toponimici che in qualche modo richiamano l’URSS.
Tutto il resto in Ucraina va male. Credono di essere diventati europei di colpo, con il solo fatto di aver abbattuto il vecchio potere. Mentre in realtà il comportamento e la mentalità delle masse sono rimaste praticamente invariate.
Ma, almeno, sono riusciti a trovare un pretesto per liberarsi di tutto quel inquinamento visivo rappresentato dai residui della pessima simbologia sovietica.
Oggi è una coincidenza fortunata: l’ennesima puntata del video domenicale sul mio blog capita nel giorno del 54esimo anniversario del famoso viaggio di Yuri Gagarin. Quindi pubblico un breve video riassuntivo:
P.S.: buona Pasqua a tutti coloro che la festeggiano oggi.