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Ma che sorpresa…

Il 29 dicembre 2003 il funzionario Boris Gryzlov fu eletto alla carica del Presidente della Duma (rimanendo poi in carica fino al 14 dicembre 2011). I giornalisti ricordano che proprio quel giorno Gryzlov pronunciò una delle sue frasi più famose: «Il Parlamento non è un luogo per discutere».

Perché stamattina, per l’ennesima volta, mi è venuto in mente l’aforismo appena citato? Perché ho visto i risultati della prima votazione alla Duma sul testo di riforma costituzionale russa. Dei 450 parlamentari facenti parte della Duma, in aula erano presenti in 432. Tutti hanno votato a favore.

Ogni volta che qualche mio amico o conoscente italiano inizia a parlare o chiedere della opposizione presente nel Parlamento russo, a me viene da ridere. Chissà se almeno ora qualcuno riesca a capire il perché.


Un segnale evidente

Stamattina il presidente russo Vladimir Putin ha tenuto il discorso annuale davanti alle Camere unite del Parlamento russo (la Duma e il Consiglio federale). Non mi sarebbe mai venuto in mente di scriverne perché ormai da oltre un decennio si tratta, nel migliore dei casi, di una manifestazione abbastanza noiosa e priva di contenuti realmente concreti. Al massimo viene mostrato qualche cartone animato sui fantomatici razzi russi capaci di colpire e distruggere la Florida.
Alla fine del discorso di quest’anno, però, si è registrata una comunicazione interessantissima da parte di Putin.
No, non ha preannunciato la propria pensione politica. Tanto ci ricordiamo bene che alla scadenza del suo mandato nel 2024 non potrebbe, secondo la Costituzione russa, essere eletto nuovamente.
Pure i miei lettori italiani, però, dovrebbero ricordare bene che nel 2008 Putin aveva già raggiunto, per la prima volta nella sua carriera presidenziale, il limite costituzionale di due mandati consecutivi. All’epoca aveva regolato la questione lasciando fare a Dmitry Medvedev un mandato «di pausa»: per poi tornare e farne altri due. Ma negli ultimi anni gli analisti sostengono che Putin non sarebbe più disposto di concedere la custodia temporanea della carica suprema ad altre persone, nemmeno al tanto fidato Medvedev. E quindi starebbe cercando altri modi di rimanere al potere anche dopo il 2024. Non si capisce molto perché lo voglia fare. Potrei esprimere alcune idee in merito, ma l’argomento del post odierno è un altro.
Torniamo al discorso davanti alle Camere. Esso si è concluso con una proposta (nel linguaggio politico putiniano è un sinonimo di ordine) della riforma costituzionale. Essa consisterebbe, secondo Putin, nel trasferimento al Parlamento di alcune funzioni attualmente spettanti al Presidente. Così, dovrebbe passare al Parlamento il compito di nominare il Primo ministro e di confermare tutti i membri del Governo da egli proposti. Allo stesso tempo, il Presidente dovrebbe conservare, secondo Putin, il potere di sospendere il Primo ministro e i membri del Governo dai loro incarichi nei casi «della mancata fiducia» e «dello svolgimento inadeguato delle funzioni».
Cosa possiamo dedurre da questa proposta? Considerata l’obbedienza del Parlamento russo al Presidente, possiamo dedurre che Putin abbia deciso di creare un incarico di importanza primaria da ricoprire in prima persona dopo il 2024. Attribuendo al Parlamento il ruolo prevalente rispetto a quello del Presidente della Federazione Russa, potrebbe magicamente diventare il Presidente del Consiglio federale (la Camera alta del Parlamento). Per questo incarico nemmeno nella Costituzione attuale è previsto alcun limite di mandati ricopribile dalla medesima persona.
Non so ancora se ho indovinato. Ma nel caso positivo, tra quattro anni, dirò che non è stato particolarmente difficile.


I metodi comuni

Nonostante tutto, parlando della eliminazione del generale iraniano Qasem Soleimani bisogna riconoscere due cose.

In primo luogo, ricordiamo che era pur sempre una figura istituzionale. È stato un personaggio particolare, ma è stato eliminato per il volere del Presidente di un altro Stato.
In secondo luogo, dobbiamo renderci conto del fatto che si tratta di un evento prevalentemente di politica interna statunitense. Si tratta di una mossa del gioco politico interno di una persona concreta: Donald Trump.
Trump, infatti, si è svegliato il 1 gennaio del 2020 con la chiara comprensione del fatto di avere dei seri problemi. È vero che nella situazione politica attuale l’impeachment non verrà mai portato a termine: lo impedirebbe la maggioranza repubblicana al Senato. I democratici, però, sfruttano l’assenza di una indicazione precisa circa i termini temporali del voto nel Senato e insistono nel chiedere ai repubblicani di garantire l’interrogatorio delle personalità ritenute complici dei fatti incriminati a Trump.
Trump, da parte sua, ha inventato una sua versione della via d’uscita dalla situazione scomoda: il rischio della guerra nel Medio Oriente (e le conseguenti minacce per gli USA) che dovrebbe unire attorno alla sua figura il popolo e il mondo politico americani.
È una situazione talmente banale e trasparente che non rientra nemmeno nella categoria delle dietrologie da bar. È banale come l’analogia con l’operato pluriennale di un noto collega di Trump: Vladimir Putin. La perenne ricerca del nemico esterno — la cui esistenza giustificherebbe molti comportamenti — è un punto comune tra gli USA e la Russia che non mi sarei mai aspettato di scoprire.


L’uomo dell’anno

Molto probabilmente, qualche pregiudizio interno impedisce alla redazione del «Time» mettere in copertina la stessa persona per più volte in un periodo di tempo ristretto.
Eppure, facendo un bilancio del quasi finito 2019, mi convinco sempre di più che l’uomo dell’anno è Vladimir Zelensky (definito a metà dicembre «L’uomo in mezzo»). Non una buffona scelta come strumento pubblicitario inconsapevole da una determinata corrente politica, ma il più efficiente tra i politici-Joker che abbiamo visto comparire negli ultimi anni. [Indovinate un po’ qual è, nella mia classifica personale, il film dell’anno.]
Infatti, ha vinto le elezioni sfruttando il malcontento popolare per la vecchia classe politica nazionale e, allo stesso tempo, facendosi invidiare dal vecchio populista oltre il confine dell’est: ha ottenuto le percentuali alte senza brogli. A ovest, invece, ha evitato di cercare l’aiuto a ogni costo funzionando, in un certo senso, da scintilla per l’impeachment di un altro collega. Ma l’aspetto più importante è: nonostante tutte le problematiche ereditate, Zelensky appare attualmente essere il primo presidente ucraino realmente intenzionato a dirigere uno Stato indipendente. A dirigere uno Stato per il quale la scelta del miglior sponsor tra i due possibili (l’Occidente o la Russia) non è per la prima volta nella storia il tema principale della politica estera e interna.
Guidando, con successi alterni, l’Ukraina su quella strada, Zelensky adotta un comportamento e un linguaggio moderato (in molti lo hanno notato, per esempio, nella occasione del primo incontro con Putin), dimostrando di prendere in considerazione le possibili reazioni future del proprio elettorato.
Sul territorio post-sovietico si è accesa una nuova stella sta tentando di nascere un nuovo Stato normale. Sarebbe stato brutto non riconoscere i meriti del suo creatore, indipendentemente dal suo futuro politico.

Non si tratta di una questione di importanza locale, come alcuni potrebbero pensare.


Dear Nikita

Ho sempre visto la Hillary Clinton come una donna politicamente corretta da far morire di noia (come la maggioranza dei politici occidentali, tra l’altro). Ma poi ho letto, per caso, questo suo tweet di domenica sera e ho quasi cambiato idea.


Si tratta della presa in giro di questa lettera di Donald Trump a Recep Erdogan:


Ma per resistere dal prendere in giro Trump bisogna essere un cadavere.


In poche parole

In teoria si potrebbe sperare o, al contrario, temere. Si potrebbe anche scrivere dei lunghi testi di analisi politica. Ma in realtà bisogna rimanere calmi e indifferenti: non ha alcun senso parlare seriamente dell’impeachment a Donald Trump. Tanto, al Senato non passerà a causa della maggioranza repubblicana.


Ma non hanno altri problemi?

Non ha molto senso giudicare le abitudini delle terre (ma anche dei tempi) lontane sulla base delle proprie tradizioni di appartenenza. Ma a volte, con la scusa della globalizzazione, si potrebbe anche tentare di farlo almeno per gioco.
Oggi, per esempio, ho deciso di dichiarare pubblicamente che secondo la mia opinione autorevolissima tutte le accuse di razzismo contro il premier canadese Justin Trudeau sono una cagata pazzesca. Per spiegare meglio il concetto, vi faccio subito un esempio semplice.
Immaginate il vostro figlio (o nipote) che oggi gioca con gli omini della Lego e tra trent’anni diventa un politico di livello nazionale. Verrà accusato di razzismo nei confronti dei cinesi? In base alla tendenza che possiamo osservare, la risposta è sicuramente positiva.
Ora voglio vedere se anche gli elettori canadesi, votando, preferiscono gli autori delle cagate oppure no.


I territori strategici

Non tutto lo ricordano, ma nel 1946 gli USA proposero già alla Danimarca di vendere la Groenlandia per 100 milioni di dollari in oro (circa 1,3 miliardi di dollari di oggi).
Secondo i militari statunitensi dell’epoca, il territorio della Groenlandia sarebbe stato il più grande «portaerei fisso» al mondo, importante quanto la Alaska.
La seguente mappa illustra l’importanza strategica dei due territori:

Donald Trump non sarà tanto aggiornato sulla importanza della proprietà dei territori, ma dobbiamo constatare che non tutte le idee folli da egli espresse nascono nella sua testa.


I più attenti avranno notato che oggi sono stati diffusi i risultati ufficiali delle elezioni parlamentari ucraine (quelle del 21 luglio). Cinque partiti hanno superato la soglia di sbarramento del 5%.
Il partito «Servitore del popolo» del nuovo Presidente Zelensky ha vinto con il 43,16% dei voti: grazie al fatto che la metà dei deputati viene eletta alle circoscrizioni uninominali, il partito avrà 254 rappresentanti su totale di 450.
Al secondo posto è arrivato il partito filorusso «Piattaforma d’opposizione — Per la vita»: 13,05% dei voti e 43 posti nella Rada.
Al terzo posto c’è il partito della nota alla maggioranza di voi Yulia Timoshenko (8,18% e 26 posti), al quarto il partito dell’ex Presidente Poroshenko (la seconda umiliazione di fila: 8,1% e 25 posti) e al quinto il partito «Golos» di un noto cantante ucraino (5,82% e 20 posti).

La vittoria del partito di Zelensky era scontata, quindi non c’è molto da commentare. L’unica previsione seria e poco ovvia per gli europei che posso attualmente fare è: non stupitevi della ipotetica alleanza parlamentare tra Zelensky e Timoshenko. Tale alleanza servirà non solo per avere una maggioranza qualificata (necessaria per l’approvazione delle riforme costituzionali), ma soprattutto per «tenere buona» la Timoshenko. Per non permetterle dunque di diventare un leader popolare e pericoloso di opposizione: nel nuovo Parlamento ucraino è l’unica ad esserne capace.


The show is going on

Abbiamo il nuovo premier britannico. Purtroppo, molti politici sono strani allo stesso modo, quindi ci metterò un po’ di tempo a capire se è questo…

Oppure questo…

Alle persone interessate ai commenti seri, invece, non posso dire molto. Anzi, trovo totalmente inutile tentare di fare una analisi più approfondita della situazione creatasi in UK. Il brexit è già uno spettacolo comico (come se fosse recitato da qualche altro Stato europeo), dunque pure l’eccentrico Boris Johnson dovrebbe impegnarsi tanto per fare peggio della sua predecessore.
Le uniche due certezze sono l’inevitabilità del brexit e la convenienza della sua versione soft compresa da Johnson (banalmente, deve pensare alla maggioranza parlamentare e alle ipotetiche elezioni).