L’archivio del tag «sanzioni»

La lettura del sabato

Chi segue le statistiche della invasione russa dell’Ucraina molto probabilmente conosce, tra le altre cose, anche il fatto che uno dei maggiori e costanti successi dell’esercito ucraino consiste nell’affondamento delle navi da guerra russe. È un successo che incide più sulla logistica militare russa che sull’andamento degli scontri sulla terra ferma, ma è comunque un successo. Per costruire le nuove navi ci vogliono tanto tempo, tanti soldi e tante componenti di produzione estera. Questa ultime, in particolare, non potrebbero essere fornite alla Russia a causa delle sanzioni…
Ecco: l’articolo che segnalo questo sabato racconta di certe aziende europee che stanno aiutando lo Stato russo nel minimizzare i «danni» almeno dell’ultimo dei tre ostacoli elencati.
Purtroppo, suppongo (e, relativamente ad alcuni altri ambiti, so) che ci siano anche altre aziende che si stanno impegnando nella stessa missione.


L’arresto costoso

La Bloomberg scrive, con riferimento ai documenti giudiziari depositati presso il Tribunale distrettuale di Manhattan, che il Dipartimento di Giustizia degli USA ha chiesto al tribunale l’autorizzazione a vendere il superyacht «Amadea», che apparterrebbe al senatore e miliardario russo Suleiman Kerimov. Lo yacht in questione è di 106 metri, ha il valore di 325 milioni di dollari ed è stato arrestato alle Fiji su richiesta degli USA nell’aprile del 2022 in seguito alle sanzioni imposte alla Russia dopo l’inizio della grande guerra in Ucraina. Le autorità statunitensi affermano di pagare 600.000 dollari al mese per la manutenzione dello yacht: questo importo comprende 360.000 dollari per pagare l’equipaggio, 75.000 dollari per il carburante dello yacht (presumo che nel caso di uno yacht fermo serva solo per la generazione della corrente elettrica) e 165.000 dollari per la manutenzione, il ritiro della spazzatura e altre spese.
Le autorità statunitensi sostengono, abbastanza logicamente, che le suddette spese dovrebbero essere sostenute da chi si dichiara il reale proprietario del bene arrestato (un altro personaggio russo sottoposto alle sanzioni). Mentre io posso suggerire una alternativa: può rivelarsi utile anche negli Stati europei, dove si trovano tanti altri beni russi arrestati. È vero che la responsabilità penale è personale, ma nel caso dei personaggi (e, spesso, enti) russi ritenuti responsabili della guerra in Ucraina si tratta evidentemente di una associazione a delinquere accumunata dello stesso crimine. Di conseguenza, si potrebbe ipotizzare un utilizzo utile e comprensibile (e tanto discusso da un po’ di tempo in Europa) degli utili generati dalle risorse finanziarie russe congelate. Legalmente sarà non meno facile del destinarle alla Ucraina o del trasformarle nell’utile di uno Stato occidentale, ma almeno permetterà evitare i costi della propria politica nei confronti del regime putiniano (ora non mi metto ad analizzare ancora una volta quanto sia efficace quella politica).
Sono proprio curioso di scoprire se qualcuno dimostri la stessa mia fantasia…


Il «Politico» scrive che i diplomatici europei il tredicesimo pacchetto di sanzioni (programmato per il 24 febbraio 2024) contro lo Stato russo come «simbolico», poiché è necessario più tempo per concordare «qualcosa di più grande». Per ora si parla dell’idea di limitare i movimenti dei diplomatici russi al territorio dello Stato in cui sono accreditati (non so come possa essere realizzata una idea del genere), le nuove restrizioni sulle persone i cui beni nell’UE sono già congelati (e allo che senso hanno le nuove sanzioni?) e «il divieto per un maggior numero di aziende di esportare beni a doppio uso».
Insomma, per il secondo anniversario della guerra in Ucraina hanno inventato un nuovo pacchetto di sanzioni praticamente inutili, non sensibili per Putin e tutta la sua cerchia. Perché, come dicono gli stessi funzionari comunitari, dopo due anni di guerra «è necessario più tempo».
Vi è mai capitato di discutere con le persone che si lamentano della burocrazia europea?


Forse manca solo un passaggio

Ieri le autorità britanniche hanno introdotto le sanzioni contro 46 persone fisiche e giuridiche legate in vari modi all’invasione russa dell’Ucraina. In particolare, le sanzioni sono rivolte contro più di 30 aziende e persone coinvolte nella produzione di droni e missili, nonché nell’importazione di prodotti elettronici.
Si tratta di una buona occasione per precisare che le varie autorità competenti degli Stati occidentali, se realmente volessero raggiungere degli obiettivi utili contro la guerra tramite l’adozione delle sanzioni, farebbero bene a iniziare a sanzionare le persone e le imprese coinvolte nella esportazione verso la Russia di beni e tecnologie utilizzate per la continuazione della guerra stessa. Infatti, quei beni e quelle tecnologie teoricamente, in base alle sanzioni già adottate, non possono essere esportate in Russia, ma ci arrivano comunque grazie alle sequenze più meno complesse di intermediari. Per esempio (e per semplificare), vengono vendute dal produttore a una società turca, poi rivendute a una società kazaka e poi fornite alla Russia. Cercare, trovare e sanzionare gli intermediari, le banche attraverso le quali effettuano i pagamenti e i trasportatori ai quali affidano gli oggetti è sicuramente più difficile di inventare le nuove sanzioni (dove basterebbe aprire un dizionario e scegliere un nuovo oggettivo a caso), ma è anche infinitamente più efficace.
Forse alle autorità britanniche citate all’inizio del post manca solo un piccolo passaggio logico… Spero che almeno loro lo facciano.


Le sanzioni contro Tinkov annullate

Ho letto che le autorità britanniche hanno annullato le sanzioni personali imposte a Oleg Tinkov. Questa decisione è giusta e buona (nonostante tutte le stranezze personali e le ragioni non del tutto ovvie delle sue azioni, Tinkov ha comunque condannato la guerra in Ucraina), ma, purtroppo, è finora unica. Sembra che abbia avuto più importanza la sua lunga amicizia con Richard Branson che la tanto attesa presa di coscienza da parte degli Stati europei della necessità di lasciare il folle Putin senza dei sostenitori ricchi sul territorio russo.
Ci sono molte altre verità apparentemente ovvie che devono essere spiegate a lungo e duramente ai politici occidentali. Purtroppo, mi sembra sempre più importante e promettente che spiegare qualcosa alla maggioranza dei russi.


Uno degli effetti delle sanzioni

Per oltre un anno molte persone (con delle idee politiche molto varie) mi hanno chiesto se e perché le sanzioni occidentali non causino dei problemi alla economia russa. E io ho sempre cercato di spiegare che l’effetto delle sanzioni non può essere immediato…
Ma ecco che, finalmente, posso mostrare uno degli effetti che si sono finalmente messi in evidenza in un modo comprensibile più o meno a tutti.

Perché il rublo russo si sta svalutando tanto? Non è solo un tipico fenomeno stagionale (estivo). Ha anche almeno due altre spiegazioni. In primo luogo, i soldi che ancora arrivano in Russia grazie alla vendita delle materie prime possono essere spesi in pochissimi modi. In secondo luogo, continua essere molto alta la tendenza di portare i capitali fuori dalla Russia, al sicuro (tecnicamente è abbastanza difficile, ma la gente che ha le somme serie è motivata a provare alcune vie poco convenzionali che vi risparmio).
L’importante è capire che le sanzioni producono sempre i loro effetti.


La lettura del sabato

I giornalisti di Important Stories, insieme ai colleghi di OCCRP, Times, Der Spiegel, Le Monde, Forbes e altri media, hanno pubblicato un’inchiesta sui fratelli-«oligarchi» Boris e Arkady Rotenberg, molto vicini a Vladimir Putin (ed è per questo motivo che sono tanto ricchi). Da decine di migliaia di documenti ed e-mail dei dipendenti della società di gestione trapelati — il cosiddetto «archivio Rotenberg» — i giornalisti hanno scoperto che, nonostante le sanzioni occidentali, i Rotenberg sono stati in grado di conservare una parte considerevole dei loro beni all’estero.
Il sistema stesso di conservazione dei beni di personaggi sottoposti alle sanzioni può essere interessante quanto i migliori gialli concepiti dagli autori più fantasiosi. E, allo stesso tempo, dobbiamo ricordare che tutti quei beni saranno un giorno l’oggetto di una lunga e difficile caccia da parte dei giuristi che saranno impegnati nella raccolta dei soldi russi in tutto il mondo per ricostruire l’Ucraina postbellica.
Quindi si può provare a leggerne qualcosa.


Un rapporto della società di consulenza britannica Henley & Partners sulla migrazione dei ricchi del mondo afferma che 8500 milionari (in dollari americani) hanno lasciato la Russia nel 2022: quasi la metà di quanto previsto dalla stessa società (che si aspettava che 15.000 milionari – in dollari americani – avrebbero lasciato la Russia nel 2022: il 15% della loro quantità totale alla fine del 2021).
In base a un commento della Henley & Partners, la quantità inferiore dei ricchi «scappati» è stata determinata sia dalle misure sanzionatorie (ad esempio, la chiusura di molti programmi di cittadinanza e residenza per i russi, la chiusura dei conti bancari esteri) sia dai meccanismi specifici di ciascun Stato che hanno reso difficile il trasloco di molti russi ricchi.
Tradotto in un linguaggio umano, questo significa che nemmeno gli analisti di una società di consulenza hanno saputo prevedere la miopia dei vertici della maggioranza degli Stati occidentali. Questi ultimi, infatti, non hanno fatto una particolare distinzione tra i ricchi russi favorevoli o contrari alla guerra e hanno ostacolato la fuga dalla Russia di tutti. In questo modo hanno lasciato, in sostanza, i soldi di tutti i ricchi a disposizione di Putin (il quale ha la piena libertà di introdurre nuove tasse o «contributi straordinari» a favore della guerra, incarcerare gli imprenditori, costringerli a vendere le loro attività a prezzi bassi etc. etc.).
Effettivamente, se la stupidità avesse dei limiti, sarebbe anche prevedibile e dunque meglio affrontabile.


La lettura del sabato

La lettura consigliata per questo sabato è l’inchiesta congiunta di Important Stories, Der Spiegel e OCCRP dedicata al modo in cui la Russia aggira le sanzioni occidentali acquistando ogni mese droni e microelettronica per milioni di dollari attraverso il Kazakistan.
Per esempio, gli autori dell’inchiesta hanno scoperto che le importazioni di microelettronica del Kazakistan sono più che raddoppiate dopo l’inizio della guerra, passando da 35 a 75 milioni di dollari. Le esportazioni kazake di microchip verso la Russia sono aumentate di due ordini di grandezza in un colpo solo, da 245.000 dollari a 18 milioni di dollari…
Ma leggete tutta l’inchiesta: riguarda tanti aspetti dell’import militare russo effettuato attraverso il Kazakistan.


Una scelta anomala

Ieri sera mi è capitato di leggere una delle notizie più anomale riguardanti – in un modo laterale – la guerra in Ucraina: l’azienda Pernod Ricard – il produttore francese di alcolici (vodka Absolut e gin Beefeater) – ha ripreso le forniture dei propri prodotti in Russia. E, soprattutto, ha ripreso di farlo senza nasconderlo ma comunicando ufficialmente il fatto. Ricordo che le forniture erano state interrotte poco dopo l’inizio della guerra in Ucraina nell’ambito delle numerose «sanzioni aziendali», quando le aziende occidentali avevano deciso, per motivi etici e morali, di non guadagnare più sul mercato russo e non pagare dunque le tasse allo Stato russo. La svedese Kristianstadsbladet ha citato la vicepresidente del marchio Absolut vodka Paula Eriksson: «il gruppo sta fornendo i prodotti sufficienti a proteggere i dipendenti locali e ad assicurare che le organizzazioni locali siano economicamente sostenibili». Eriksson ha inoltre sottolineato che Pernod Ricard sta rispettando le sanzioni imposte dall’UE (non è difficile: la sua azienda non produce i vini pregiati).
Fortunatamente, non sono un esperto di vodka e di gin, quindi non posso dire alcunché sulla qualità di Absolut e di Beefeater. Non mi ricordo nemmeno quanto siano presenti nei negozi italiani. Ma mi ricordo abbastanza bene che almeno la vodka Absolut è stata popolarissima in Russia più o meno dalla metà degli anni ’90, forse anche dal momento in cui era iniziata l’importazione legale degli alcolici occidentali. Di conseguenza, mi sento quasi giustificato a pensare male – come, del resto, sono solito di fare – e presumere che nel corso dell’ultimo anno gli affari di Pernod Ricard stavano andando veramente male. Altrimenti non so come spiegare la scelta di correre gli eventuali rischi reputazionali (e, in futuro, forse non solo) legati al ritorno anziché tentare di vendere il resto delle proprie attività in Russia (come stanno facendo le altre aziende).
Indirettamente viene confermato lo stereotipo del «mercato dei bevitori russo». Allo stesso tempo, viene confermata l’incomprensione del fatto che i consumatori russi hanno iniziato a risparmiare un po’ su tutto, anche sulla qualità.
Però i miei contatti dicono che molte delle persone rimaste in Russia da quasi un anno bevono più di prima, quindi alla Pernod Ricard potrebbe andare anche bene.