È da un po’ che manca la musica classica nella mia rubrica musicale. Oggi recuperiamo con qualcosa di bello, per esempio la suite tratta dalla musica del balletto «L’uccello di fuoco» di Igor Stravinskij.
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Il tastierista statunitense Tony Carey fece parte – secondo il mio parere da consumatore – di una delle formazioni migliori degli Rainbow. Il leader del gruppo (un certo Ritchie Blackmore che molto probabilmente conoscete) ebbe però la mania di cambiare la formazione del gruppo con una frequenza piuttosto alta. Il protagonista del post di oggi resistette nel gruppo per oltre 20 mesi (un risultato superiore a circa la metà degli altri ex componenti del gruppo), ma alla fine venne cacciato anche egli. Anziché consolarsi con le statistiche del gruppo e, ovviamente, con le proprie capacità musicali, fece però la strana scelta di accettare la proposta di andare a lavorare in Germania. Direi che con tale mossa in termini di popolarità si è sparato a una gamba. In effetti, gli epicentri della gloria rock si trovano, per ovvi motivi, negli Stati di lingua inglese.
Pur acquistando un certo livello di popolarità in Germania, Tony Carey mi sembra quasi dimenticato dalle altre parti del mondo. Secondo me non è giusto. Di conseguenza, approfittando del suo recente compleanno (il 16 ottobre ha compiuto 65 anni) vi ricordo di egli con due sue canzoni.
La prima e «Room with a View» (scritta per il telefilm tedesco «Wilder Western Inclusive» del 1988)
Mentre la seconda è «A Fine Fine Day» (dall’album «Some Tough City» del 1984).
Ho conosciuto la musica del duo italiano «Musica Nuda» per puro caso poche settimane fa. Ed è successo quando ho sentito la loro versione molto originale della famosa «I Will Survive»:
Dovrei approfondire un po’ la mia conoscenza di ciò che suonano…
Per questa volta in qualità del secondo video metterei la loro interpretazione della «Sacrifice»:
Ca**o, mi sono ricordato che in un certo periodo – breve – della mia adolescenza mi piacevano i Kansas… Non ho una spiegazione razionale a questo fatto della mia biografia. Ma dedico comunque la edizione odierna della mia rubrica musicale a questo gruppo. Almeno per dimostrare che gli sfasamenti dovuti alla crescita di una persona vengono [quasi] sempre superati con successo.
La prima canzone scelta è «Dust in the Wind» (dall’album «Point of Know Return» del 1977):
Mentre la seconda canzone è «Carry on Wayward Son» (all’album «Leftoverture» del 1976):
Mercoledì 26 settembre decorrevano 120 anni dalla nascita del grande compositore George Gershwin.
Nonosante una vita terrestre breve (morì a 38 anni), Gershwin riuscì a lasciarci tante opere musicale di alto valore. Oggi vorrei ricordarlo con una di quelle più famose: la «Rhapsody in Blue» (al pianoforte c’è un altro genio, – e quasi un contemporaneo – Leonard Bernstein).
E aprofittiamo pure di questo pretesto per riascolatare la «Porgy and Bess».
Alla fine di luglio avevo già dedicato una puntata della mia rubrica musicale al grandissimo suonatore della balalaika Alexey Arkhipovsky. Oggi vorrei fare un altro esempio sull’utilizzo fortunato di questo strumento russo. Un esempio stilisticamente un po’ più moderno.
Non so se tra i miei lettori siano presenti degli appassionati del genere musicale «drum and bass». Io non lo sono mai stato, ma a volte trovo contagiosa la musica dell’artista russo Neiromonakh Feofan (il nome d’arte si traduce in italiano come Neuromonaco Feofan ed è un palese riferimento ironico ai ieromonaci ortodossi). Con i suoi testi, costumi e le esibizioni prende in giro il peggio della cultura pseudo-autoctona russa promossa dalla propaganda statale.
Non essendo sicuro, come ho scritto prima, del vostro rapporto positivo con il genere musicale e comprendendo l’importanza della barriera linguistica, metto un solo video (ma è bello anche da vedere). La canzone si chiama «Pritoptat» (in italiano «Calpestare»):
All’inizio di agosto avevo postato nella mia rubrica musicale due canzoni cantate da Louis Armstrong, una di esse era la «Go Down, Moses». Ma il primo cantante a interpretare e registrare la versione moderna di tale spiritual fu Paul Robeson.
Secondo il mio parere modesto, con un po’ di istruzione e nelle condizioni sociali migliori (rispetto agli inizi del XX secolo), Paul Robeson avrebbe potuto diventare un buon cantante lirico. Oggi lo ricordiamo con due sue canzoni.
Prima di tutto la sua interpretazione della «Go Down, Moses»:
E poi la «Shenandoah»:
Eduard Khil, uno cantante sovietico/russo particolarmente popolare negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, una sera di gennaio del 2010 stava sbucciando le patate nella cucina del suo appartamento a San Pietroburgo. Improvvisamente in cucina era entrato di corsa il suo nipote:
«Nonno! Lo sai che sei diventato famoso su internet?»
«E come ho fatto a diventarlo?»
«Tutti stanno impazzendo per una tua vecchia canzone. Quella senza le parole».
Khil si era sforzato tanto per ricordarsi di cosa si trattasse e poi, guardando il video (ormai famosissimo), si era messo a ridere. In sostanza, era solo un vocalizzo (cioè un esercizio vocale durante il quale si canta senza parole) ripreso per scherzo nel 1976. Il nome ufficiale del vocalizzo è «Sono molto felice perché, finalmente, sto tornando a casa».
Il 4 settembre Eduard Khil avrebbe compiuto 84 anni (è morto il 4 giugno del 2012) e per ricordarlo metterei nella mia rubrica musicale una delle sue canzoni più note, «L’inverno» del 1971.
Negli anni ’80 del secolo scorso Chris Isaak fu definito «Elvis dei giorni nostri». Effettivamente, dopo l’ascolto di alcune sue canzoni tale analogia sembra quasi scontata, almeno se ci limitiamo all’aspetto stilistico. Ma io oggi vorrei ricordare due sue canzoni leggermente diverse.
La prima è «Wicked Game» (dall’album «Heart Shaped World» del 1989):
Mentre la seconda è «Only The Lonely» (dall’album «Baja Sessions» del 1996, in origine cantata da Roy Orbison):
55 anni fa, il 30 agosto del 1963, la Philips presentò una delle sue invenzioni più famose e popolari: l’audiocassetta. La comparsa di questo fantastico oggetto col tempo ebbe una importanza enorme per la diffusione e l’accessibilità della musica tra la popolazione (quasi quanto l’internet quarant’anni più tardi).
Molti giovani di oggi non sanno cosa sia – o almeno come vada usata – una audiocassetta, ed è una conseguenza normalissima del progresso. Quel che mi sorprende, invece, è che pure le persone non più giovanissime si siano dimenticati delle origini della audiocassetta. Eppure essa fu la tanto attesa soluzione alla scomodità dei nastri in bobina. Questi ultimi necessitarono più tempo e più attenzione per il caricamento sul dispositivo di riproduzione («magnetofono»), non garantirono la protezione del nastro dalla sporcizia, furono più difficili da trasportare a causa delle dimensioni…
Insomma, la nascita della audiocassetta è stata una grandissima rivoluzione.