L’archivio del tag «ucraina»

I preparativi all’inverno

Spesso è importante e interessante mostrare quelle immagini della guerra che nemmeno una persona intelligente e istruita avrebbe potuto immaginare: perché ci sono degli aspetti della vita alle quali una persona abituata ai decenni della pace non pensa proprio (ed è in un certo senso normale). Per esempio: la foto sottostante illustra come si preparano i palazzi per gli uffici ucraini al terzo inverno di guerra, quindi anche al terzo inverno dei bombardamenti della infrastruttura energetica ucraina da parte dell’esercito russo.

Per il terzo inverno consecutivo si parlerà, tra tantissime altre cose, anche del fatto che a causa della guerra l’Ucraina perderà una parte significativa del proprio patrimonio arboreo: perché, appunto, la gente – indipendentemente dal fatto che viva in città o in campagna – è molto spesso costretta scaldarsi, cucinare e produrre l’acqua calda utilizzando i «metodi di una volta». In alternativa a quelli più tecnologici ma messi fuori uso dalla guerra.
Non è il problema più grave legato alla guerra, ma è sempre uno dei tantissimi problemi creati.


Una notizia più positiva che non

Luke Pollard, il vice-ministro della Difesa del Regno Unito, ha dichiarato che 200 piloti ucraini che piloteranno gli F-16 hanno completato l’addestramento iniziale. La fase successiva sarà l’addestramento avanzato dei piloti di jet e la riqualificazione dei piloti sugli F-16 con la partecipazione dei Paesi partner.
È una notizia positiva? Sicuramente sì.
E ora proviamo a fare un piccolo (e banale) esercizio logico. Per ora l’esercito ucraino ha pochi F-16 (si sa che sono pochi, ma non si sa di preciso quanti). Istruire un pilota dell’F-16 costa sicuramente non poco, di conseguenza l’addestramento non è stato fatto senza motivo o per divertimento di entrambe le parti. Per pochi F-16 sono necessari 200 piloti? Anche se ipotizziamo che per lavorare sulla stessa macchina si daranno il cambio più persone, 200 persone sarebbero tante. Per 200 piloti sono necessari 200 aerei F-16? Molto probabilmente no, ma sicuramente ne servono molti più di «pochi». Le abilità di pilotaggio di un F-16 possono essere perse se non praticate? Sicuramente sì, come tutte le altre abilità.
Da tutto questo possiamo dedurre che sono arrivo (e a breve) tanti altri F-16 per l’Ucraina. Non si sa quali tecnologie avranno a bordo, ma sicuramente sono in arrivo.
Un’altra domanda da fare è: i soli F-16 sono sufficienti per cambiare radicalmente l’andamento della guerra? Purtroppo, la risposta è no.


Un po’ di circo

Dmitry Peskov, il portavoce di Putin, ha dichiarato che il Cremlino considera il «piano di vittoria» di Vladimir Zelensky «miope» e «sconsiderato»:

Lo sfondo principale del ’piano’ è che lui [Zelensky] vuole formalizzare il coinvolgimento diretto della NATO nel conflitto sull’Ucraina. Questa è l’essenza di ciò che è stato almeno delineato, ciò che ha raggiunto la comunità mondiale. Quindi sta dicendo: sì, ragazzi, siete stati coinvolti prima, ma in modo non ufficiale. Ora rendiamolo ufficiale, facciamo in modo che la NATO sia qui. Questo è miope, sconsiderato, illogico nella sua situazione.

Io, a questo punto, non so se applaudire o ridere (ma forse non è il caso di fare due cose insieme). Da una parte, sono contento che Peskov ne abbia finalmente indovinata una. Dopo oltre tre anni e mezzo di guerra si è finalmente accorto del fatto che Zelensky spera in un aiuto più consistente della NATO. Dall’altra parte, tale speranza di Zelensky sarebbe stata «miope» e «sconsiderato» solo se Zelensky stesso fosse un agente russo infiltrato nel governo della Ucraina. Ma dato che non lo è, l’eventuale coinvolgimento diretta della NATO sarebbe stato uno dei suoi strumenti migliori per il raggiungimento della vittoria.
Vabbè, almeno Peskov mi ha fatto divertire un’altra volta…


Che idea…

Il candidato cancelliere tedesco Friedrich Merz (del CDU) ha proposto di dare un ultimatum a Putin: «Se la Russia non smette di bombardare l’Ucraina entro 24 ore, la Germania fornirà alla Ucraina armi a lungo raggio».
Triplo ahahaha: che idea geniale, Putin sicuramente si spaventerà e si darà alla fuga dopo avere sentito una (qualsiasi) minaccia.
Allo stesso tempo, bisogna riconoscere che una idea del genere non apparirebbe tanto ingenua se fosse stata espressa al momento giusto: alla fine di febbraio del 2024. Perché non era stato detto subito a Putin: «O tu, bastardo, ritiri immediatamente tutte le tue truppe o noi daremo alla Ucraina qualsiasi arma. In qualsiasi quantità»? Perché lui, effettivamente, aveva iniziato la guerra non solo essendo stato sicuro di poter vincere in pochi giorni, ma anche nella assoluta certezza che «l’Occidente non ha le palle per aiutare l’Ucraina». La realtà odierna dimostra che almeno sul secondo punto non sbagliava del tutto…


La strana logica “americana”

Il consigliere del capo dell’ufficio del presidente ucraino Serhiy Leshchenko ha dichiarato che i politici statunitensi di entrambi i partiti (democratico e repubblicano) stanno esercitando pressioni su Vladimir Zelensky per mobilitare uomini di età compresa tra i 18 e i 25 anni. «L’argomentazione dei partner è la seguente: quando c’è stata la guerra degli Stati Uniti in Vietnam, vi hanno preso le persone a partire dall’età di 19 anni. Quindi gli americani stanno suggerendo: le armi occidentali da sole non bastano, abbiamo bisogno di una mobilitazione a partire dai 18 anni».
Leshchenko ha aggiunto di poter confermare l’autenticità delle informazioni sulle pressioni esercitate su Zelensky, in quanto esse sarebbero «emerse». Ma non ha specificato in cosa si esprimono tali pressioni.
Boh… Supponiamo che esistano realmente le suddette pressioni e che non sia un tentativo di attribuire agli americani la colpa della mobilitazione dei più giovani. Allora nella logica americana descritta c’è un evidente difetto. Le armi accidentali non bastano non perché i giovani non sono chiamati in massa a combattere (e, spesso, a utilizzare le armi moderne che richiedono un alto livello di preparazione), ma perché sono quelle armi ad arrivare lentamente e in quantità scarse.
Insomma, in ogni caso si tenterebbe di scaricare la responsabilità sugli altri. E la squadra di Zelensky, purtroppo, deve abituarsi ancora di più all’idea di dover risolvere tutto con le proprie forze. Spero che ci riesca, ma non posso esserne sicuro.


I combattenti nordcoreani

L’altro ieri, nel corso del tradizionale discorso televisivo serale, Vladimir Zelensky ha dichiarato che la Corea del Nord non solo trasferisce armi alla Russia, ma invia pure i propri cittadini a combattere in Ucraina nelle fila truppe russe. In precedenza, The Washington Post aveva già citato funzionari ucraini e sudcoreani secondo i quali i militari della RPDC stanno già combattendo al fianco della Russia, mentre altre migliaia di soldati nordcoreani si stanno addestrando per andare a combattere in Ucraina in un secondo momento.
L’unica cosa che mi stupisce in questa quasi-notizia è il fatto che la pratica di mandare in guerra gli schiavi nordcoreani – in sostanza sono degli schiavi che sono passati da un padrone all’altro – non sia stata adottata molto prima. Infatti, a differenza dei nepalesi o degli indiani (o di tanti altri) mandati a combattere con l’inganno, i nordcoreani a) non saranno mai difesi dal proprio governo e b) non devono essere portati in Russia con degli schemi particolarmente fantasiosi.
Vanno dunque considerati pure loro delle vittime di questa guerra.


La lettura del sabato

L’articolo che segnalo questo sabato è dedicato alla storia di una singola – ma una delle tantissime – persona: la detenuta e prigioniera (in tutti i sensi) politica Irina Navalnaya. È una ragazza ucraina di 26 anni fermata (in italiano si legge rapita) dai militari russi nell’area occupata di Mariupol e accusata di preparare un attacco terroristico durante il «referendum» sull’adesione della regione alla Russia.
Non è una parente di Alexey Navalny, anche se porta lo stesso cognome (al femminile): proviene da una zona dove quel cognome è abbastanza diffuso, ma non tutti i suoi portatori sono dei parenti tra loro. Allo stesso tempo, anche grazie al cognome famoso il caso di Irina è diventato largamente noto: non so se nel breve periodo la notorietà si rivelerà un fattore positivo nel suo destino, ma, almeno, oggi ci permette di scoprire alcuni altri dettagli della storia degli ultimi anni.


L’ottimismo disperato

Il presidente ucraino Zelensky ha espresso, nel corso del vertice «Ucraina — Europa sud-orientale» tenutosi a Dubrovnik il 9 ottobre, un concetto nuovo e abbastanza particolare:

In October, November and December we have chance to move things toward peace and lasting stability. The situation on the battlefield creates an opportunity to make this choice — choice for decisive action to end the war no later than in 2025.

Ma non ha specificato cosa intendesse esattamente. Sa o pensa che gli Stati occidentali improvvisamente si svegliano e in un colpo inviano alla Ucraina tutti gli aiuti realmente necessari? O che qualcuno si sta finalmente preparando a eliminare la causa principale dell’inizio della guerra? O che tutte le risorse militari russe stanno per sparire nel nulla? Boh…
Realisticamente parlando, sembra che non sappia più in quale modo motivare i leader occidentali con i quali parla da quasi tre anni. Capisce che in questo preciso momento storico non ha molte probabilità di ottenere qualcosa di veramente importante, e, allo stesso tempo, non può smettere di chiedere. Per questo motivo la stranezza della sua affermazione di ieri si percepisce in un modo ancora più triste.


Una causa persa

Ho scoperto che il 30 settembre è stata depositata presso la Corte Suprema della Federazione Russa una class action da parte di 504.180 co-attori. Con a capo l’avvocatessa popolare Olga Smirnova, hanno intentato una causa per riconoscere lo status illegale della statualità dell’Ucraina e riconoscerla come territorio dell’URSS (Russia):

Una decisione favorevole del tribunale permetterà di bloccare le forniture di armi degli Stati Uniti e dei Paesi della NATO nel territorio dell’Ucraina e di porre fine alla operazione militare speciale con una vittoria.

La logica della motivazione è la più logica del mondo. Gli Stati Uniti e la NATO, ovviamente, non utilizzeranno la sentenza della Corte Suprema della Federazione Russa come dovrebbero, ma procederanno immediatamente alla sua applicazione e non invieranno più un solo proiettile alla «regione ucraina della Federazione Russa».
La cosa strana è che una mossa così ingegnosa non è stata pensata dallo stesso Putin: includere nell’ultima versione della «Costituzione della Federazione Russa» non le «misere» quattro regioni, ma l’intera Ucraina in una volta sola. Ma il gruppo di mezzo milione di persone non ha preso in considerazione il fatto che non si può essere «più intelligenti» di Putin: sono «fuori rango» per una cosa del genere. E i giudici della Corte Suprema, correttamente orientati nella situazione politica, uccideranno alla radice l’impulso patriottico di 504.180 co-attori.


Con le armi proprie

Il portavoce del Dipartimento di Stato americano Matthew Miller durante un briefing con la stampa, tra le altre cose, ha dichiarato:

[…] Ukraine does not need our permission to strike back against Russian targets. They are a sovereign country and can use the weapons that they build on their own, of which are many, if you look at the programs that they have put in place over the last year. And then when you look at the weapons that we have provided to them, we’ve made clear that they can use them to strike back against Russian targets across the border that are launching attacks.

Come avrei voluto interpretare io la suddetta dichiarazione: «stiamo organizzando la produzione degli armamenti necessari direttamente sul territorio ucraino». Ehm… ok, è una cosa che potrebbe anche avere senso, ma quanto tempo ci vorrà per organizzarla (se dovesse essere vero, ovviamente)?
Allo stesso tempo, mi sembra molto più realistico supporre che fino alla inaugurazione del nuovo (nuova?) presidente statunitense l’Ucraina dovrà resistere senza gli aiuti americani: Biden vorrà chiudere la propria carriera politica con qualche soluzione realizzabile in poco tempo, mentre Harris si concentra sugli argomenti più cari ai cittadini americani. Miller, dunque, lo ha fatto capire in un modo abbastanza «diplomatico».