Probabilmente sarebbe stato più opportuno scriverne in un momento futuro, ma l’argomento va di moda in questi giorni. Intendo la «qualità» degli aiuti russi per la lotta contro il coronavirus in Italia.
È possibile discutere della qualità tecnica e utilità pratica dei materiali e delle persone arrivate dalla Russia, ma bisogna ricordare una cosa semplice e brutta: secondo la logica di Vladimir Putin in questo mondo si compra tutto. Si comprano gli informatori dei servizi segreti, si comprano gli oppositori interni, si comprano i politici marginali all’estero, si comprano le Olimpiadi e i Campionati mondiali di calcio, si comprano i forum annuali di Yad Vashem… Quindi, secondo la stessa logica, si può comprare anche l’indebolimento delle sanzioni internazionali.
Ricordiamocelo tra qualche mese, quando il coronavirus passerà. Perché ogni ondata dei comportamenti internazionali «strani» della Russia è una diretta conseguenza di un nuovo colpo di rabbia di Putin per il mancato apprezzamento del suo impegno. Ha sempre voluto essere un protagonista degli eventi di portata mondiale. Il problema sta nella logica da KGB, descritta sopra, che si trova alla base di ogni sua mossa, del suo «impegno».
Ma nel frattempo spero che gli aiuti arrivati dalla Russia abbiano almeno una minima utilità pratica/medica.
P.S.: tantissimi politici russi, top manager delle aziende pubbliche russe e grandi imprenditori che devono la loro «fortuna» imprenditoriale alla amicizia con Putin sono accumunati da una interessante particolarità. Hanno le case delle vacanze in Italia. Per questo motivo sono fortemente interessati al miglioramento della situazione in Italia. Ma, allo stesso tempo, non possono utilizzare tale motivo per influire sulle scelte di Putin: quest’ultimo da anni cerca di convincerli a concentrare tutta la vita all’interno dei confini nazionali.
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Avrete già sentito dei risultati del primo Super Tuesday:
– in 9 Stati ha vinto Sleepy Joe Biden,
– in 4 Stati ha vinto Crazy Bernie Sanders,
– in 1 Stato ha vinto Mini Mike Bloomberg.
Tale risultato, sintetizzando, mi sembra una triste continuazione dei dibattiti precedenti tra i candidati alla candidatura e mi fa ricordare la constatazione di un conoscente: «Non diventerai un politico perché rispondi sempre alle domande che ti fanno».
Michael Bloomberg è sempre apparso un candidato politicamente debole proprio perché non ha saputo correggere il difetto di cui sopra. E il risultato si è appena visto.
Ora possiamo pure scommettere dei soldi sul fatto che il candidato democratico alle elezioni presidenziali sarà Biden. Perché oltre a unirsi contro Donald Trump, i democratici dovranno unirsi – e lo stanno già facendo da giorni – pure contro il pericolo socialista rappresentato da Sanders (sostenuto da chi, non pagando le tasse, non comprende il costo globale dei benefici promessi).
Che noia però…
Non so quanti miei lettori italiani conoscano l’attuale stemma belorusso (adottato nel 1995). Sospettando fortemente che ci sia più di una persona non abbastanza informata sull’argomento, metto subito la relativa immagine:
Come potete facilmente notare, il territorio belorusso è rappresentato assieme a una notevole parte del territorio russo. Focalizzarsi su quella parte del globo è del tutto normale: non solo perché la Bielorussia e la Federazione Russa fanno formalmente parte dello stesso stato unitario, ma anche a causa dei forti legami economici e sociali tra i due Stati-vicini.
Ma perché devo fingere di essere politicamente corretto? Scrivo onestamente che la Belorussia è sempre stata economicamente dipendente dalla Russia. Fino alla fine del 2019 la Belorussia ha sempre avuto il diritto di acquistare il petrolio e il gas russi a dei prezzi notevolmente inferiori a quelli di mercato. Inoltre, i prestiti finanziari statali russi alla Belorussia sono sempre stati «restituiti» attraverso il ricorso ai prestiti concessi dalla stessa Russia. In questi due modi veniva acquistata l’amicizia, la fedeltà geopolitica belorussa. E il presidente Lukashenko ha sempre minacciato di voltare le proprie preferenze amichevoli verso l’Europa qualora gli aiuti economici non dovessero essere rinnovati.
Tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020, però, i rapporti tra i due Stati sono diventati un po’ tesi. I motivi reali di tale evento non sono noti al pubblico ma pare che Putin sia fortemente interessato all’assorbimento del territorio vicino. Quindi cerca di convincere il collega a fare il bravo negando i prezzi favorevoli per il petrolio (la Belorussia sta attualmente tentando di acquistarlo dall’Asia).
«Ma perché hai iniziato il post parlando dello stemma?», chiederete voi.
E io rispondo: «Perché in Belorussia, improvvisamente, hanno deciso di cambiare lo stemma».
Ecco il progetto:
Non fateci troppo caso ai colori un po’ più tranquilli. Notate la comparsa dell’Europa al posto della Russia: sarà un segnale?
Devo dire che questo gioco politico-araldico mi ricorda un po’ la storia delle monete belorusse.
Il risultato della votazione del Congresso repubblicano sull’impeachment a Donald Trump non è una grandissima sorpresa. E, soprattutto, ha permesso a Trump di entrare nella storia con una caratteristica mai ottenuta da alcun suo predecessore: è il primo presidente impeachnuto positivamente. Non so se è stato proprio questo l’obiettivo dei democratici.
I dettagli si dimenticano presto, quindi alle elezioni presidenziali di quest’anno ci sarà un candidato repubblicano «giudicato non colpevole». E contro di lui ci saranno i democratici che «hanno le forze solo per strappare i fogli di carta».
Prima di sottoporre un nemico a una procedura d’accusa, anche quando dovesse essere meritata, bisogna sempre controllare se politicamente non si sta sparando a un piede.
P.S.: per coloro che avessero dei dubbi preciso di non essere un grande fan di Trump.
Il 29 dicembre 2003 il funzionario Boris Gryzlov fu eletto alla carica del Presidente della Duma (rimanendo poi in carica fino al 14 dicembre 2011). I giornalisti ricordano che proprio quel giorno Gryzlov pronunciò una delle sue frasi più famose: «Il Parlamento non è un luogo per discutere».
Perché stamattina, per l’ennesima volta, mi è venuto in mente l’aforismo appena citato? Perché ho visto i risultati della prima votazione alla Duma sul testo di riforma costituzionale russa. Dei 450 parlamentari facenti parte della Duma, in aula erano presenti in 432. Tutti hanno votato a favore.
Ogni volta che qualche mio amico o conoscente italiano inizia a parlare o chiedere della opposizione presente nel Parlamento russo, a me viene da ridere. Chissà se almeno ora qualcuno riesca a capire il perché.
Stamattina il presidente russo Vladimir Putin ha tenuto il discorso annuale davanti alle Camere unite del Parlamento russo (la Duma e il Consiglio federale). Non mi sarebbe mai venuto in mente di scriverne perché ormai da oltre un decennio si tratta, nel migliore dei casi, di una manifestazione abbastanza noiosa e priva di contenuti realmente concreti. Al massimo viene mostrato qualche cartone animato sui fantomatici razzi russi capaci di colpire e distruggere la Florida.
Alla fine del discorso di quest’anno, però, si è registrata una comunicazione interessantissima da parte di Putin.
No, non ha preannunciato la propria pensione politica. Tanto ci ricordiamo bene che alla scadenza del suo mandato nel 2024 non potrebbe, secondo la Costituzione russa, essere eletto nuovamente.
Pure i miei lettori italiani, però, dovrebbero ricordare bene che nel 2008 Putin aveva già raggiunto, per la prima volta nella sua carriera presidenziale, il limite costituzionale di due mandati consecutivi. All’epoca aveva regolato la questione lasciando fare a Dmitry Medvedev un mandato «di pausa»: per poi tornare e farne altri due. Ma negli ultimi anni gli analisti sostengono che Putin non sarebbe più disposto di concedere la custodia temporanea della carica suprema ad altre persone, nemmeno al tanto fidato Medvedev. E quindi starebbe cercando altri modi di rimanere al potere anche dopo il 2024. Non si capisce molto perché lo voglia fare. Potrei esprimere alcune idee in merito, ma l’argomento del post odierno è un altro.
Torniamo al discorso davanti alle Camere. Esso si è concluso con una proposta (nel linguaggio politico putiniano è un sinonimo di ordine) della riforma costituzionale. Essa consisterebbe, secondo Putin, nel trasferimento al Parlamento di alcune funzioni attualmente spettanti al Presidente. Così, dovrebbe passare al Parlamento il compito di nominare il Primo ministro e di confermare tutti i membri del Governo da egli proposti. Allo stesso tempo, il Presidente dovrebbe conservare, secondo Putin, il potere di sospendere il Primo ministro e i membri del Governo dai loro incarichi nei casi «della mancata fiducia» e «dello svolgimento inadeguato delle funzioni».
Cosa possiamo dedurre da questa proposta? Considerata l’obbedienza del Parlamento russo al Presidente, possiamo dedurre che Putin abbia deciso di creare un incarico di importanza primaria da ricoprire in prima persona dopo il 2024. Attribuendo al Parlamento il ruolo prevalente rispetto a quello del Presidente della Federazione Russa, potrebbe magicamente diventare il Presidente del Consiglio federale (la Camera alta del Parlamento). Per questo incarico nemmeno nella Costituzione attuale è previsto alcun limite di mandati ricopribile dalla medesima persona.
Non so ancora se ho indovinato. Ma nel caso positivo, tra quattro anni, dirò che non è stato particolarmente difficile.
Nonostante tutto, parlando della eliminazione del generale iraniano Qasem Soleimani bisogna riconoscere due cose.
In primo luogo, ricordiamo che era pur sempre una figura istituzionale. È stato un personaggio particolare, ma è stato eliminato per il volere del Presidente di un altro Stato.
In secondo luogo, dobbiamo renderci conto del fatto che si tratta di un evento prevalentemente di politica interna statunitense. Si tratta di una mossa del gioco politico interno di una persona concreta: Donald Trump.
Trump, infatti, si è svegliato il 1 gennaio del 2020 con la chiara comprensione del fatto di avere dei seri problemi. È vero che nella situazione politica attuale l’impeachment non verrà mai portato a termine: lo impedirebbe la maggioranza repubblicana al Senato. I democratici, però, sfruttano l’assenza di una indicazione precisa circa i termini temporali del voto nel Senato e insistono nel chiedere ai repubblicani di garantire l’interrogatorio delle personalità ritenute complici dei fatti incriminati a Trump.
Trump, da parte sua, ha inventato una sua versione della via d’uscita dalla situazione scomoda: il rischio della guerra nel Medio Oriente (e le conseguenti minacce per gli USA) che dovrebbe unire attorno alla sua figura il popolo e il mondo politico americani.
È una situazione talmente banale e trasparente che non rientra nemmeno nella categoria delle dietrologie da bar. È banale come l’analogia con l’operato pluriennale di un noto collega di Trump: Vladimir Putin. La perenne ricerca del nemico esterno — la cui esistenza giustificherebbe molti comportamenti — è un punto comune tra gli USA e la Russia che non mi sarei mai aspettato di scoprire.
Molto probabilmente, qualche pregiudizio interno impedisce alla redazione del «Time» mettere in copertina la stessa persona per più volte in un periodo di tempo ristretto.
Eppure, facendo un bilancio del quasi finito 2019, mi convinco sempre di più che l’uomo dell’anno è Vladimir Zelensky (definito a metà dicembre «L’uomo in mezzo»). Non una buffona scelta come strumento pubblicitario inconsapevole da una determinata corrente politica, ma il più efficiente tra i politici-Joker che abbiamo visto comparire negli ultimi anni. [Indovinate un po’ qual è, nella mia classifica personale, il film dell’anno.]
Infatti, ha vinto le elezioni sfruttando il malcontento popolare per la vecchia classe politica nazionale e, allo stesso tempo, facendosi invidiare dal vecchio populista oltre il confine dell’est: ha ottenuto le percentuali alte senza brogli. A ovest, invece, ha evitato di cercare l’aiuto a ogni costo funzionando, in un certo senso, da scintilla per l’impeachment di un altro collega. Ma l’aspetto più importante è: nonostante tutte le problematiche ereditate, Zelensky appare attualmente essere il primo presidente ucraino realmente intenzionato a dirigere uno Stato indipendente. A dirigere uno Stato per il quale la scelta del miglior sponsor tra i due possibili (l’Occidente o la Russia) non è per la prima volta nella storia il tema principale della politica estera e interna.
Guidando, con successi alterni, l’Ukraina su quella strada, Zelensky adotta un comportamento e un linguaggio moderato (in molti lo hanno notato, per esempio, nella occasione del primo incontro con Putin), dimostrando di prendere in considerazione le possibili reazioni future del proprio elettorato.
Sul territorio post-sovietico si è accesa una nuova stella sta tentando di nascere un nuovo Stato normale. Sarebbe stato brutto non riconoscere i meriti del suo creatore, indipendentemente dal suo futuro politico.
Non si tratta di una questione di importanza locale, come alcuni potrebbero pensare.
Ho sempre visto la Hillary Clinton come una donna politicamente corretta da far morire di noia (come la maggioranza dei politici occidentali, tra l’altro). Ma poi ho letto, per caso, questo suo tweet di domenica sera e ho quasi cambiato idea.
Found in the archives… pic.twitter.com/iFFeqloYHM
— Hillary Clinton (@HillaryClinton) 20 ottobre 2019
Si tratta della presa in giro di questa lettera di Donald Trump a Recep Erdogan:
EXCLUSIVE: I have obtained a copy of @realDonaldTrump’s letter to #Erdogan. @POTUS warns him to not “be a tough guy! Don’t be a fool!” Says he could destroy Turkey’s economy if #Syria is not resolved in a humane way. Details tonight at 8pm #TrishRegan #FoxBusiness pic.twitter.com/9BoSGlbRyt
— Trish Regan (@trish_regan) 16 ottobre 2019
Ma per resistere dal prendere in giro Trump bisogna essere un cadavere.
In teoria si potrebbe sperare o, al contrario, temere. Si potrebbe anche scrivere dei lunghi testi di analisi politica. Ma in realtà bisogna rimanere calmi e indifferenti: non ha alcun senso parlare seriamente dell’impeachment a Donald Trump. Tanto, al Senato non passerà a causa della maggioranza repubblicana.