Come pianificato, la sera del 20 giugno (la Giornata mondiale del rifugiato), la casa d’aste statunitense Heritage Auctions ha tenuto a New York l’asta per la vendita della medaglia Nobel per la pace del caporedattore della «Novaya Gazeta» Dmitry Muratov. Tutti i proventi della vendita della medaglia andranno a sostenere la missione umanitaria dell’UNICEF mirata all’aiutare i bambini ucraini rifugiati e le loro famiglie.
Apparentemente è solo un fatto di cronaca (uno dei numerosi fatti legati alla guerra in corso), ma io ne scrivo per ricordarmi due cose. Prima di tutto, per ricordare la somma finale per la quale la medaglia è stata venduta: 103.500.000 dollari statunitensi (sì, centotre milioni e mezzo). In secondo luogo, per ricordare che l’acquirente – di cui non è stato reso noto il nome – sapeva come sarebbe stato utilizzato il denaro ricavato: quindi più è vicino a uno dei due Stati in guerra, più è un grande (o la vicinanza non ha una sua importanza? Non lo so…).
Boh, prima o poi scopriremo il nome dell’acquirente. Solo che non ne sono così sicuro del prima.
L’archivio del tag «muratov»
Probabilmente alcuni dei lettori si ricordano che Dmitry Muratov – il caporedattore del giornale russo «Novaya gazeta» – è uno dei due vincitori del Nobel per la pace 2021. Detesto questo premio (e ne avevo già scritto più volte), ma almeno posso constatare ancora una volta che almeno l’anno scorso è finito nelle mani di una brava persona.
Infatti, all’inizio della guerra putiniana in Ucraina Muratov aveva dichiarato di voler mettere all’asta la medaglia d’oro consegnatagli nell’occasione della premiazione con il Nobel. Farlo per destinare tutti i proventi della vendita ai programmi dell’UNICEF finalizzati all’aiutare i bambini colpiti dalla guerra in Ucraina e nei Paesi limitrofi.
Da ieri possiamo dire che la dichiarazione è stata messa in pratica: come da progetto iniziale (e con il consenso della casa d’aste statunitense Heritage Auctions), l’asta è partita l’1 giugno, il giorno della Festa internazionale dei bambini. Le offerte saranno prima accettate online, mentre l’asta finale avrà luogo il 20 giugno – la data della Giornata mondiale dei profughi – presso il Times Center di Manhattan.
Potete provare a seguire l’andamento dell’asta direttamente sul sito. Purtroppo, non so proprio se qualcuno dei miei lettori sia in grado di parteciparvi attivamente…
Posso solo sperare che prima o poi, in una epoca migliore, la medaglia torni al suo vincitore. Nella storia ci sono già stati dei precedenti.
L’azienda norvegese Amedia (una media group) ha deciso – come tantissime altre aziende occidentali – di abbandonare il mercato russo in seguito alla invasione militare dell’Ucraina da parte della Russia. In particolare, ha annunciato di abbandonare il proprio network delle tipografie «Prime Print». Si tratta di sei tipografie, quattro delle queli appartenevano al 100% alla Amedia.
Perché ho deciso di raccontarne a voi? Perché quelle quattro tipografie non sono state semplicemente chiuse a chiave, ma in sostanza regalate a un personaggio del quale avete sicuramente sentito parlare negli ultimi mesi: il capo-redattore della «Novaya Gazeta» e premio Nobel per la pace (2021) Dmitrij Muratov. Mentre quelle quattro tipografie, ora a sua disposizione, sono ben note a Muratov: perché in una di esse veniva stampato – fino al momento di essere chiuso il 28 marzo a causa di una pressione politica aumentata – il suo giornale. Ha già ringraziato per il dono, ha promesso di salvare i posti di lavoro delle «persone fantastiche che vi lavorano» e di vendere, in caso di subentrata necessità, le tipografie a un «acquirente degno».
Ecco, data la notorietà internazionale del personaggio – almeno tra le persone che si interessano del giornalismo, dei diritti umani e, in un modo approfondito, della politica –, ritengo abbastanza probabile il fatto che prima o poi qualcuno scriva della «nuova attività di Muratov». A questo punto io anticipo tutti e dico che, purtroppo, si tratta di una elemosina da valore quasi nullo. Alla Amedia dispiaceva buttare nella spazzatura un business costruito nel corso degli anni e, allo stesso tempo, appariva impossibile continuarlo per dei motivi reputazionali: quindi ha preferito regalarlo a una brava persona. A quella persona, però, le tipografie servono ancora meno: non può più (temporaneamente, spero) stampare il proprio giornale, sta assistendo (come tutti) alle crescenti difficoltà della economia russa sanzionata e, sicuramente, non potrà rischiare tutto per tentare di stampare delle cose troppo sgradite al regime (in realtà può, ma per poco tempo…). Quindi nel migliore dei casi svenderà: non è uno che può mantenere economicamente – in attesa dei tempi migliori – una attività non funzionante.
Probabilmente qualcuno aspettava da me un post sul Nobel per la pace assegnato – per metà – a Dmitry Muratov (il direttore di un giornale russo)… Boh, io non ho una grandissima voglia di farlo: da quando il suddetto Nobel è stato assegnato – nel 1994 – a un certo Yāsser ʿArafāt, anche la sola nomina alla premiazione è incompatibile con la mia concezione della morale. Di conseguenza, non capisco tutte quelle persone che «tifano» per dei personaggi realmente valorosi non ancora «insigniti» o fanno gli auguri ai «premiati». Se, per qualche strano motivo, il Nobel per la pace dovesse un giorno essere assegnato a me, inviterò il Comitato per il Nobel norvegese a metterselo nel culo. Sì, proprio in questi termini.
Tornando alla cronaca del 2021, devo ammettere di non sapere nulla della giornalista statunitense/filippina Maria Ressa – anch’essa premiata – semplicemente perché mi interesso poco della stampa filippina. Posso invece ricordare che Dmitry Muratov è ormai il quarto russo premiato con questa versione del Nobel: più o meno tutti si ricordano di Mikhail Gorbachev (1990) e di Andrei Sakharov (1975), ma quasi nessuno – nemmeno in Russia – si ricorda della geografa Olga Solomina (nel 2007, assieme ad altri membri del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico).
Ma, soprattutto, Dmitry Muratov è un personaggio molto importante per il giornalismo russo contemporaneo. Dal 1995 a capo di uno dei pochi giornali di non-propaganda governativa rimasti in Russia. Non posso definirlo indipendente (perché, come tutti gli altri mass media, sopravvive solo perché lo Stato ha deciso di non chiuderlo), di opposizione (perché è di informazione) o del tutto ideale (troppo spesso capitano degli articoli palesemente pagati da qualche personaggio o ente interessato), ma complessivamente è uno dei pochi giornali russi che pubblicano ancora dei materiali seri. In tutti questi anni Muratov ha saputo quindi resistere: non diventare un coautore ben pagato della propaganda statale, riuscire a fare il possibile nelle condizioni in cui si trova, lavorare e fare lavorare tanti suoi colleghi, promuovere l’aiuto popolare collettivo a molte persone abbandonate dallo Stato nelle loro difficoltà quotidiane. Sicuramente ha dovuto accettare dei compromessi, come alcuni suoi colleghi direttori di altri media, ma io non sarei disposto a condannarlo.
Spero che prima o poi venga premiato in qualche modo molto più interessante del Nobel per la pace.