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Le sanzioni contro Tinkov annullate

Ho letto che le autorità britanniche hanno annullato le sanzioni personali imposte a Oleg Tinkov. Questa decisione è giusta e buona (nonostante tutte le stranezze personali e le ragioni non del tutto ovvie delle sue azioni, Tinkov ha comunque condannato la guerra in Ucraina), ma, purtroppo, è finora unica. Sembra che abbia avuto più importanza la sua lunga amicizia con Richard Branson che la tanto attesa presa di coscienza da parte degli Stati europei della necessità di lasciare il folle Putin senza dei sostenitori ricchi sul territorio russo.
Ci sono molte altre verità apparentemente ovvie che devono essere spiegate a lungo e duramente ai politici occidentali. Purtroppo, mi sembra sempre più importante e promettente che spiegare qualcosa alla maggioranza dei russi.


Uno degli effetti delle sanzioni

Per oltre un anno molte persone (con delle idee politiche molto varie) mi hanno chiesto se e perché le sanzioni occidentali non causino dei problemi alla economia russa. E io ho sempre cercato di spiegare che l’effetto delle sanzioni non può essere immediato…
Ma ecco che, finalmente, posso mostrare uno degli effetti che si sono finalmente messi in evidenza in un modo comprensibile più o meno a tutti.

Perché il rublo russo si sta svalutando tanto? Non è solo un tipico fenomeno stagionale (estivo). Ha anche almeno due altre spiegazioni. In primo luogo, i soldi che ancora arrivano in Russia grazie alla vendita delle materie prime possono essere spesi in pochissimi modi. In secondo luogo, continua essere molto alta la tendenza di portare i capitali fuori dalla Russia, al sicuro (tecnicamente è abbastanza difficile, ma la gente che ha le somme serie è motivata a provare alcune vie poco convenzionali che vi risparmio).
L’importante è capire che le sanzioni producono sempre i loro effetti.


La lettura del sabato

I giornalisti di Important Stories, insieme ai colleghi di OCCRP, Times, Der Spiegel, Le Monde, Forbes e altri media, hanno pubblicato un’inchiesta sui fratelli-«oligarchi» Boris e Arkady Rotenberg, molto vicini a Vladimir Putin (ed è per questo motivo che sono tanto ricchi). Da decine di migliaia di documenti ed e-mail dei dipendenti della società di gestione trapelati — il cosiddetto «archivio Rotenberg» — i giornalisti hanno scoperto che, nonostante le sanzioni occidentali, i Rotenberg sono stati in grado di conservare una parte considerevole dei loro beni all’estero.
Il sistema stesso di conservazione dei beni di personaggi sottoposti alle sanzioni può essere interessante quanto i migliori gialli concepiti dagli autori più fantasiosi. E, allo stesso tempo, dobbiamo ricordare che tutti quei beni saranno un giorno l’oggetto di una lunga e difficile caccia da parte dei giuristi che saranno impegnati nella raccolta dei soldi russi in tutto il mondo per ricostruire l’Ucraina postbellica.
Quindi si può provare a leggerne qualcosa.


Un rapporto della società di consulenza britannica Henley & Partners sulla migrazione dei ricchi del mondo afferma che 8500 milionari (in dollari americani) hanno lasciato la Russia nel 2022: quasi la metà di quanto previsto dalla stessa società (che si aspettava che 15.000 milionari – in dollari americani – avrebbero lasciato la Russia nel 2022: il 15% della loro quantità totale alla fine del 2021).
In base a un commento della Henley & Partners, la quantità inferiore dei ricchi «scappati» è stata determinata sia dalle misure sanzionatorie (ad esempio, la chiusura di molti programmi di cittadinanza e residenza per i russi, la chiusura dei conti bancari esteri) sia dai meccanismi specifici di ciascun Stato che hanno reso difficile il trasloco di molti russi ricchi.
Tradotto in un linguaggio umano, questo significa che nemmeno gli analisti di una società di consulenza hanno saputo prevedere la miopia dei vertici della maggioranza degli Stati occidentali. Questi ultimi, infatti, non hanno fatto una particolare distinzione tra i ricchi russi favorevoli o contrari alla guerra e hanno ostacolato la fuga dalla Russia di tutti. In questo modo hanno lasciato, in sostanza, i soldi di tutti i ricchi a disposizione di Putin (il quale ha la piena libertà di introdurre nuove tasse o «contributi straordinari» a favore della guerra, incarcerare gli imprenditori, costringerli a vendere le loro attività a prezzi bassi etc. etc.).
Effettivamente, se la stupidità avesse dei limiti, sarebbe anche prevedibile e dunque meglio affrontabile.


La lettura del sabato

La lettura consigliata per questo sabato è l’inchiesta congiunta di Important Stories, Der Spiegel e OCCRP dedicata al modo in cui la Russia aggira le sanzioni occidentali acquistando ogni mese droni e microelettronica per milioni di dollari attraverso il Kazakistan.
Per esempio, gli autori dell’inchiesta hanno scoperto che le importazioni di microelettronica del Kazakistan sono più che raddoppiate dopo l’inizio della guerra, passando da 35 a 75 milioni di dollari. Le esportazioni kazake di microchip verso la Russia sono aumentate di due ordini di grandezza in un colpo solo, da 245.000 dollari a 18 milioni di dollari…
Ma leggete tutta l’inchiesta: riguarda tanti aspetti dell’import militare russo effettuato attraverso il Kazakistan.


Una scelta anomala

Ieri sera mi è capitato di leggere una delle notizie più anomale riguardanti – in un modo laterale – la guerra in Ucraina: l’azienda Pernod Ricard – il produttore francese di alcolici (vodka Absolut e gin Beefeater) – ha ripreso le forniture dei propri prodotti in Russia. E, soprattutto, ha ripreso di farlo senza nasconderlo ma comunicando ufficialmente il fatto. Ricordo che le forniture erano state interrotte poco dopo l’inizio della guerra in Ucraina nell’ambito delle numerose «sanzioni aziendali», quando le aziende occidentali avevano deciso, per motivi etici e morali, di non guadagnare più sul mercato russo e non pagare dunque le tasse allo Stato russo. La svedese Kristianstadsbladet ha citato la vicepresidente del marchio Absolut vodka Paula Eriksson: «il gruppo sta fornendo i prodotti sufficienti a proteggere i dipendenti locali e ad assicurare che le organizzazioni locali siano economicamente sostenibili». Eriksson ha inoltre sottolineato che Pernod Ricard sta rispettando le sanzioni imposte dall’UE (non è difficile: la sua azienda non produce i vini pregiati).
Fortunatamente, non sono un esperto di vodka e di gin, quindi non posso dire alcunché sulla qualità di Absolut e di Beefeater. Non mi ricordo nemmeno quanto siano presenti nei negozi italiani. Ma mi ricordo abbastanza bene che almeno la vodka Absolut è stata popolarissima in Russia più o meno dalla metà degli anni ’90, forse anche dal momento in cui era iniziata l’importazione legale degli alcolici occidentali. Di conseguenza, mi sento quasi giustificato a pensare male – come, del resto, sono solito di fare – e presumere che nel corso dell’ultimo anno gli affari di Pernod Ricard stavano andando veramente male. Altrimenti non so come spiegare la scelta di correre gli eventuali rischi reputazionali (e, in futuro, forse non solo) legati al ritorno anziché tentare di vendere il resto delle proprie attività in Russia (come stanno facendo le altre aziende).
Indirettamente viene confermato lo stereotipo del «mercato dei bevitori russo». Allo stesso tempo, viene confermata l’incomprensione del fatto che i consumatori russi hanno iniziato a risparmiare un po’ su tutto, anche sulla qualità.
Però i miei contatti dicono che molte delle persone rimaste in Russia da quasi un anno bevono più di prima, quindi alla Pernod Ricard potrebbe andare anche bene.


Una collaborazione dei pari

Con una certa nostalgia mi ricordo i tempi – che in realtà erano durati più o meno fino alla fine del 2021 – in cui mi capitava spesso di rassicurare i miei amici e conoscenti sulla qualità delle compagnie aeree russe. Il principio generale di quelle rassicurazioni era molto semplice: le compagnie aeree russe utilizzavano degli aerei buoni sulle tratte internazionali e, spesso, dei rottami sulle tratte nazionali. Si trattava di una situazione in un certo senso economicamente logica: sul mercato dei voli internazionali c’è tanta concorrenza, ma si guadagna anche bene (e spesso in valuta estera), quindi conviene prendere in leasing gli aerei nuovi e farli utilizzare ai piloti più preparati.
Ma poi, il 24 febbraio 2022, Putin ha invaso l’Ucraina, sono arrivate le sanzioni contro la Russia, i principali produttori degli aerei hanno smesso di fornire i velivoli, i pezzi di ricambio e l’assistenza alle compagnie russe. Queste ultime, seguendo l’"autorizzazione" di Putin, non hanno restituito gli aerei presi in leasing e hanno iniziato a smontare gli aerei un po’ più datati per poter continuare a riparare (ormai con le proprie forze) quelli un po’ più recenti. E poi non parlo del software e dei sistemi di navigazione che non possono più essere aggiornati… I miei amici e conoscenti europei, però, non dovrebbero preoccuparsi per questo aspetto: le compagnie russe non vanno più verso l’Occidente anche per non farsi sequestrare gli aerei rubati.
Allo stesso tempo, devo in qualche modo continuare ad aggiornare, almeno a volte, i miei lettori sull’argomento: non si sa mai dove e come vi capita di spostarvi… Ebbene, il 5 aprile l’Aeroflot, la più grande compagnia aerea russa, ha per la prima volta inviato un aereo della propria flotta (un Airbus A330-300 con il numero RA-73700) in Iran per la manutenzione. Potrebbe sembrare una scelta tecnicamente sensata, visto che i tecnici iraniani hanno ormai fatto una certa esperienza nel trattare gli aerei nelle condizioni delle sanzioni molto simili, mentre in realtà l’intero settore aereo iraniano è considerato abbastanza poco sicuro proprio perché mancano i pezzi di ricambio originali e le macchine utilizzate sono molto vecchie. Ed è abbastanza impressionante la velocità con la quale la Russia ha iniziato la discesa ai suoi livelli.


Il prezzo fisso del petrolio russo

Nei giorni scorsi avete sicuramente letto che l’UE e i membri del G7 hanno finalmente deciso di imporre un prezzo fisso al petrolio russo. Tale prezzo inizialmente sarà di 60 dollari al barile, ma la somma è in realtà solo un dettaglio poco significativo.
Infatti, dal punto di vista economico l’idea del prezzo fisso non è proprio il massimo. Capisco benissimo l’intenzione di colpire il regime politico russo e il tentativo di non finanziare la guerra, ma il mercato del petrolio rimane sempre globale. Di conseguenza, il prezzo fisso viola le leggi del mercato, aumenta il costo dell’energia e permette agli acquirenti di guadagnare sulla aggressione russa (qualcosa del genere sarebbe successo anche con tutte le altre merci di questo mondo). Mi sembra che sarebbe molto più giusto e sensato permettere alla Russia di vendere qualsiasi quantità di petrolio al prezzo di mercato, ma a una condizione.
Tutto il petrolio russo dovrebbe essere venduto attraverso un fondo speciale, che stabilirà la redditività approssimativa della sua estrazione (più o meno 30 dollari al barile). Tale importo andrebbe trasferito sul conto delle compagnie petrolifere che hanno estratto il petrolio venduto. Altri 5 dollari ricavati dalla vendita di ogni barile andrebbero messi da parte in un conto speciale: la Russia potrà spendere il denaro accumulato su quel conto per l’acquisto di qualsiasi bene umanitario, per esempio medicinali. Tutto il rimanente dalla vendita del petrolio potrebbe essere trasferito alla Ucraina in qualità del risarcimento per i danni della guerra.
Facciamo un esempio pratico. Supponiamo che il normale prezzo di mercato di un barile del petrolio Urals sia di 65 dollari: l’Ucraina riceverà 30 dollari per ogni barile venduto dalla Russia. Si tratterrebbe non solo di una giustizia economica, ma anche di quella psicologica: i residenti del Cremlino osserveranno, con terrore e disperazione, che ogni barile venduto sta aiutando l’Ucraina e non la guerra.
Ovviamente è una soluzione meno facile di quella del prezzo fisso (ma le soluzioni facili funzionano?) e almeno in parte raggirabile (ma lo è pure quella del prezzo fisso), ma può essere in qualche modo provata.
Purtroppo, non sono (ancora) un economista di fama mondiale, ahahahahaha


Il nuovo reato europeo

Oggi il Consiglio ha adottato all’unanimità la decisione di aggiungere la violazione delle misure restrittive (nel linguaggio più comune e umano si chiamano sanzioni) all’elenco dei «reati dell’UE». Dunque, ora i tentativi di raggirare le sanzioni entreranno, quasi sicuramente, in una buona compagnia: il terrorismo, il traffico degli esseri umani, lo sfruttamento sessuale di donne e bambini, il traffico di droga e armi, il riciclaggio di denaro, la corruzione, la contraffazione di valuta, la criminalità informatica e la criminalità organizzata.
Considerando il contesto nel quale solitamente vengono adottate le sanzioni, la suddetta notizia diventa però meno comica. Il dettaglio che mi interessa maggiormente è la definizione che verrà data al nuovo reato: le sanzioni europee (e non solo europee) sono talmente diverse tra esse (e appartengono a ambiti molto diversi) che non riesco a immaginare una norma unica e specifica. Di conseguenza, ora sono proprio in attesa di osservare tanta comicità pseudo-giuridica nei prossimi mesi.


Leggendo l’ottavo pacchetto

Ovviamente, nemmeno l’ottavo pacchetto delle sanzioni europee contro la Russia putiniana poteva nascere senza una palese  minch  idiozia nel proprio testo. Intendo questo passaggio:

The existing prohibitions on crypto assets have been tightened by banning all crypto-asset wallets, accounts, or custody services, irrespective of the amount of the wallet (previously up to €10,000 was allowed).

Proviamo a immaginare chi viene colpito dal provvedimento in questione.
I politici e i funzionari russi che vorrebbero salvare i propri soldi? Per quei personaggi 10 mila euro sono spiccioli. Inoltre, sanno benissimo di non poter usare i propri soldi e i propri beni materiali all’estero. Sul territorio russo, invece, utilizzano tranquillamente i rubli.
I militari russi? La maggioranza schiacciante di loro non ha dei soldi da salvare. Gli alti ufficiali, oltre a trovarsi nella stessa situazione degli alti funzionari, non ha il diritto di viaggiare all’estero.
I poliziotti e i membri di altre strutture di sicurezza? La loro situazione è simile a quella dei militari.
I civili che sostengono il regime di Putin? Le sanzioni europee non prevedono alcun strumento per riconoscerli.
I civili che partono dalla Russia per scappare dalla mobilitazione, dalle persecuzioni politiche o, semplicemente, dall’ambiente moralmente pesante? Sì, cazius, rimangono proprio loro. Quelle persone che ora si trovano senza una abitazione fissa, spesso senza un lavoro e senza troppi contanti, molto probabilmente senza [almeno per ora] carte bancarie pienamente funzionanti (per queste ultime le opzioni sono tante, il fatto generale è che non tutti hanno un conto bancario europeo). Quelle persone che, pur essendo partite, molto spesso devono in qualche modo sostenere economicamente qualche parente rimasto in Russia (sì, le transazioni bancarie dirette sono, ehm, problematiche in entrambe le direzioni). Esattamente quelle persone che sono contrarie alla politica di Putin.
È veramente strano che qualcuno debba ancora essere illuminato sul fatto che la popolazione russa non è composta solo da Putin e dai suoi servi fedeli.