Come probabilente avete già letto, l’ultima porzione delle sanzioni statunitensi nei confronti della Russia ha prodotto dei forti effetti finanziari. Questo, per esempio, è il crollo delle azioni di Rusal alla borsa di Hong Kong:
Rusal è uno dei maggiori produttori di alluminio al mondo; attualmente il suo azionista principale è Oleg Deripaska (48,13%).
Mentre le perdite dei russi più ricchi stimate da Forbes sono queste (riporto solo la cima della lista):
Perché tutte queste informazioni sono potenzialmente interessanti ai miei lettori? Perché i miei lettori hanno studiato l’economia e quindi sanno che le azioni vanno comprate proprio nei momenti come questo.
Inoltre, molti dei miei lettori sanno o immaginano che anche le Società colpite dalle sanzioni occidentali sono in grado di riprendersi dal colpo iniziale di lavorare con successo per decenni.
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Ieri, il 6 agosto 2017, è stato un interessante anniversario: tre anni dell’embargo alimentare russo.
Chi conosce il francese, può leggere un breve riassunto della sua storia su wikipedia. Io, invece, colgo l’occasione per ricordare un concetto stranamente ignoto a molti italiani (e occidentali in generale): l’embargo dei prodotti alimentari occidentali è stato inventato e imposto dalla Russia, con il decreto presidenziale № 560 firmato da Vladimir Putin il 6 agosto 2014.
Non so se sia più la colpa della propaganda o della semplice logica buonista, ma in pochi riescono a immaginare che uno Stato possa decidere di limitare i propri cittadini nelle basilari scelte alimentari. Eppure l’autosanzione russa è una risposta perversa alle sanzioni occidentali di vario genere (prevalentemente restrizioni economiche) contro i determinati politici e organizzazioni russe responsabili della annessione della Crimea. La prima di tali sanzioni fu l’ordinanza di Barack Obama del 6 marzo 2014.
In sostanza, la logica degli inventori dell’embargo è stata: voi punite noi, dunque noi in risposta puniamo i nostri cittadini.
Gli effetti dell’embargo, infatti, furono facilmente prevedibili. Secondo un rapporto della CEPII, tra l’agosto 2014 e il giugno 2015 il 78,1% degli introiti europei mancati non erano dovuti alle sanzioni contro la Russia e non all’embargo russo. Nel corso dei primi due anni della esistenza dell’embargo alimentare l’UE aveva stanziato appena 280 milioni di euro per compensare agli agricoltori europei le perdite dovute al suddetto embargo; nel periodo tra l’agosto e il novembre 2014 (cioè nel primissimo periodo che avrebbe dovuto essere il più pesante), furono utilizzati solamente 37 su 125 milioni. Le economie europee sviluppate hanno trovato relativamente in fretta i nuovi mercati per i propri prodotti; l’unico Stato che soffre ancora in un modo sensibile l’embargo russo è la Polonia, abituata a esportare una grande quantità di mele.
In Russia, invece, in conseguenza all’embargo sono aumentati i prezzi dei prodotti alimentari, si sono ridotti la qualità media e la varietà dei prodotti. Il calo della qualità è dovuto alle condizioni precarie della industria alimentare nazionale (mancanza delle tradizioni produttive, standard inferiori, controlli rari e inefficienti) e la ricerca delle materie produttive sostitutive da parte dei produttori russi (per esempio, già nel 2015 è aumentato del 26% l’import del famoso olio di palma non colpito dall’embargo). L’aumento dei prezzi è dovuto non solo alla riduzione della concorrenza da parte dei produttori occidentali, ma pure alle nuove tendenze dell’import. Infatti, molti dei prodotti vietati con l’embargo continuano a entrare in Russia perché rietichettati in Bielorussia (ho sempre detto che Lukashenko è un genio capace di guadagnare su qualsiasi casino che succede nella regione).
Alcuni esempi dell’aumento dei prezzi al dicembre 2015 (dopo quasi 17 mesi della introduzione dell’embargo):
– pesce 23%
– burro 11%
– mele 14%
– carne di bovino 16%
– carne di maiale 27%
Ovviamente, la crescita dei prezzi è continuata anche nel 2016 e nel 2017.
Inoltre, nel periodo tra il 2013 e il 2015 la popolazione russa è aumentata del 2%, mentre la produzione delle carni e del latte solo di 1%. I prodotti derivanti dalla pesca nello stesso periodo si sono ridotti del 5%.
In queste condizioni siamo giunti al terzo anniversario dell’embargo alimentare russo. Quell’embargo che è stato pensato come una contromisura adeguata alle sanzioni occidentali per l’annessione della Crimea. In sostanza, è uno dei prezzi da pagare.
Pare che le turbine a gas della Siemens arrivate in Crimea siano già quattro.
Si potrebbe entrare nei dettagli tecnico-giuridici per capire se le turbine siano da considerare dei prodotti europei per il settore energetico la cui fornitura alla Crimea è vietata dalle sanzioni dell’UE (le turbine sono prodotte da una joint production tra la Siemens e il Power Machines).
Ma oggi vorrei dedicarmi a un argomento un po’ più ampio: la reale vitalità delle sanzioni economiche europee contro la Russia.
Trovo interessante parlarne servendomi proprio del caso di cui sopra. Ripensiamo, prima di tutto, ai suoi passaggi essenziali.
La Crimea è totalmente priva della produzione propria di energia elettrica, dipendendo in tale ambito dalla Ucraina. Di conseguenza, subito dopo l’annessione in Russia fu presa la decisione di costruire due centrale termoelettriche: una in Crimea e una a Toman (dall’altra parte dello stretto di Kerc, di fronte alla Crimea).
Nell’agosto del 2015 il Technopromexport (uno dei principali appaltatori delle centrali) ordina quattro turbine della Siemens (il modello SGT-2000E), indicando che tutte servono per la centrale di Toman. In base alle caratteristiche dichiarate della centrale, però, questa ultime avrebbe avuto bisogno di sole due turbine. I mass-media iniziano a pubblicare le notizie sul presunto fatto che tutte e quattro le turbine servano per la centrale della Crimea.
Nel giugno del 2016 è stata annullata la gara d’appalto per la costruzione della centrale della Toman per l’assenza di aziende interessate. Le quattro turbine sono state messe in vendite e il Technopromexport ha ufficialmente ricordato che non possono essere utilizzate in Crimea.
Nel dicembre 2016 la Siemens ha interrotto la fornitura delle attrezzature per il funzionamento delle turbine, subendo dunque una minaccia di cause legali. Il tentativo di vendere le turbine già fornite non è andato a buon fine.
Dopo le notizie sull’arrivo delle prime due turbine in Crimea, la Siemens ha annunciato una denuncia penale nei confronti di coloro che hanno fornito le turbine alla Crimea.
Ecco, la vera bellezza economica sta proprio in quest’ultimo punto. La Siemens, dal punto di vista legale, può fare quello che le pare: non solo fare le denunce penali, ma pure chiedere il risarcimento dei danni economici o d’immagine in via civile. In ogni caso, la competenza territoriale sarà del giudice russo, cioè del giudice più indipendente al mondo. Cioè un giudice che non aspetta le istruzioni telefoniche dal Cremlino o una usb con il testo della decisione pronto proveniente da altri uffici competenti.
Voglio essere compreso bene: i dirigenti della Siemens non sono dei bambini ingenui, sanno come funzionano le cose in Russia. E non si aspettano il rientro delle proprie turbine. Ogni manager sa di essere pagato per venderei prodotti della propria azienda. Qualsiasi decisione del giudice russo darà ai manager della Siemens un motivo in più per dire «non è colpa nostra, abbiamo fatto il possibile» e, allo stesso tempo, dimostrare agli azionisti di svolgere con profitto le proprie funzioni lavorative.
Le lezioni che dobbiamo imparare noi da questa storia sono due: non dobbiamo essere idealisti; i vincoli sono fatti per essere raggirati.
Nella prossima puntata racconterò perché le sanzioni personali sono più efficienti di quelle economiche.
In questi giorni vi è sicuramente capitato di leggere del presunto «gruppo diversivo ucraino» che avrebbe tentato di introdursi in Crimea per compiere degli atti terroristici. Si tratta di una «notizia» diffusa dalle istituzioni russe: pur essendo un comunicato che ha una scarsa credibilità anche agli occhi delle persone più ingenue, merita di essere commentato.
Prima di tutto bisogna sottolineare il fatto che la descrizione della «invasione» ha subito dei cambiamenti radicali nel corso di un tempo molto breve. Il gruppo ha attraversato il confine supportato dal fuoco della artiglieria (per attirare attenzione?), no, anzi, di nascosto. Il gruppo aveva un notevole carico di armi ed esplosivi, no, anzi, questi dovevano essere portati da un secondo gruppo non ancora arrivato. Il gruppo aveva l’obbiettivo di fare un attentato in una fabbrica (ops, appartiene a un oligarca ucraino), quindi no, voleva fare un attentato al passaggio delle auto istituzionali (ops, all’est ucraino occupato succede anche senza di loro), quindi no, volevano fare delle esplosioni sulle spiagge per compromettere la stagione turistica (ops, siamo già a metà agosto), quindi no… Etc, etc.. E, ovviamente, il gruppo non sapeva della massiccia presenza di militari e esponenti del FSB sulla penisola: triplo ahahahaha. Insomma, la storia è piena di dettagli mal progettati.
La spiegazione della comparsa di una notizia simile è molto semplice: le massime cariche istituzionali russe hanno inventato un modo di evitare il prolungamento delle sanzioni europee a partire dall’inizio del 2017. Come? Facendo passare l’Ucraina per uno Stato-terrorista, uno Stato che avrebbe delle sue grosse responsabilità nel fallimento di tutti gli accordi di pace presenti e futuri. Se non dovesse funzionare, se gli interessi della Russia in quella area geografica non dovessero dunque essere riconosciuti legittimi, allora all’inizio del 2017 si passerà alle azioni veramente forti. Ma non prima.
Come saprete, pochi giorni fa Aleksander Lukashenko ha visitato l’Italia. Si tratta di una delle migliori illustrazioni del fatto che la coerenza viene sempre premiata.
Infatti, si tratta sempre dello stesso Lukashenko di dieci o quindici anni fa. Come avevo già scritto, pur tenendo sempre lo stesso atteggiamento politico, Lukshenko ora non risulta più «il più cattivo d’Europa», ma solo un pacificatore poco simpatico. Oltre alla revoca della maggior parte delle sanzioni europee, ora è stato premiato pure con lo status di un politico che può essere trattato alla pari di alcuni suoi colleghi asiatici: non sono tanto democratici e/o simpatici, ma sono utili e capaci di parlare in modo costruttivo.
A fare il «Rogue State» dell’Est è ora la Russia. Quindi non mi resta cho complimentarmi, ancora una volta, con Lukashenko per la sua incredibile capacità di sfruttare qualsiasi errore dello Stato russo a proprio favore. Fino a due anni fa quella capacità trovava la sua applicazione quasi esclusivamente nei rapporti bilaterali. Ma arriva sempre e per tutti il momento di iniziare a giocare in grande.
Si è saputo oggi che il vicepremier Dmitry Rogozin si è sparato, per caso, a una gamba in un poligono di tiro. Sarebbe successo la settimana scorsa, ma la notizia è uscita oggi.
Lasciando da parte il fatto che il personaggio in questione è dotato di una intelligenza «alternativa», posso sottolineare che la sua ultima impresa ricorda tantissimo la politica estera russa degli ultimi tre anni («sanzioni» economiche in risposta a quelle personali adottate dagli Stati occidentali, il divieto delle adozioni da parte degli stranieri etc.).
L’altro ieri avevo scritto delle misure prese dalla Russia in risposta al abbattimento del bombardiere russo da parte della Turchia. Oggi, invece, abbiamo saputo che la Turchia, contrariamente alla analoga mossa russa, ha deciso di non reintrodurre l’obbligo di visto per i cittadini russi.
Questo significa che i governanti russi, ancora una volta, hanno sanzionato i propri cittadini in risposta al «comportamento non amichevole» di uno Stato terzo. Questa volta, in particolare, i cittadini russi sono stati privati di una popolare meta turistica a basso costo.
Una situazione analoga era già successa con le famose controsanzioni alimentari, introdotte in risposta alla reazione occidentale alla annessione della Crimea. Nel 2014, infatti, in Russia era stato vietato l’import della maggior parte dei prodotti alimentari da UE, USA, Australia e alcuni altri Stati. Ora in Russia quei prodotti mancano del tutto o arrivano con le etichette bielorusse e i prezzi triplicati. I produttori nazionali, che in uno Stato normale avrebbero dovuto essere premiati da una situazione del genere, sono quasi inesistenti. L’economia russa, infatti, gira tutta attorno risorse naturali.
Insomma, niente cibo sano e fresco, niente mare caldo. Non sappiamo quale sarà la prossima mossa, ma sappiamo che Putin è un grande.
L’odierno Regolamento del Consiglio EU 1351/2014 che introduce le sanzioni europee contro la Crimea è uno dei pochi documenti sensati in materia (ecco il testo completo). Almeno in parte. Di fatto vieta qualsiasi forma di turismo organizzato in Crimea per gli europei. Ed è una cosa logica, considerato che per la Russia l’unica possibilità di rendere la penisola annessa economicamente sana è quella di rilanciare le sue strutture turistiche (popolarissime ai tempi dell’URSS e decadenti oggi). Il potenziale turistico a parte, la Crimea è una regione totalmente inutile: non ha un caz…o di economicamente valido/attraente.
Quello che mi ha sorpreso un po’, è l’elenco delle cose che non possono più essere fornite alla Crimea (inizia alla pagina 5 del documento). In sostanza, non riconoscendo la Crimea come una parte della Russia, non hanno potuto vietare la fornitura di quelle merci con l’utilizzo della Russia come l’intermediario. Di conseguenza, qualche grossa azienda russa, «magari» creata apposta da qualche imprenditore simpatico a Putin, potrà guadagnarci sopra.
A questo punto ricordo che in precedenza la maggior parte delle sanzioni europee di carattere economico era indirizzata proprio contro le aziende e grandi imprenditori russi. Con le sanzioni contro la Crimea, dunque, l’UE è entrata in un conflitto di logica con se stessa.