L’archivio del tag «ucraina»

Arruolati a vita

Con grande curiosità – ma senza stupirmi – ho scoperto che già in autunno del 2023 Vladimir Putin ha deciso di disfarsi di una delle principali «eredità» ricevute dal suo ex «cuoco» Evgeny Prigozhin. Quest’ultimo, se vi ricordate, arruolava nella propria compagnia militare privata «Wagner» i detenuti russi per farli combattere in Ucraina. In realtà li utilizzava per le missioni più disperate, come carne da macello, ma questo è solo un dettaglio. L’importante è che in cambio della firma sul contratto prometteva la liberazione (con la relativa grazia firmata dal Presidente) dopo sei mesi di partecipazione alla guerra. E, effettivamente, tutti quelli che sono riuscito a tornare vivi dalla guerra, sono stati graziati (un altro piccolo dettaglio: molti di loro sono tornati alla vita «civile» con le loro abitudini criminali di prima, ma, naturalmente, aggravate dalla esperienza avuta in guerra).
Ecco, il servizio russo della BBC scrive che già dall’autunno 2023 Putin ha smesso di firmare decreti di grazia per i detenuti che hanno accettato di andare in guerra: ora vengono inviati in Ucraina dopo un «liberazione condizionale» e un contratto che non può essere disdetto fino alla fine della guerra. I contratti da sei mesi, invece, non vengono più firmati. Si tratta di una notizia non comunicata ufficialmente, ma trovata dai giornalisti sulle numerose chat (telegram e altri) dei parenti dei detenuti mandati in guerra.
Non penso che Putin tenti in questo modo di risolvere il problema della invasone del territorio russo da parte dei criminali «non corretti» e armati. È più probabile (anzi, è quasi certo) che tenti di risolverne altri due: 1) minimizzare l’arruolamento dei civili liberi (che non sta andando benissimo e può essere praticato tranquillamente solo in provincia); 2) compensare la mancanza degli strumenti tecnologici bellici con le grandi masse di corpi umani (una tradizione russa vecchia alcuni secoli).
Prima o poi i detenuti russi capiranno il trucco, ma avranno sempre meno modi di rifiutare la proposta di firmare il contratto. Prigozhin, dunque, verrà ricordato come una persona buona e onesta, ahahaha


Uno dei candidati all’Oscar

Il documentario «20 Days in Mariupol» del regista ucraino Mstislav Chernov – che racconta i primi giorni della invasione russa dell’Ucraina – è stato candidato all’Oscar nella categoria Miglior documentario.
Non lo scrivo per comunicarvi una notizia che sicuramente conoscete già da voi.
Lo scrivo per dire che si tratta di uno dei pochissimi casi in cui sarò contento per una premiazione perfettamente politicizzata. Il film in questione è sicuramente interessante dal punto di vista storico (dunque è un documentario utile e importante), ma non sono competente per confrontarlo con i concorrenti. So solo che la sua premiazione in questo momento storico sarà molto utile alla causa ucraina…


La lettura del sabato

La settimana scorsa, il media «Mediazona» ha pubblicato una raccolta antropologicamente interessante di storie di russi che si mutilano e si uccidono a vicenda nel corso – o in conseguenza – delle dispute sulla guerra in Ucraina. E ora, finalmente, ho la possibilità tecnica di segnalarvi la versione inglese di quel testo.
Questo testo informativo e un po’ spaventoso non è solo una preziosa cronaca della vita quotidiana russa nel 2024. Il testo mostra come il «grande tattico» Putin abbia raggiunto, con la sua guerra in Ucraina, altri due obiettivi «inattesi» di cui non si parla ancora spesso: in un modo molto abbastanza particolare ha rafforzato e approfondito la tanto citata unità nazionale e ha ucciso altri russi. Sì: è stato lui, Putin, a ottenere questi risultati. Rispetto alle sofferenze degli abitanti dell’Ucraina, possono sembrare qualcosa di non particolarmente grande e grave, ma dovremmo comunque ricordargli anche questo….
Comunque, leggete. L’articolo, sicuramente, elenca solo alcuni dei casi di cui i giornalisti sono venuti a conoscenza.


Putin embodies war

Molto probabilmente avete già letto che Vladimir Zelensky ha tentato per l’ennesima volta – ora il giorno della apertura del Forum di Davos – di spiegare ai leader occidentali che il nome di Putin è il sinonimo della guerra:

In fact, Putin embodies war. We all know that he is the sole reason why various wars and conflicts persist, and why all attempts to restore peace have failed. And he will not change. He will not change.

Il testo completo del discorso è disponibile, anche in inglese, sul sito della Presidenza ucraina: volendo, potete leggerlo da voi. Mentre io mi trovo costretto a constatare una grande banalità: il problema principale dell’Occidente consiste nel fatto che quest’ultimo continua non percepire la guerra in Ucraina come propria. La prima a rischiare gli effetti tragici di tale incomprensione è l’Ucraina, ma non sarà nemmeno l’ultima. Non si tratta di «affari interni tra gli slavi», ma della propensione di Putin alla guerra: io, come Zelensky [ho attivato la modalità della mania di grandezza], continuo a cercare le parole nuove per ripetere sempre lo stesso concetto.


Uno A-50 in meno

Il comandante in capo delle Forze armate ucraine Valery Zaluzhny dice che l’Ucraina avrebbe abbattuto un aereo di rilevamento e controllo radar a lungo raggio A-50 sopra il Mar d’Azov. Si tratterebbe di un colpo abbastanza pesante per l’esercito putiniano: questi aerei costano cifre folli pure in confronti di altre attrezzature militari e non vengono più prodotti.
Allo stato del 2022, erano in servizio solo tre A-50 e sei A-50U dell’esercito russo. Allo stesso tempo, bisogna precisare che non tutti quegli aerei possono volare: per esempio, uno di essi è stato gravemente danneggiato da un attacco di droni all’aeroporto militare di Machulishchi.
A questo punto una persona particolarmente ottimista (oppure idealista) potrebbe ipotizzare che in realtà l’Ucraina abbia già iniziato a ricevere e utilizzare come si deve i primi F-16. Mentre una persona abituata a operare con delle informazioni un po’ più certe potrebbe giungere a una conclusione più semplice, ma anche più logica: lo stesso Zaluzhny aveva detto che l’esercito ucraino non riesce a invertire a proprio fare l’andamento della guerra anche perché attualmente si trova in una condizione tecnologica simile a quella dell’esercito russo. Ecco, in attesa degli strumenti militari più avanzati, Zaluzhny procede, in qualche modo, a mettere in svantaggio l’esercito russo. È sicuramente una cosa positiva, ma, purtroppo, non sufficiente.


La lettura del sabato

Questa volta vi segnalo – in qualità della «lettura del sabato» – un testo, il cui argomento a prima vista potrebbe sembrare moralmente ripugnante… Mentre, in realtà, il contenuto è una rara e interessante testimonianza diretta della guerra in Ucraina raccontata da un ex-militante (non so se posso usare tale termine) che si era arruolato da volontario nell’esercito russo e ha passato un anno in guerra. Si tratta di un monologo su alcuni aspetti della organizzazione dell’esercito, della conduzione della guerra, delle conseguenze personali per chi ne è tornato vivo.
Se siete pronti ad affrontare un testo del genere (quello segnalato non è particolarmente lungo), provate a leggerlo.


Boris Johnson e le “trattative”

Nella recente intervista a The Times l’ex premer britannico Boris Johnson ha definito come «total nonsense» e «Russian propaganda» le voci secondo le quali sarebbe stato egli a far saltare, nella primavera del 2022, le «trattative di pace» tra l’Ucraina e la Russia. Almeno in questo caso possiamo essere certi al 101% che Johnson dice la perfetta verità. Possiamo esserne certi per due motivi: uno logico e uno storico.
Il motivo logico per il quale possiamo credere a Johnson consiste nel fatto che all’epoca della propria permanenza alla carica del premier è sempre stato uno dei sostenitori più attivi e coerenti della Ucraina. Non poteva certo dare tutto quell’aiuto militare, diplomatico e morale e, allo stesso tempo, non capire quali fossero le reali intenzioni dello Stato russo. Non poteva non capire che almeno da parte russa non c’era in corso alcuna «trattativa di pace»: era appena stata fallita la missione iniziale di «conquistare Kiev in tre giorni», ma non c’era l’intenzione di accontentarsi di alcune zone dell’est ucraino. Prima o poi gli accordi sarebbero stati violati da Putin e la guerra sarebbe ripartita.
A quanto appena detto si collega il motivo storico per il quale possiamo credere a Boris Johnson: alle famose «trattative» la parte russa era rappresentata solamente da personaggi che non avevano alcun potere decisionale e/o peso rilevante nella struttura del regime putiniano. Le figure più note e «rilevanti» erano, infatti, l’ex ministro della cultura Vladimir Medinsky (un personaggio un po’ particolare, finge di essere uno storico senza esserlo e dichiara che la storia va scritta sulla base delle necessità dello Stato: viene regolarmente sfruttato per questa sua caratteristica) e il ben noto a voi Roman Abramovich (il cui ruolo è rimasto totalmente sconosciuto: non c’entra alcunché con la direzione dello Stato russo). Insomma, «il Cremlino» aveva affidato le trattative alle persone le cui firme, promesse, dichiarazioni e quant’altro valeva più o mento quanto la carta igienica sporca: in qualsiasi momento si poteva disdire tutto perché «creduloni ucraini, vi siete messi d’accordo con la gente che non decide nulla».
Di conseguenza, Boris Johnson non poteva far saltare una trattativa che nessuna delle parti aveva l’obiettivo di realizzare (l’Ucraina non ha mai avuto l’obiettivo di arrendersi di lasciare alla Russia i propri territori).
È bello quando i politici (almeno quelli quasi-ex) dicono la perfetta verità.


L’intervista di Capodanno

Chi ha la possibilità tecnica e – in questo periodo un po’ meno impegnativo per alcuni – il tempo necessario, può leggere la «intervista di Capodanno» del presidente ucraino Zelensky alla rivista The Economist.
In generale, non mi è sembrata una intervista radicalmente diversa da quella recente del comandante in capo dell’esercito ucraino Valerij Zaluzhny. O, almeno, non vedo delle contraddizioni tra i due personaggi che secondo alcuni voci sarebbero in brutti rapporti. La differenza sta nel fatto che ognuno dei due fa il proprio lavoro: Zaluzhny combatte, mentre Zelensky chiede gli aiuti all’Occidente. E, nella intervista segnalata, avverte:

Putin sente la debolezza come una bestia, perché è una bestia. Sente il sangue, sente il suo potere. E vi mangerà per cena con tutta la vostra UE, la NATO, la libertà e la democrazia.

Mentre io aggiungo: per Putin il rispetto di molte procedure che osserviamo in Europa è uno dei principali indicatori di debolezza. Perché per lui la forza (ma anche la sovranità della quale parla così spesso) sta nella possibilità di fare quel che si vuole e quando si vuole.


Un regalo di Putin un po’ scarso

Il quotidiano finanziario giapponese Nikkei scrive, basandosi sulle fonti proprie, che nel marzo 2023, durante la visita di Xi Jinping a Mosca, Vladimir Putin ha detto al Capo di Stato cinese che la Russia intende continuare la guerra in Ucraina per almeno cinque anni. Sulla base di queste parole, il Nikkei conclude che «non si dovrebbe dare valore» ai segnali di Putin, trasmessi attraverso i canali diplomatici, sulla disponibilità a negoziare un cessate il fuoco.
Ebbene, noi (a differenza del Nikkei) sappiamo da tempo che Putin parla della guerra come di una nuova realtà permanente, non come di un evento che può avere una fine almeno all’orizzonte. Di conseguenza, sarebbe molto interessante sapere perché Putin abbia deciso di scegliere, per i «partner cinesi», proprio la cifra 5 e non qualsiasi altro numero. Un tale lasso di tempo si adatta alla sua idea di pianificazione a lungo termine? Per esempio: cari fornitori cinesi di qualsiasi cosa di questo mondo, guardate per quanti anni siamo generosamente disposti a dare il nostro intero mercato nazionale solo a voi?
Non sono sicurissimo che Xi Jinping possa essere felice di una simile promessa: i buoni rapporti con il resto del mondo sono chiaramente per lui più importanti dei cinque anni di piena «fedeltà» della povera e sottoposta alle sanzioni Russia.


Le luci natalizie ucraine

Penso che più o meno tutti abbiano già letto del grandioso colpo dell’esercito ucraino di ieri: l’aviazione tattica ucraina ha fatto saltare in aria, nel porto della Feodosiya, la grande nave da sbarco «Novocherkassk» (della Flotta russa del Mar Nero) che trasportava i droni iraniani. Si tratta di un bel risultato militare che libera il territorio ucraino di almeno una parte dei pericolosi attacchi.
Ma è anche un risultato molto scenografico, nel senso positivo del termine:

Inyanto, il giornalista della radio «Svoboda» Mark Krutov ha pubblicato le immagini satellitari di Feodosiya, in Crimea, scattate da Planet Labs dopo che le forze armate ucraine hanno lanciato un attacco missilistico sul porto locale il 26 dicembre. Krutov ha sottolineato che l’immagine satellitare, scattata alle 11:25 ora locale, mostra che dopo che l’esercito ucraino ha colpito la nave da sbarco Novocherkassk (nel rettangolo rosso), un’altra nave (nel rettangolo giallo) è stata parzialmente affondata nelle vicinanze. Dopo aver analizzato le immagini satellitari e le fotografie, Krutov ha dichiarato che si tratta della nave da addestramento UTS-150 della classe T-43, parcheggiata nel porto almeno dal 2007.
P.S.: spero che con questo colto l’esercito ucraino sia anche riuscito a dimostrare, ancora una volta, l’utilità degli aiuti militari…