Nonostante tutto, parlando della eliminazione del generale iraniano Qasem Soleimani bisogna riconoscere due cose.
In primo luogo, ricordiamo che era pur sempre una figura istituzionale. È stato un personaggio particolare, ma è stato eliminato per il volere del Presidente di un altro Stato.
In secondo luogo, dobbiamo renderci conto del fatto che si tratta di un evento prevalentemente di politica interna statunitense. Si tratta di una mossa del gioco politico interno di una persona concreta: Donald Trump.
Trump, infatti, si è svegliato il 1 gennaio del 2020 con la chiara comprensione del fatto di avere dei seri problemi. È vero che nella situazione politica attuale l’impeachment non verrà mai portato a termine: lo impedirebbe la maggioranza repubblicana al Senato. I democratici, però, sfruttano l’assenza di una indicazione precisa circa i termini temporali del voto nel Senato e insistono nel chiedere ai repubblicani di garantire l’interrogatorio delle personalità ritenute complici dei fatti incriminati a Trump.
Trump, da parte sua, ha inventato una sua versione della via d’uscita dalla situazione scomoda: il rischio della guerra nel Medio Oriente (e le conseguenti minacce per gli USA) che dovrebbe unire attorno alla sua figura il popolo e il mondo politico americani.
È una situazione talmente banale e trasparente che non rientra nemmeno nella categoria delle dietrologie da bar. È banale come l’analogia con l’operato pluriennale di un noto collega di Trump: Vladimir Putin. La perenne ricerca del nemico esterno — la cui esistenza giustificherebbe molti comportamenti — è un punto comune tra gli USA e la Russia che non mi sarei mai aspettato di scoprire.
L’archivio del tag «trump»
Negli ultimi tre anni ho sempre pensato che esistessero due Donald Trump quasi completamente indipendenti uno dall’altro. C’è un Trump che scrive su Twitter e c’è un Trump che adotta il comportamento trampista, pensavo io. Non penso che sia necessario definire i due concetti.
Ieri mattina, dopo avere letto le prime notizie sulla eliminazione del generale iraniano Qasem Soleimani, mi sono però ricordato del tweet del 31 dicembre e ho pensato che forse i due Trump a volte si mettono d’accordo tra loro. Bisogna seguirli con più attenzione perché chissà quali alter cose dovrà pagare il mondo (non solo l’Iran).
….Iran will be held fully responsible for lives lost, or damage incurred, at any of our facilities. They will pay a very BIG PRICE! This is not a Warning, it is a Threat. Happy New Year!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) December 31, 2019
Almeno questa volta l’ultimo video domenicale dell’anno è quello capace di caricaci di emozioni positive: sia per la sua qualità (da vedere tutto!), sia per la semplice idea (o, almeno, una illusione festiva) che Donald Trump sia realmente bravo almeno nel canto.
Insomma, oggi sentiamo la «Bohemian Rhapsody» cantata dal Presidente Donald Trump e i suoi migliori amici:
I miei lettori, certamente, conoscono il video originale, ma per sicurezza lo aggiungo comunque: Continuare la lettura di questo post »
Ho sempre visto la Hillary Clinton come una donna politicamente corretta da far morire di noia (come la maggioranza dei politici occidentali, tra l’altro). Ma poi ho letto, per caso, questo suo tweet di domenica sera e ho quasi cambiato idea.
Found in the archives… pic.twitter.com/iFFeqloYHM
— Hillary Clinton (@HillaryClinton) 20 ottobre 2019
Si tratta della presa in giro di questa lettera di Donald Trump a Recep Erdogan:
EXCLUSIVE: I have obtained a copy of @realDonaldTrump’s letter to #Erdogan. @POTUS warns him to not “be a tough guy! Don’t be a fool!” Says he could destroy Turkey’s economy if #Syria is not resolved in a humane way. Details tonight at 8pm #TrishRegan #FoxBusiness pic.twitter.com/9BoSGlbRyt
— Trish Regan (@trish_regan) 16 ottobre 2019
Ma per resistere dal prendere in giro Trump bisogna essere un cadavere.
In teoria si potrebbe sperare o, al contrario, temere. Si potrebbe anche scrivere dei lunghi testi di analisi politica. Ma in realtà bisogna rimanere calmi e indifferenti: non ha alcun senso parlare seriamente dell’impeachment a Donald Trump. Tanto, al Senato non passerà a causa della maggioranza repubblicana.
Penso che la maggioranza dei miei lettori abbia già letto o sentito la notizia sulla preziosissima spia americana al Cremlino. Le fonti primarie della notizia sono ben due: prima la pubblicazione della CNN e poi l’articolo del New York Times, ma di informazioni concrete ne abbiamo poche.
Si tratterebbe di Oleg Smolenkov. Attualmente ha circa 45 anni. Ha lavorato per la CIA per più di dieci anni, non aveva il contatto diretto con Putin ma era al corrente di tutte le sue decisioni, negli ultimi anni aveva l’accesso anche alla scrivania del presidente. Chissà quante cose interessantissime ha confermato o reso note. Nel 2017, in seguito alla seconda proposta, è stato evacuato dalla Russia: assieme alla moglie e ai figli è andato per le vacanze in Montenegro, lo Stato dove l’intera famiglia sparisce nel nulla. Ma si suppone che ora vivano sotto scorta in questa casa a Stafford (in Virginia).
In tutta questa storia non c’è però alcunché di particolare. Da secoli (o millenni?) tutti gli Stati cercano di spiare gli altri. Lo fanno con il successo alternato e in modalità tecniche molto varie, ma costantemente. Certo, in presenza dell’internet, dei satelliti e di tutti gli altri strumenti digitali moderni è un po’ sorprendente leggere di una persona che di nascosto fotografa le carte firmate da un dirigente statale, ma è pur sempre una componente dello spionaggio necessaria.
L’unico aspetto veramente interessante della storia è il motivo per il quale la spia è stata evacuata dalla Russia. L’agente forniva i materiali di massimo interesse e di massima qualità, mai è stato sospettato in Russia e non mai ha chiesto di essere messo al sicuro per qualche paura personale. È stato portato negli USA esclusivamente in seguito alla «scoperta» delle qualità professionali di un’altra persona: il presidente Donald Trump. Quest’ultimo, infatti, tratta con troppa leggerezza tutte le informazioni fornite dalla CIA. Mentre la CIA, a sua volta, non ha alcun potere di comunicare al Presidente solo le informazioni che ritiene sicure per i propri informatori. Trasmette, in base alle regole prestabilite, la stessa entità e la stessa tipologia di dati indipendentemente dal nome del presidente. Ed è quest’ultimo a decidere su come utilizzare quanto ricevuto.
Nei termini del breve periodo Trump, non controllando la propria lingua, ha già messo in pericolo una quantità a noi sconosciuta di agenti in giro per il mondo. Semplicemente, in forza ai propri carattere e capacità intellettuali, è abituato a vantarsi pubblicamente di ciò che possiede. Nei termini del lungo periodo, invece, ha messo in pericolo l’efficienza della CIA. Se lavorare è pericoloso, ritirano gli agenti e lavorano di meno. Se lavorano di meno, perdono le opportunità e le abilità (come tutte le organizzazioni e tutti gli umani). Quanto Trump, finalmente, diventa un ex-presidente, quanto ci metterà la CIA a tornare ai livelli professionali di prima? Lo chiedo non da tifoso, ma da semplice curioso.
Ah, se fossi un amante delle teorie del complotto, avrei temuto l’eliminazione del presidente chiacchierone da parte della organizzazione arrabbiata. Meno male che sono mentalmente sano almeno in questo senso.
Non tutto lo ricordano, ma nel 1946 gli USA proposero già alla Danimarca di vendere la Groenlandia per 100 milioni di dollari in oro (circa 1,3 miliardi di dollari di oggi).
Secondo i militari statunitensi dell’epoca, il territorio della Groenlandia sarebbe stato il più grande «portaerei fisso» al mondo, importante quanto la Alaska.
La seguente mappa illustra l’importanza strategica dei due territori:
Donald Trump non sarà tanto aggiornato sulla importanza della proprietà dei territori, ma dobbiamo constatare che non tutte le idee folli da egli espresse nascono nella sua testa.
Il video (brevissimo) di oggi è stato girato durante il summit del G20 a Osaka. I Capi di Stato e di Governo eseguono, con prontezza variabile, un comando semplice e categorico.
Io l’ho riviso diverse volte…
Possiamo imparare molto dai metodi di Donald Trump di tutelare la «sicurezza nazionale». Leggiamo, per esempio, l’interessantissimo articolo «Trump’s latest explanation for the Huawei ban is unacceptably bad» e prestiamo l’attenzione alla seguente citazione:
TRUMP: Huawei is something that’s very dangerous. You look at what they’ve done from a security standpoint, from a military standpoint, it’s very dangerous. So it’s possible that Huawei even would be included in some kind of a trade deal. If we made a deal, I could imagine Huawei being possibly included in some form, some part of a trade deal.
REPORTER: How would that look?
TRUMP: It would look very good for us.
REPORTER: But the Huawei part, how would you design that.
TRUMP: Oh it’s too early to say. We’re just very concerned about Huawei from a security standpoint.
Tenuto conto anche degli avvenimenti precedenti, possiamo osservare che secondo Trump l’azienda Huawei è pericolosissima per gli Stati Uniti, è il nemico numero uno. Ha vilato l’embargo dell’Iran, spia gli americani a favore della Cina, risponde direttamente al Governo e i servizi segreti cinesi etc etc. Quindi il mostro va fermato.
Subito dopo, però, Trump afferma che può cancellare la Huawei dalla lista nera qualora dovesse andare a buon fine la trattativa sugli accordi commerciali con la Cina. Gli accordi commerciali favorevoli agli USA farebbero automaticamente diventare la Huawei non pericolosa per gli americani…
Almeno c’è da riconoscere che è un tipo stupidamente onesto: non nasconde che le sanzioni contro la Huawei sono solo uno strumento diplomatico e non una conseguenza della preoccupazione maniacale per la sicurezza.
P.S.: nei giorni scorsi avete sicuramente letto o sentito che in seguito alle sanzioni americane la Huawei dovrebbe perdere l’accesso — tra le altre cose — alla licenza dell’Android e di altri strumenti della Google. Ebbene, dovrei tranquillizzare i possessori dei telefoni Huawei: i vostri apparecchi non smetteranno di funzionare ma, al massimo, avranno dei problemi con gli aggiornamenti. Alle persone che stanno invece pensando di comprare un nuovo smartphone in questo periodo, consiglierei di optare verso altre marche.
P.P.S.: da quello che vedo, il mercato degli smartphone contemporaneo è diviso in due fronti: gli iPhone da una parte e qualche migliaio di telefoni quasi identici tra loro dall’altra. Quindi la scelta mi sembra scontata.
Come avrete già letto o sentito, dal «rapporto Mueller» risulta che non ci sarebbe stato un accordo tra Trump e Putin (due nomi collettivi) circa l’ingerenza russa nelle elezioni presidenziali statunitensi del 2016. Il commento migliore di tale notizia è già stato fatto dal caricaturista russo Sergej Jolkin:
«Il procuratore speciale Mueller non ha trovato il legame»
A questo punto, in via straordinaria, dovrei essere io ad aggiungere qualcosa di serio.
Aggiungerei due piccole e banali considerazioni solo parzialmente inerenti alla notizia citata all’inizio. Prima di tutto, ritengo esagerata la portata attribuita da alcuni giornalisti all’intervento russo nelle elezioni americane (intervento non negato dai procuratori americani). Allo stesso tempo, nelle azioni del genere a contare è l’azione stessa e non il risultato.
Di conseguenza, Trump si è liberato da una accusa, ma rimane comunque un produttore dei problemi politici molto efficiente. I politici russi che in questi giorni festeggiano la non-scoperta di un accordo non si rendono probabilmente conte del contenuto delle accuse a proprio carico.