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La votazione per la Duma

Più o meno tutti gli interessati avranno già letto della storica votazione di tre giorni (conclusasi domenica sera) per la nuova Duma russa. Io, personalmente, trovo poco interessante scrivere dei risultati (in una buona misura noti in anticipo) e dei brogli (poco di nuovo rispetto a tante votazioni precedenti). Si potrebbe scriverne diverse schermate di cronaca, ma non è il mio compito.
Solo pochi piccoli aspetti possono meritare la nostra attenzione.
1. Ciò che è accaduto non può essere descritto con la parola elezioni: i pochi candidati di opposizione ammessi non avevano la possibilità di condurre la campagna elettorale, mentre il conteggio dei voti, anche quelli elettronici (espressi via internet da casa), aveva una minima relazione con i voti espressi dai cittadini. Quindi è più corretto usare la parola votazione. Niente di nuovo.
2. Dopo 14 anni dall’ultima volta, nella Duma (della VIII legislatura) ci saranno di nuovo più di quattro partiti: si è aggiunto uno quinto, di nome «Persone nuove». Si tratta del quarto partito di opposizione finta: come gli altri tre, al 99% voterà allo stesso modo della «Russia unita». La Duma rimane quindi un organo di semplice ratifica delle fantasie del Presidente dello Stato. Niente di nuovo.
3. La «Russia unita» conserva comunque la maggioranza costituzionale, seppure non ne abbia molto bisogno pratico (si veda il punto precedente). Niente di nuovo.
4. La votazione di tre giorni serviva prevalentemente per facilitare gli interventi di correzione di notte, quando i pochi osservatori indipendenti (indipendenti dal Cremlino) non sono operativi per dei motivi fisiologici. Tale modo di organizzare il processo elettorale era stato sperimentato per la prima volta nel periodo dal 25 giugno all’1 luglio 2020, in occasione della «votazione popolare» sulle modifiche alla Costituzione russa.
5. Le elezioni con l’esito noto (per quanto riguarda le percentuali dei partiti) hanno un reale senso pratico: quello di aggiornare i dati ad uso interno dei partiti sulla fedeltà politica dei propri deputati, motivare i deputati che hanno bisogno di essere motivati, sostituire in colpo tutti quelli che devono essere sostituiti al giorno d’oggi. Vale soprattutto per il partito-«vincitore». In sostanza, ancora una volta si tratta di un affare interno alla classe dirigente e non della esecuzione di un processo previsto dalla legge. Niente di nuovo pure su questo fronte.
6. L’unico punto interessante: nonostante tutti gli sforzi dello Stato, la votazione per la Duma si è trasformata in uno scontro diretto tra due fronti politici: tra quello di Vladimir Putin (al potere da quasi 21 anni) e quello di Alexey Navalny (in carcere dal momento del suo rientro in Russia a gennaio – dopo le cure in seguito all’avvelenamento – e perseguitato per la sua attività politica da oltre dieci anni). In particolare, Navalny aveva elaborato già nel 2018 la strategia elettorale «smart voting», in base alla quale tutti i cittadini simpatizzanti alla opposizione dovrebbero votare il candidato meno peggiore tra quelli non appartenenti, almeno formalmente, al partito «Russia unita» con lo scopo di togliergli dei mandati e frammentare la composizione della Duma. I collaboratori – chiamiamoli pure con questo nome generico – di Navalny avevano dunque diffuso anche per le elezioni in questione una lista dei candidati compatibili con lo «smart voting». La squadra di Putin, da parte sua, ha fatto tutto il possibile per mettere fuorilegge i collaboratori di Navalny (i quali, tra l’altro, riuscivano a ricevere alcune linee guida politiche dal leader detenuto) e ostacolare la diffusione delle informazioni sullo «smart voting». Mentre i candidati inseriti nelle liste della strategia di Navalny, pur appartenendo nella maggior parte dei casi ai partiti sostanzialmente affiliati alla «Russia unita», si sono trovati in una situazione ambigua: erano contenti per la pubblicità pre-elettorale e allo stesso tempo erano costretti a dichiarare pubblicamente il proprio distanziamento da Navalny (e poi ho visto diversi oppositori finti infinitamente delusi e arrabbiati per non essere stati riconosciuti dalla suddetta strategia).
Ecco: sebbene l’obbiettivo ufficialmente dichiarato dello «smart voting» era difficilmente raggiungibile a causa dei tradizionali brogli, si è sulla pratica osservato un altro risultato importante. I membri della cosiddetta squadra di Putin si sono dimostrati ridicoli in almeno tre occasioni:
– trovando necessario lottare contro un avversario politico che si trova in una delle situazioni più sfavorevoli possibile (solo una situazione può essere ancora più sfavorevole);
– cercando di beneficiare comunque dello «smart voting» di Navalny;
– mostrando a tutto il mondo la propria fantasia infinita nella organizzazione dei brogli.
Di conseguenza, lo «smart voting» ha contribuito a raggiungere un altro obbiettivo non pianificato, ma molto importante: rendere l’attuale classe dirigente dello Stato ancora meno «simpatica» agli occhi di diversi altri cittadini. Potrebbe (e dovrebbe) essere uno dei tanti passi necessari verso il cambiamento. Stranamente, non tutti lo hanno ancora capito.


Un problema inesistente

Non per fare delle battute in «stile Trump» sulle condizioni di salute e sulla preparazione di Joe Biden, ma devo ammettere che questa recente dichiarazione mi preoccupa un po’:

When I was with Mr. Putin, who has a real problem – he is – he’s sitting on top of an economy that has nuclear weapons and oil wells and nothing else. Nothing else. Their economy is – what? – the eighth smallest in the world now – largest in the world? He knows – he knows he’s in real trouble, which makes him even more dangerous, in my view.

La dichiarazione appena citata, infatti, testimonia una certa incomprensione della mentalità di Putin. Perché in base a quello che vedo da oltre vent’anni, si possono evidenziare almeno tre punti caratterizzanti le «preoccupazioni» del presidente russo:
1) è totalmente disinteressato alla politica interna (compresa quella economica) ed è poco informato su di essa;
2) ragiona per induzione: secondo egli, se un sistema funzionava ieri e funziona oggi, funzionerà anche domani. Quindi i sistemi funzionanti non si toccano finché non crolla il mondo;
3) il suo unico grande interesse è la politica estera, nella quale servono le armi di ogni genere. L’arma delle risorse naturali, in particolare, serve per comprare o ricattare gli stati esteri; le armi nucleari, invece, danno una certa sensazione di impunità militare.
Di conseguenza, potete facilmente intuire anche voi che la situazione descritta da Biden non è assolutamente vista da Putin come un problema. Resta da capire perché si sia espresso proprio in quel modo…


Come valutare l’incontro

Le persone che decidano di leggere qualcosa sull’incontro di ieri tra Joe Biden e Vladimir Putin (o che abbiano già letto qualcosa), devono avere in mente un preciso punto di partenza. I due politici avevano degli obbiettivi molto diversi per questo incontro.
Joe Biden voleva – e in un certo senso doveva – esprimere di persona le principali pretese americane (o meglio dire occidentali?) nei confronti della Russia contemporanea. Quindi doveva tentare una conversazione che avrebbe potuto influire sulle relazioni tra i due Stati, sebbene non sia solo il suo compito, che possono essere più nemici o più partner nella politica internazionale.
Vladimir Putin aveva un compito molto più banale: tentare di difendersi – con delle dichiarazioni più o meno scandalistiche – dalle pretese (per non dire accuse) di Joe Biden (per non dire «dell’Occidente»). E, magari, far vedere al mondo e ai sudditi di essere un politico che è ancora accettato agli incontri internazionali seri.
Questi sono i concetti principali che possono aiutarvi a valutare l’incontro con una mente non condizionata dalle dichiarazioni più o meno forti.


Il killer politico?

Come avrete già letto o sentito, per il 16 giugno è programmato il primo incontro offline tra Joe Biden e Vladimir Putin (alla villa La Grange di Ginevra). Per l’occasione, il Time è uscito con una nuova copertina interessante. Non ne ho — almeno per ora — l’assoluta certezza, ma mi sembra che il gioco grafico riprenda, in qualche modo — la risposta affermativa data alla domanda su «Putin killer»:

Nel frattempo, ricordo a tutti (e soprattutto a me stesso) che il sito del Time ha  una sezione relativamente comoda per la consultazione di tutte le copertine. Ma io avrei aggiunto anche, per esempio, la possibilità di visualizzare, in pochi clic, tutte le copertine che raffigurano ogni determinato personaggio.


Assegnare i ruoli

Alla fine di maggio Vladimir Putin e Aleksandr Lukashenko (potreste avere già sentito questi due nomi) hanno avuto un incontro lungo due giorni a Sochi. Il principale risultato politico dell’incontro è un nuovo «prestito» (si traduce in italiano come regalo) all’ospite Lukashenko: 500 milioni di dollari statunitensi per la continuazione della sua fantastica politica interna.
Ma a un lettore italiano medio potrebbero anche non interessare questi dettagli.
Un lettore italiano medio potrebbe invece provare ad apprezzare lo humor popolare circa il tempo passato dai due politici su una barca:

Le persone che risiedono sul territorio europeo potrebbero provare a indovinare – senza temere le conseguenze fatali – chi due personaggi ritratti abbia la parte maschile e a chi, invece, rimanga quella femminile…
P.S.: la sorte della loro nave comune sarà l’oggetto di un esercizio mentale futuro.


Gli stessi errori di prima

Stamattina Vladimir Putin ha comunicato di avere ricevuto la seconda dose del vaccino innominato contro il Covid. Come è già successo il 23 marzo per la prima dose, non lo ha fatto pubblicamente perché «non gli piace imitare alcuni altri leader».
Ricordiamocelo la prossima che verrà diffusa qualche sua foto ufficiale in stile rambo, ahahaha

L’estate è sempre più vicina, quindi forse non dovremmo aspettare troppo.


La vaccinazione misteriosa di Putin

Ieri pomeriggio Vladimir Putin si sarebbe finalmente vaccinato contro il Covid…
«Si sarebbe» perché, stranamente, non lo ha fatto pubblicamente: ha semplicemente affidato la comunicazione del fatto avvenuto al proprio portavoce. A questo punto non possiamo non constatare come sia in realtà scarsa la capacità di Putin di promuovere i propri interessi sul campo della opinione pubblica.
Avrebbe potuto provare a mostrare alla Russia e al mondo la «superiorità» qualitativa (e non solo quella cronologica) del vaccino russo assumendolo già mesi fa.
Avrebbe potuto provare a confermare la propria attenzione per la salute e una buona forma fisica (il messaggio del tipo «tanto non mi ammalo mai solo perché sono un figo» è palesemente stupido).
Avrebbe potuto provare a apparire in televisione con l’ennesima dimostrazione del fatto che sta controllando pienamente la situazione nel Paese.
Avrebbe potuto provare a fare tutte le cose elencate e tante altre ancora senza raccontare quale sostanza sia realmente contenuta nella siringa adoperata per l’intervento (l’acqua, il vaccino della Pfizer, la vodka, qualche sostanza dopante etc). Nella vita reale, però, non ha nemmeno fatto sapere con cosa si sarebbe vaccinato.
E allora a cosa sarà servita quella comunicazione vocale incompleta? Molto probabilmente è servita solo per risolvere dei piccoli, minuscoli, problemi interni. Per esempio, nelle ultime settimane diversi noti oppositori russi sono stati costretti agli arresti (veri o domiciliari) perché nel corso delle loro manifestazioni pubbliche non avrebbero rispettato le limitazioni imposte in seguito alla situazione epidemiologica. Da giugno in Russia quelle limitazioni riguardano, in sostanza, principalmente la capienza massima di alcuni luoghi pubblici chiusi (come, per esempio, i cinema, teatri, luoghi di ristoro, stadi etc), ma non importa: gli oppositori vengono arrestati e processati, mentre Putin e suoi sostenitori appaiono dove e in quanti vogliono. Tale disparità non passa naturalmente inosservata, quindi qualcuno che ha sentito parlare dei futuri passaporti vaccinali europei ha deciso di procurarsi la possibilità di dire: «io mi sono vaccinato, quindi vado dove voglio».
Non sostengo che sia questa la reale spiegazione dei fatti, ma per ora è l’unica che ho formulato.
Ora sapete come vanno sprecate le occasioni di farsi una pubblicità positiva a livello mondiale.


Mmm, sì

Non posso dire che Joe Biden mi sia diventato meno antipatico di prima, ma non posso non riconoscere che la capacità di dare delle risposte precise e sintetiche alle domande concrete è molto rara di questi tempi (e quasi assente tra i politici).


[il video dura poco più di un minuto, l’audio è fondamentale]
Aggiungo solo che condivido pienamente quella risposta affermativa.


È meglio capire i principi

Come avete già probabilmente letto o sentito da qualche parte, ieri l’oppositore russo Aleksej Navalny è stato condannato per tre anni e mezzo mesi di reclusione. Ma se non ci avete capito molto di quella notizia, è normalissimo. Vedersi assegnare lo status di ricercato per non avere rispettato l’obbligo di firma (anche se hai comunicato di trovarsi all’estero per le cure mediche dopo l’avvelenamento), essere fermato e trattenuto al rientro in base a un articolo del codice penale non applicabile al tuo caso (con il giudice che viene a sorpresa nel comando della polizia per convertire il fermo nell’arresto direttamente sul posto) e, infine, essere condannato alla detenzione per la suddetta questione delle firme (anche se lo Stato, rimborsandoti sull’ordine della Corte europea dei diritti dell’uomo, ha già di fatto riconosciuto di averti condannato ingiustamente) è una sequenza di eventi difficilmente immaginabili per un europeo medio.
Un osservatore europeo medio che si interessa a ciò che accade in Russia deve invece capire un’altra cosa. Formalmente Aleksej Navalny dovrà scontare «solo» 2 anni e 8 mesi perché in precedenza aveva già passato 10 mesi ai domiciliari. Ma in pratica la durata della sua reclusione sarà diversa. In pratica la durata della sua reclusione sarà pari alla durata di permanenza di Vladimir Putin (ma anche di putin collettivo) al potere. Se va bene a Putin, il periodo sarà molto più lungo. Se va bene a Navalny, la liberazione è più vicina dell’ottobre 2023.
Io, nel frattempo, posso sperare in almeno due cose. In primo luogo, nonostante il brutto precedente, spero che le sfortune di Aleksej Navalny si limitino alla detenzione in carcere. In secondo luogo, spero che il destino dell’oppositore più attivo di Putin non finisca a dipendere solo dalla salute fisica di quest’ultimo.

L’immagine illustrativa del presente post è stata scattata ieri pomeriggio dal noto fotografo Dmitry Markov, fermato davanti al Tribunale nel quale veniva condannato Navalny.


Una delle casette di Putin

Quello di oggi è un video lungo, di quasi due ore, che capita però in un periodo quando diversi miei lettori si trovano parzialmente bloccati in una zona «rossa» o «arancione» (o, semplicemente, in una condizione di particolare preoccupazione per la propria salute), quindi lo condivido con un po’ meno dubbi del solito.
L’ultima indagine di Aleksej Navalny e della sua FBK (Fondazione per la lotta contro la corruzione) per la prima volta nella storia pluriennale riguarda direttamente Vladimir Putin e non qualcuno della sua cerchia. Dal video che racconta quella indagine non si scoprono dei principi completamente nuovi sulla figura di Putin e/o sul funzionamento dello Stato russo (almeno per me), ma si ottiene e si perfeziona un ritratto psicologico della persona che insiste ad attaccarsi al potere da oltre vent’anni. A me sembra disgustoso anche dal punto di vista puramente estetico.
Il film ha i sottotitoli in inglese:

Il film è stato pubblicato il 19 gennaio e il pomeriggio del 23 gennaio aveva già quasi 69 milioni di visualizzazioni. Meno male che nel mondo odierno la gente ha la possibilità di mandare affanculo la propaganda statale e scegliere delle cose che la interessano realmente, ahahaha