Per i pretendenti alla presidenza russa, il 31 gennaio era l’ultimo giorno per consegnare alla Commissione elettorale russa le firme dei cittadini che appoggiano le loro candidature. In base alla legge elettorale, è un passaggio necessario per tutti i candidati che non siano appoggiati da uno dei partiti politici presenti nel Parlamento. È necessario raccogliere 300.000 firme (dei quali non più di 7500 nella stessa Regione) per i candidati non appoggiati da alcun partito e 100.000 (dei quali non più di 2500 nella stessa Regione) per i candidati appoggiati da un partito non presente nel Parlamento. In base alla idea iniziale del legislatore, si tratta di un primo test preliminare della «importanza sociale» dei potenziali candidati. La raccolta delle firme è, sulla pratica, una impresa molto difficile anche perché un minimo errore in qualsiasi punto della compilazione del foglio con le firme fa annullare l’intero foglio. Per i candidati è prevista la possibilità di presentare fino al 7% delle firme in più al previsto per tutelarsi dagli eventuali errori (di fatto ce ne sono sempre). L’attenzione dei controllori, comunque, varia in base al nome del candidato.
Oggi sappiamo, ormai, che dei 64 candidati iniziali solo in 8 (otto) sono riusciti a superare tutte le formalità burocratiche e diventare dei candidati ufficiali. Due di loro non hanno dovuto raccogliere le firme: Vladimir Žirinovskij (in quanto deputato e leader del suo partito LDPR) e Pavel Grudinin (appoggiato dal Partito comunista pur non essendo un suo membro). Di loro due, però, ho già scritto nelle puntate precedenti.
Allo stesso tempo, non penso che sia necessario presentarvi il vincitore delle elezioni del 18 marzo. Per il solo dovere di cronaca preciso che è stato il primo a riuscire a raccoglire le 300.000 firme richieste (non è mai stato membro della Russia Unita e, come a volte capita, quest’anno ha deciso di candidarsi in qualità di un indipendente).
Gli altri cinque candidati sono Grigorij Javlinskij, Boris Titov, Ksenia Sobchak, Sergej Baburin e Maksim Suraikin. Non vi ho ancora presentato gli ultimi della lista – perché sin da subito mi erano sembrati tra i meno interessanti – ma ormai, se non accade qualche imprevisto, devo necessariamente scrivere anche di loro.
Ma non lo faccio oggi. Oggi sfrutto l’ultima occasione per scrivere di alcuni esclusi.
Il 26 gennaio, per esempio, l’aspirante candidata Ekaterina Gordon ha fatto una dichiarazione molto curiosa: avrebbe raccolto circa 105 mila firme (essendo appoggiata da un partito, avrebbe avuto bisogno di raccoglierne 100.000) ma si è rifiutata di presentarle alla Commissione elettorale «per non partecipare alle elezioni-farsa». Non potendo sospettare che sia affetta di una forma estrema di ingenuità (di certo non ha scoperto ora l’attendibilità delle elezioni russe) e comprendendo che la raccolta delle firme richiede un lungo, duro e ben organizzato lavoro di alcune centinaia di volontari (Gordon non si è mai mostrata una grande manager), constatiamo che la sua tentata candidatura alla presidenza è stata solo una mossa pubblicitaria di portata federale. Con il mio modesto contributo è andata anche oltre, ahahaha
Sarebbe poco logico continuare a non nominare uno dei pochissimi veri oppositori russi Aleksej Navalny nel contesto delle elezioni presidenziali. Io, però, preferisco essere molto sintetico. In sostanza, Navalny è stato escluso dalle elezioni a causa delle persecuzioni giudizioziare molto fantasiose e poco sensate dal punto di vista giuridico. Formalmente, però, la legge è stata rispettata: un cittadino con la condanna penale non estinta non può candidarsi. Ma non c’è alcun motive di preoccuparsi: nel futuro avremo ancora moltissime occasioni per parlare di Navalny-politico. Per ora mi limito a constatare la sua vera fortuna: non è costretto a perdere le elezioni contro Putin. E, allo stesso tempo, un suo errore strategico notevole: chiamando i propri sostenitori a boicottare le elezioni presidenziali, contribuisce a far aumentare il vantaggio relativo del vincitore scontato.
Beh, mi sono appena reso conto che il post è diventato un po’ troppo lungo. Quindi per oggi mi interrompo e riprendo l’argomento dei candidate la settimana prossima.
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I post precedenti sui potenziali candidati:
Il post № 0 – alcuni candidati particolari
Il post № 1 – Vladimir Žirinovskij, Grigorij Javlinskij e Pavel Grudinin
Il post № 2 – Ekaterina Gordon, Sergej Polonskij e Boris Titov
Il post № 3 – Tristan Prisjagin e Natalia Lisitsyna
L’archivio del tag «navalny»
Probabilmente negli ultimi giorni nel mondo sono successi troppi pochi grandi eventi. Non ho ancora elaborato altra spiegazione al fatto che molti mass media italiani (e di conseguenza molte persone che conosco) si sono finalmente accorti della esistenza di Aleksej Navalny.
Ho scritto pochissimo di egli nel passato e non so quando inizierò a nominarlo con più frequenza nei miei post in futuro perché per ora lo considero un fenomeno di importanza interna e molto limitata. In più, non condivido del tutto il suo programma politico (in alcuni argomenti sembra un socialista). Anche se riconosco che al giorno d’oggi è l’unico personaggio pubblico russo che merita di essere definito come un politico. Infatti, in Russia le persone che autodefiniscono «politici» si dividono in due categorie:
1) Quelli che governano sono più funzionari che politici perché sono tutti in qualche modo nominati dall’alto (a volte tramite elezioni fittizie come i parlamentari) per svolgere i compiti dati dall’alto;
2) Quelli di opposizione che occasionalmente si presentano alle elezioni senza però fare una campagna elettorale seria perché, a loro dire, «è inutile perché tanto ci rubano i voti». Passano la maggior parte del loro tempo a ripetere il mantra «Putin è cattivo, deve andare via».
In una situazione del genere Navalny appare come un fenomeno straordinario. Prima di tutto ha un programma: di dubbia qualità e a volte superficiale, ma almeno si è sbattuto di formularlo. Partecipa in modo serio alle elezioni e ottiene dei risultati che gli altri «politici di opposizione» non avrebbero mai sperato di ottenere. Crea dei sensibili disagi al potere tramite alcune sue ONG (le più note e efficienti sono quelle contro la corruzione e contro l’inattività delle amministrazioni locali nella gestione dei territori). Periodicamente compare tra gli organizzatori delle manifestazioni di protesta.
L’ultima manifestazione, quella della domenica 26 marzo è stata particolarmente interessante non per l’ennesimo arresto di Navalny (viene arrestato o fermato praticamente a ogni manifestazione).
La manifestazione del 26 marzo è interessante perché per la prima volta è stata prevalentemente giovanile. Infatti, di solito alle manifestazioni di protesta partecipano le persone tra i 30 e i 60 anni e con delle idee politiche ben formulate. Questa volta invece, la maggioranza del pubblico abituale non si è presentata a causa della preoccupazione per la propria sorte: la manifestazione non era autorizzata dalla Amministrazione di Mosca (la mania della opposizione di obbedire alla legge e chiedere ai governanti il permesso di protestare contro essi è un’altra stranezza russa). Navalny aveva invitato la gente a partecipare nonostante la mancata autorizzazione e ha raggiunto un risultato che non so quanto era premeditato. Cosa fa un tipico giovane quando legge «è vietato»? Se non è un down zombizzato, fa esattamente ciò che gli è stato vietato.
Quindi la domenica 26 marzo 2017 in Russia è stata creata una nuova massa di protestanti giovani, attivi e non soddisfatti di quello che sta succedendo nel Paese: ieri hanno capito che protestare per strada è più emozionante che farlo su Facebook.
Ci sono delle situazioni in cui protestare è giusto.