Finalmente mi sono deciso / ricordato di selezione uno strumento tecnologico ottimale che permetta di scoprire i titoli e i nomi d’autore delle canzoni sconosciute (sconosciute a chi sta ascoltando, non in generale). Preparandomi alla ricerca e studiando le varie soluzioni esistenti, ho formulato alcuni criteri basilari che tale strumento deve soddisfare.
Prima di tutto, ho pensato di limitarmi agli strumenti online. Infatti, se una cosa serve molto raramente e per dei scopi non professionali, è inutile intasare il computer con un ennesimo programma (il quale avrebbe comunque avuto bisogno dell’accesso all’internet).
In secondo luogo, ho pensato di scartare tutti quei servizi che chiedono di caricare sul rispettivo sito i file musicali da riconoscere. Infatti, la musica (canzone) da cercare potrebbe essere contenuta in un file molto grosso (per esempio, un film): non dobbiamo mica perdere il tempo a ritagliare un pezzo del file e fare l’upload! Inoltre, la canzone da riconoscere potrebbe provenire da una fonte diversa da un file disponibile sul computer (un video di YouTube, la radio, il televisore della vecchietta del piano di sotto etc.).
In terzo luogo, deve essere uno strumento gratuito. Perché, infatti, a me serve molto raramente e solo per delle piccole curiosità personali. Ma anche perché non voglio far spendere troppo ai miei lettori, ahahaha.
Ebbene, lo strumento che corrisponde pienamente ai tre criteri appena elencati esiste: è il sito midomi.com
In sostanza, per riconoscere la musica che sta suonando sul computer o nelle vicinanze è sufficiente cliccare sul grande buttone giallo rotondo in mezzo alla pagina e consentire l’uso del microfono (il vostro browser ne visualizzerà la richiesta). In appena 10 secondi il midomi riconosce la musica e vi mostra le informazioni fondamentali: il titolo del brano, il nome dell’autore, il nome dell’album, l’anno di pubblicazione e la copertina.
Lo strumento è completamente gratuito e può essere usato una infinità di volte al giorno (almeno per ora). Le poche volte che l’ho utilizzato, ha saputo suggerirmi le informazioni utili. Prima di scriverne, ho testato lo strumento sulla musica di diversi generi e di varie epoche già conosciutami: ha sempre funzionato bene.
A questo punto dovrei dare qualche suggerimento anche a coloro che vorrebbero identificare la musica utilizzando lo smartphone. In questo caso i consigli sono due. Continuare la lettura di questo post »
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La mia percezione potrebbe essere lontana dallo stato reale delle cose, ma per me la cantante scozzese KT Tunstall è la cantante di una sola canzone. Infatti, tranne il famosissimo brano d’esordio «The Black Horse and the Cherry Tree» non ho mai sentito qualcosa di realmente interessante da parte sua…
Anche se, preparandomi a scrivere questo post musicale, avevo concesso l’ultima possibilità a KT Tunstall: avevo provato a sentire la relativa raccolta «best of» su YouTube. Purtroppo, però, la maggioranza delle canzoni incluse in quella raccolta era irrimediabilmente pop… Certo, avevo notato il tentativo di ripetere il primo successo con la canzone «Evil Eye», ma i tentativi falliti non meritano troppa nostra attenzione.
Di conseguenza, in qualità della seconda canzone ho scelto la «Made Of Glass»:
KT Tunstall ha quaranta sei anni e, pare, inizia ad avere qualche problema con l’udito, ma noi non perdiamo la speranza: c’è sempre la possibilità che inventi ancora qualcosa di interessante.
Il compositore statunitense Philip Glass è considerato uno dei più grandi esponenti del minimalismo musicale (secondo me un ramo della musica particolarmente difficile da seguire quando il compositore è anche un po’ meno che grande). Ma in realtà, come tutti i bravi artisti, anche Glass ha avuto una propria evoluzione stilistica nel corso degli anni. Quindi per il post dedicato ad egli ho scelto due composizioni appartenenti alle sue «vite artistiche» differenti. Evitando la musica per il cinema (per la quale molti di voi potrebbero conoscere il protagonista di oggi), mi sono concentrato su quella più seria.
La prima composizione scelta e la «Music with changing parts», scritta nel pieno periodo del minimalismo:
Mentre la seconda composizione (più breve, ahahaha) è del periodo più tardo — è stata scritta nel 1991 — e si caratterizza per uno stile più abituale per gli amanti della musica classica: si tratta del String Quartet no. 5.
Non so, appunto, se qualcuno di voi preferisce sentire solo uno dei due stili musicali.
Qualche tempo fa ho scoperto (per caso) la cover della canzone «Zombie» suonato/cantato dal gruppo statunitense Bad Wolves. Tutti conoscono il bel originale dei The Cranberries, ma anche questa versione non è male:
Ho provato a informarmi su questo gruppo, ma non ho trovato una loro canzone di qualità simile. Per la loro fortuna, i membri del gruppo non sono ancora tanto vecchi: potrebbero riuscire a recuperare in futuro.
Per ora metto, in qualità della seconda canzone, la loro «Remember When» (anche essa, come «Zombie», inclusa nell’album «Disobey» del 2018):
Con una certa fondatezza, il compositore russo Alexander Glazunov è considerato uno degli eredi del cosiddetto «Gruppo dei cinque» (i componenti del quale si autodefinivano «la nuova scuola musicale russa»). I membri del Gruppo cercavano l’ispirazione nella cultura tradizionale russa e, tra l’altro, traducevano nella musica classica molti fenomeni folcloristici russi. Alexander Glazunov, pur riutilizzando alcuni elementi stilistici tipici del Gruppo, è però molto più vicino alla tradizione musicale europea.
Per il post musicale di oggi ho scelto la sua Sinfonia № 4 scritta nel 1893. Probabilmente, non è la composizione più famosa di Glazunov, ma allo stesso tempo è capace di dimostrare lo stile e l’autonomia dell’autore allora ventottenne.
(In questo specifico caso si tratta di una registrazione del 1948 della Orchestra Filarmonica di Leningrado diretta dal grande Yevgeny Mravinsky.)
Oltre alla eredità musicale lasciataci, dobbiamo essere grati a Alexander Glazunov per almeno uno dei suoi allievi: Dmitrij Šostakovič.
L’anno scorso mi era già capitato di postare due esempi della musica dei Rainbow. Oggi, invece, ho pensato di dedicare il post musicale alla loro canzone più strana: «The Temple of the King».
La canzone è contenuta nel primo album del gruppo («Ritchie Blackmore’s Rainbow» del 1975) ed è atipica non solo per quello che sono stati i Rainbow in tuta la loro storia, ma anche per il hard rock in generale:
Sarebbe stata molto discutibile l’ipotesi dell’interessamento pratico da parte di Ritchie Blackmore verso la tematica medioevale già all’epoca: al primo album del gruppo Blackmore’s Night mancavano ancora 22 anni, mentre «The Temple of the King» è rimasta l’unica canzone del genere nel repertorio dei Rainbow (per non parlare dei Deep Purple).
Ed è abbastanza strano che il gruppo Blackmore’s Night – nato nel 1997 – abbia ufficialmente ripreso questa canzone, nonostante la stilistica adatta, solo nel 2013. In quel anno la canzone è stata inserita nell’album «Dancer and the Moon».
Ritchie Blackmore è sempre un genio degli strumenti a corda, mentre i modi di cantare di Ronnie James Dio (ex Rainbow) e Candice Night sono troppo diversi per essere confrontati. Quindi potremmo provare a fare il confronto con qualche altro gruppo ancora diverso. Per esempio, potremmo sentire la versione dei Scorpions: un gruppo che nella sua lunghissima storia ha registrato diverse canzoni-ballate non corrispondenti alla propria stilistica principale (hard rock e heavy metal). Ma loro questa volta, secondo me, non ci sono riusciti tanto bene:
Ma avere due versioni valide della stessa canzone è già buono.
Ho pensato che pure nella mia rubrica musicale andrebbero rispettate alcune tradizioni musicali internazionalmente riconosciute. Per esempio, tutti (spero) conoscono il tradizionale concerto di Capodanno della Filarmonica di Vienna che si tiene ogni 1 gennaio alla sala Musikverein. Uno dei compositori più rappresentati a quei concerti è Johann Baptist Strauss II, quindi anche questa volta metto due sue brevi composizioni.
La prima sarà la «Tales From The Vienna Wood»:
Mentre la seconda composizione scelta per oggi è la «Tritsch-Tratsch Polka»:
Ancora una volta auguro un felice 2021 a tutti.
Il nome del compositore russo Alexander Zhurbin non sempre si associa – in Russia e negli USA (dove passa una parte considerevole del suo tempo a partire dal 1991) – alla musica classica. In entrambi gli Stati, infatti, si ricordano prima di tutto i suoi musical. Il pubblico russo un po’ più informato potrebbe anche ricordarsi delle sue musiche per i film e le canzoni leggere.
Avere una visione così limitata di un personaggio della cultura interessante non è però tanto bello. Zhurbin ha una istruzione musicale classica e ha scritto anche la musica classica nel corso di tutta la propria vita professionale, anche se le sue fonti del reddito – necessarie a tutti, anche ai compositori – si trovano in altri generi musicali. Quindi con il post musicale di oggi pubblicizzo non solo il compositore (che molti dei miei lettori potrebbero non conoscere), ma pure il suo impegno nella musica seria.
Inizierei a farlo con la Sinfonia № 2 «Giocosa», scritta da Zhurbin nel 1970 all’età di 25 anni. In essa si sentono diversi rimandi alle tendenze della musica classica tedesca della seconda metà del XVII secolo, ma – nonostante una apparente originalità non elevatissima – è una composizione bella da ascoltare. Ma nemmeno particolarmente impegnativa…
Pochissimi artisti nella storia sono riusciti a riconquistare la popolarità precedentemente persa o notevolmente diminuita. La maggioranza degli artisti di ogni genere passati di moda, purtroppo, nel migliore dei casi tenta di continuare per tutta la vita su quell’unica strada che una volta li aveva portati alla fortuna.
Una delle fortunate – e abbastanza rare – eccezioni è la cantante statunitense Brenda Lee.
La prima fase della grande popolarità di Brenda Lee corrisponde al periodo tra la fine degli anni ’50 e la prima metà degli anni ’60, quando la cantante si afferma nei generi rock ’n roll e rockabilly. La seconda fase, invece, è quella degli anni ’70–’80, quando Brenda Lee realizza una svolta abbastanza improvvisa verso il country. Alcune persone, a volte anche quelle un po’ più informate della media, sono addirittura convinte che ci siano stati alcuni anni di pausa tra le due fasi tanto diverse. In realtà, però, quel brevissimo momento di passaggio stilistico è stato semplicemente contrassegnato – oltre alle questioni familiari – da uno sfortunato (meno male!) tentativo di frenare il calo della popolarità diventando un po’ più pop. Ed è bellissimo costatare che la seconda fase è stata decisamente più duratura e caratterizzata dalle opere musicali spesso ancora più interessanti.
Per il post di oggi ho selezionato due canzoni di Brenda Lee che rappresentano entrambi i grandi periodi della sua attività musicale.
La prima canzone scelta è «All Alone Am I» (dall’album «All Alone Am I» del 1963):
Mentre la seconda è «Rock On Baby» (dall’album «Now» del 1974):
Nella storia della musica classica possiamo ricordare diversi compositori che hanno trovato l’ispirazione nella cultura popolare senza scivolare nel così provincialismo per la qualità delle opere culturali. I primi esempi che potrebbero venire in mente a una persona media sono George Gershwin, Michail Glinka o Manuel de Falla…
L’elenco dei nomi può essere continuato anche con quello del compositore norvegese Edvard Grieg. L’influenza della cultura norvegese non si percepisce sempre allo stesso modo e nella stessa misura nelle sue composizioni, quindi si potrebbe scriverne diversi trattati… Io risolvo il caso postando solo una composizione, una delle più famose di Grieg: il Concerto per pianoforte e orchestra in La minore (scritto nel 1868 durante il soggiorno in Danimarca). Si tratta dell’unico concerto completato di Grieg.
Oggi ascoltiamo la versione della London Symphony Orchestra diretta da André Previn e con Arthur Rubinstein al pianoforte.