Probabilmente qualcuno dei lettori si ricorda di Marina Ovsjannikova, una dipendente del «Primo canale» della TV di Stato russa che il 14 marzo aveva invaso – con un cartello contro la guerra – lo studio del notiziario durante la diretta.
Dopo quella occasione Ovsjannikova aveva perso il lavoro (non penso che ne sia molto dispiaciuta almeno dal punto di vista morale) ed era stata multata. Poteva andarle peggio, anche se le leggi sulla responsabilità amministrativa e penale per ogni forma di protesta contro la guerra in Ucraina hanno iniziato a essere applicate in modo severo più tardi.
Ebbene, in questi giorni sono stato contento a scoprire che Marina Ovsjannikova non si è fatta spaventare e, anzi, ha dimostrato che il suo gesto non era stato occasionale, non semplicemente dettato dallo shock per l’inizio della guerra. Il venerdì 15 luglio aveva manifestato con un nuovo cartello sul lungofiume di Moscova davanti al Cremlino:
Il cartello dice: «Putin è un assassino. I suoi soldati sono dei fascisti. 352 bambini sono stati uccisi. Quanti altri bambini devono essere uccisi poiché vi fermiate?». Si tratta della seconda – in termini di visibilità – manifestazione contro la guerra di Ovsjannikova (ma si è espressa pubblicamente in diverse altre occasioni). Quello che non mi è ancora molto chiaro, è perché non sia stata fermata dalle forze «dell’ordine» già venerdì.
È stata fermata solo ieri (pare per una brevissima intervista televisiva) vicino alla sua casa, portata in un luogo sconosciuto, multata e rilasciata la sera del giorno stesso.
Ma se le cose vanno avanti così, per qualche motivo si potrà ancora scrivere di lei.
P.S.: per tutti coloro che lo avessero perso o dimenticato, aggiungo il famoso video del cartello in diretta: Continuare la lettura di questo post »
L’archivio del tag «tv»
Se avessi la possibilità di svolgere delle ricerche sociologiche qualitative basate su un largo campionario, avrei iniziato da uno dei miei dubbi più grandi degli ultimi 12 mesi.
La mia domanda scientifica è: ma tutti gli italiani entusiasmati per gli show «Ciao 2020» e «Ciao 2021» usciti sul primo canale della televisione russa la notte di Capodanno 2021 e 2022 cosa potevano (o pensavano di) capirci?
Io, essendo madrelingua russo ed essendo aggiornato sulla cultura popolare russa contemporanea e quella dei decenni passati, capisco:
a) a quali canzoni russe e sovietiche è stata data una sonorità scherzosamente «italianizzata»,
b) chi sono realmente tutti i personaggi che partecipano agli show (e, quindi, perché i loro ruoli fanno ridere),
c) che diverse parole italiane fanno ridere agli spettatori russi a causa della assonanza con le parole russe (e negli show citati quelle parole vengono spesso usate per fare delle battute di un livello… ehm… abbastanza vario),
d) che in diverse scene vengono presi in giro (o almeno «citati») la tv russa e sovietica, i film russi e sovietici, la musica russa e sovietica, i meme russi e molti altri fenomeni culturali e sociali,
e) che i rappresentanti non sempre migliori della musica italiana erano ascoltati nell’URSS (ma anche ora tra le persone di una certa età non particolarmente esigenti/aggiornate) solo perché erano tra i pochi cantanti/musicisti del mondo capitalista che si poteva ascoltare legalmente; gli autori degli show e gli spettatori russi lo sanno benissimo.
Purtroppo o per fortuna, non posso fare finta di non capire tutte le cose appena elencate (come alcune altre ancora), quindi non riesco proprio a guardare quegli show con gli occhi di un italiano. E, di conseguenza, non riesco proprio a capire per quali motivi quegli show siano piaciuti tanto a molti italiani. Che cazius potevano capirci?!
Boh…
Saranno (o sarete?) contenti per il solo fatto che qualcuno all’estero si ricorda della lingua italiana? Ma in questo caso l’italiano è solo un contenitore utilizzato intenzionalmente «male» e, certamente, non per manifestare qualche sentimento verso l’Italia.
Bene, ora vado a scrivere ai miei amici sociologi. Sperando che qualcuno si interessi…
Esistono tanti modi – più o meno efficaci – di stimolare l’innovazione tecnologica a livello nazionale. Non sempre si tratta degli stimoli intenzionali: a volte si diventa innovatori reagendo a qualche situazione sfavorevole creata artificialmente. Uno degli esempi storicamente più interessanti è quello israeliano.
La telediffusione è iniziata in Israele nel 1968. In quel periodo quasi tutto il mondo sviluppato stava ormai passando alla telediffusione a colori, mentre i vertici israeliani erano molto attaccati alla immagine in bianco e nero. Tale arretratezza era giustificata in parte dai motivi economici (le attrezzature per diffondere l’immagine a colori risultavano troppo costose) e in parte dai motivi psicologici (i pionieri della televisione israeliana reputavano superflua l’immagine a colori). Quindi la televisione israeliana rimaneva tutta in bianco e nero.
Ma già negli anni ’70 la televisione israeliana aveva dovuto acquistare le attrezzature per la trasmissione della immagine a colori per le stesse ragioni economiche di prima: praticamente nessuno produceva ormai le attrezzature per l’immagine in bianco e nero, quindi i rispettivi prezzi d’acquisto erano diventati troppo alti.
Allo stesso tempo, la possibilità tecnicamente sempre più vicina di ricevere l’immagine a colori e il correlato import dei televisori a colori erano considerati un lusso inammissibile. Si temeva, infatti, che la televisione a colori potesse danneggiare l’economia nazionale e aumentare le disuguaglianze nella società (un televisore a colori costava circa 1500 USD). Alcuni, inoltre, temevano che la televisione a colori potesse portare a una sensibile riduzione del tempo dedicato dalle persone alla lettura e alla partecipazione alle attività pubbliche, mettendo dunque a rischio le norme tradizionali e la vita familiare.
Di conseguenza, l’unico (all’epoca) canale televisivo israeliano era stato obbligato ad accompagnare tutte le sue trasmissioni dal segnale chiamato Mehikon (letteralmente «cancellatore») per l’oppressione dei colori. Quindi anche i televisori a colori funzionavano come se fossero in bianco e nero. Non vi racconto tutti i dettagli tecnici che rendevano possibile questo trucco: in sintesi, all’epoca l’immagine veniva inviata verso i televisori a righe orizzontali, l’inizio non visualizzabile di ogni riga conteneva delle informazioni sui colori, quindi si interveniva su quella parte del segnale.
Gli ingeneri israeliani comuni non avevano però voluto rassegnarsi a tale limitazione e avevano dunque creato l’anti-mehikon: un dispositivo che si attaccava al televisore e neutralizzava l’oppressione dei colori. Questo strumento costava circa il 10% del prezzo di un televisore a colori. La produzione, l’aggiornamento e la diffusione (tre azioni svolte, ovviamente, in un modo clandestino) di tale dispositivo è continuata fino al 1981, l’anno dell’abbandono del mehikon da parte dello Stato.
C’è chi sostiene che la lotta tecnologica contro il mehikon abbia dato l’inizio ai processi che hanno portato, anni dopo, alla affermazione del Hi-Tech israeliano.
A febbraio la BBC ha iniziato a utilizzare — per alcuni suoi progetti — il proprio nuovo logo. Il fatto divertente, però, è: la gente se n’è accorta solo ora. E la stampa scandalistica si è pure lamentata per il prezzo non ufficialmente noto, ma apparentemente «alto».
Non so perché si lamentino: il buon re-design è sempre quello che porta qualcosa di nuovo senza stravolgere le abitudini degli utenti, quindi paghino pure bene quelli che riescono a rispettare il principio.
(Non sono un contribuente britannico, quindi per me è facile dirlo, ahahaha)
P.S.: se vi state ancora chiedendo quale sia la versione nuova del logo, vi risparmio un po’ di forze per le imprese più importanti. È quello della seconda riga.
I notiziari televisivi albanesi non mi sembrano particolarmente informativi (probabilmente perché non capisco nemmeno una parola), ma almeno fanno accrescere l’interesse per le questioni internazionali. Penso che i giovani vengano sensibilizzati abbastanza facilmente.
No, non è un esempio di fake news: ecco il sito ufficiale del canale televisivo con i rispettivi video.
Pare che sia finito il «Trono di Spade» del quale scrivono pure gli analfabeti.
Io, che non ne ho visto nemmeno una puntata, mi sono guadagnato un posto al museo: in qualità del pezzo da esporre.
Non sono proprio l’unico? Potrebbe anche essere. Allora mi candido alla posizione di colui che vede una serie ogni due anni e non sa bene cosa sia il Netflix (valuto troppo caro il proprio tempo).
Però, conoscendomi, non escludo che tra cinque o dieci anni mi possa venire la curiosità di vedere un paio di episodi del «GoT». Tanto per capire le cause della moda.
Il 20 novembre il cameraman della rete televisiva statunitense Weather Channel aveva cercato di riprendere, come molti suoi colleghi, l’abbattimento dello stadio «Georgia Dome» Atlanta (fu utilizzato per le Olimpiadi del 1996).
Essendo un tipo fortunato, ha avuto una buona compagnia negli attimi migliori dell’avvenimento:
Il sistema operativo Windows 10 partecipa attivamente alla comunicazione delle previsioni del tempo sul canale televisivo statunitense KCII 8:
Come forse avete già letto ieri, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione contro la propaganda russa in Europa.
Si tratta di una mossa di autotutela assolutamente ragionevole. Lo Stato russo spende centinaia di milioni di euro all’anno per finanziare delle istituzioni come il canale televisivo multilingua RussiaToday, la cui attività non può certo essere definita come «diffusione della informazione». A volte operano con dei fatti realmente accaduti: solo a volte, appunto, sono a) fatti e b) realmente accaduti. La pericolosità di tale operato può essere compresa grazie allo studio attento della propaganda araba: la maggioranza degli occidentali, per esempio, è erroneamente convinta che la Striscia di Gaza sia isolata dal resto del mondo per opera del «cattivo» Israele (guardate la mappa, cazzo; cercatevi le vecchie notizie sulla apertura dei valichi con l’Egitto, porco Giove). È solo uno dei tantissimi esempi della propaganda efficace, influenzandosi dalla quale la popolazione occidentale esercita il proprio diritto di voto per poi applaudire delle scelte politiche di dubbio gusto. Di conseguenza, è assolutamente giusto tentare di contrastare la propaganda finché c’è la consapevolezza diffusa del fatto che si tratti proprio della propaganda.
Per le persone capaci di leggere le fonti primarie aggiungo anche il link al testo della risoluzione del Parlamento Europeo.